I DELINQUENTI: il burattinaio petruccio E il burattino Ebete
LUCIANO MOGGI
E' ora di cambiare i capi del calcio
La grancassa suona sempre all’unisono per Petrucci e Abete. Il presidente del Coni pronto sempre a puntellare l’altro, l’altro che ricambia, facendogli l’eco. Un sostegno e un’alleanza, andati molto oltre la convenienza dei rapporti istituzionali. Ne sono derivate situazioni gravi, la copertura acritica di posizioni di comodo, o di parte, o avvitate su se stesse da proposizioni di principio, prima conclamate, poi in fretta abbandonate, come l’etica che non doveva andare in prescrizione, finita alle ortiche, principi di correttezza violati con indifferenza, il contrario esatto di chi avrebbe dovuto improntare lo svolgimento del suo mandato e il suo spirito di servizio a regole di rigore e trasparenza, non mutabili a seconda del destinatario di riferimento, come puntualmente è avvenuto.
Non vogliamo chiederci se Petrucci abbia fatto bene per lo sport italiano, sicuramente ha fatto male al calcio, limitandosi a far da puntello ad Abete. Avrebbe dovuto avere occhio più attento e distaccato, il presidente del Coni, accorgersi che la gestione di Calciopoli (così come quella recente del Calcioscommesse) era stata condotta malamente dalla giustizia sportiva, e per essa da Abete che di quell’ ingranaggio è il principale punto di riferimento oltre che il suo elettore e datore di lavoro.
Di fronte a prove inconfutabili che hanno smantellato i capi d’accusa, di fronte alla relazione conclusiva di Palazzi sul ruolo avuto dall’Inter in Calciopoli con la configurazione di illecito sportivo, il presidente del Coni, così come Abete, ha messo la testa sotto il terreno come gli struzzi. E non è storia superata, ma storia sempre viva, l’Inter fatta salvare dalla prescrizione, dopo che Palazzi ci aveva messo un tempo infinito per terminare le indagini, per la Juve inventata invece “l’incompetenza a decidere” per non decidere sullo scudetto da revocare ai nerazzurri e restituire al club bianconero.
Eppure prima Sandulli (giustizia sportiva) e successivamente il processo ordinario di primo grado sentenziarono che nessun campionato era risultato alterato. Sono passati più di sei anni, la sintesi di questo obbrobrio può essere persino semplice: e(o)rrori marchiani nei processi sportivi, con deturpazione dei diritti delle difese, e nelle conseguenti condanne. Man mano che le tesi d’accusa sono state sconfessate, qualcuno avrebbe dovuto ammettere l’errore e rimediare.
Niente di tutto questo, nessuno che si sia accorto che i mostri posti in prima pagina non lo meritavano e non lo erano affatto. Ed è qui che stanno le colpe di Petrucci: se persino davanti alla sentenza del processo di secondo grado del rito abbreviato, che ha mandato assolti tutti gli arbitri ivi coinvolti, il presidente del Coni, anziché fare ammenda, ha partorito l’orrida considerazione che la giustizia sportiva è migliore di quella ordinaria perché ha condannato tutti mentre i giudici ordinari hanno assolto.
Non può neppure sorprendere che per puntellare ancora Abete (cui prodest?) il presidente del Coni provi a fare una reprimenda ad Agnelli, fingendo di destinarla a tutti i presidenti, etichettandoli come “arroganti”. Petrucci è fatto in una certa maniera, spesso procede con i paraocchi e gli piace. Per esempio la sua idea del “tavolo della pace” tra Agnelli e Moratti è stata un fallimento, se ne sono accorti tutti, salvo l’interessato, che continua a propagandarla come un grande successo.
Gliel'abbiamo scritto noi, gliel’ha ridetto poi a muso duro proprio Agnelli, e Petrucci, com’è chiaro, non ha gradito. Cosa pretendeva il presidente del Coni, che Agnelli si accontentasse di parole vuote acconsentendo a strette di mano autopreclusive dei diritti vantati? La Juve non rinuncia a volere restituiti i due scudetti e nemmeno alla richiesta di risarcimento che sta seguendo il suo iter.
Petrucci è intervenuto a difesa di Abete, dopo che quest’ultimo è stato bocciato da Agnelli per tutte le cose non fatte nel corso del suo mandato. Fiacca e scarsa di contenuto la replica a Sky del presidente della Figc: ”accetto le critiche, ma che siano costruttive, serve saper cambiare (appunto! lui infatti non sa cambiare, almeno in bene... parla, parla ma non dice mai niente)”, e continua: “ma neanche Agnelli ha mantenuto le promesse, sulle nuove regole che si sarebbe dovuta dare la Lega”.
Piccola differenza, Agnelli è solo uno dei consiglieri della Lega, non il presidente, e meno che mai un presidente che ha avuto ed ha i poteri del presidente della Federcalcio. Ed è strano, un presidente della Figc due volte sconfitto per l’organizzazione di campionati europei dovrebbe, questo sì, mettere la testa nella sabbia.
Provi, d’ora in poi, ad essere più attivo nei propositi, ad ammettere gli errori fatti e ad assicurare terzietà alla giustizia sportiva. Così com’è dipende tutta e interamente da lui, sceglie, nomina e all’occorrenza cassa i giudici. Dov’è l’autonomia, dove l’indipendenza? Su questo punto, guarda caso, Petrucci non si è pronunciato.
Libero Quotidiano.it 30/12 21:34
domenica, dicembre 30, 2012
venerdì, dicembre 28, 2012
GUARDA CHI PARLA: pulvirenti? BASTA IL NOME, E...LA FACCIA!
ANTONINO, MINCHIA CHE FACCIA DI PULVIRENTI CHE HAI!
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http://www.corrieredellosport.it/calcio/calcio_mercato/2012/12/26-290454/%C2%ABCatania-Juve%3F+Fatico+a+dimenticare+quel+gol%C2%BB
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A Pulvirenti, posso dire che anche quelli che lottano contro la mafia, ricordano che senza l'aiuto della "Mafia-Meneghina", invece di portarsi i soldi nei paradisi fiscali, avrebbe dovuto pagare gli operai derubati!...
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Ma siccome per noi tifosi della Juventus, come per gli operai licenziati e/o derubati difendersi contro i mafiosiMENEGHINIcatanesi ed i loro sodali e' impossibile, Allora, non potendo usare bombe e lupare, per REGALO DI FINE D'ANNO cantiamo in coro.... http://www.facebook.com/photo.php?fbid=357214707708195&set=pb.100002590054684.-2207520000.1356556928&type=3&theater .A PULVIRENTI VAFFANCULO-VAFFANCULO... A MAFIOSI VAFFANCULO-VAFFANCULO..
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Benvenuti a morattOpoli DI berlusconia, terra di MAFIOSI & MASSONI
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MA CHI E' QUEST'ULTIMO PULVIRENTI SEMPRE ASSOLTO DAI giudici CATANESI ?
È un imprenditore cresciuto nelle strade di Belsito e assume comportamenti duri, se serve, con le controparti: paga puntuale, pretende silenzio! E quando nella compagnia aerea inizia a formarsi un sindacato, passa alle minacce! «Minacce di morte ai comandanti», rivelerà la Uil. Due comandanti saranno licenziati.
Dall’acquisto del Catania nascono due processi: uno per evasione fiscale e l’altro per frode fiscale. Nel primo caso l’imprenditore aveva frammentato le quote calcistiche su altre società della filiera risparmiando, così sosteneva l’accusa, sull’imposta sul reddito. Il giudice decise che l’elusione fiscale non era un reato. Nel secondo caso Pulvirenti fece precedere la trattativa per il Catania calcio dall’acquisto del marchio Papizzo, per i pm un’operazione simulata utile a creare scorte all’estero. Uscirà assolto.
Antonino Pulvirenti tiene ai rapporti con i sostituti procuratori, e soprattutto i giudici, del Tribunale di Catania. La domenica, con la squadra al “Massimino”, le toghe sono schierate in tribuna d’onore.
Anche sull’affare della vita, meglio, la sua rovinosa conclusione, stanno emergendo questioni nascoste. I sindacati, per esempio, non riescono a spiegarsi come mai Wind Jet nel dicembre 2011 era considerata una società sana, con dieci airbus e tre milioni di passeggeri, ventidue destinazioni nazionali e dieci europee, pronta ad allargare le sue rotte verso l’Africa e ad aumentare il capitale da 20 a 40 milioni. Era pronta, raccontavano i suoi executive, a collocarsi in Borsa.
Ad aprile 2012, inizio della trattativa con Alitalia, sono emersi invece debiti per 180 milioni. E il 24 aprile Pulvirenti ha dichiarato lo stato d’insolvenza licenziando 504 lavoratori. Certo, gli aeromobili non sono mai stati di proprietà, sono stati presi in leasing da società con sedi extraeuropee. E mettendo in fila i bilanci si è scoperto che solo tre su nove sono stati in attivo, quelli iniziali, e che tra il 2009 e il 2011 Wind Jet ha perso 15 milioni aprendosi a una pericolosa esposizione nei confronti delle banche. In questa fase storica significa mancanza di liquidità.
Le cause del crollo della compagnia aerea? L’aumento vertiginoso del prezzo del carburante, che sta mettendo in difficoltà Air France, Klm, gruppi americani, persino la Ryanair. Poi il costo dei servizi accessori per il mantenimento degli aerei. Alcuni incidenti. E una concorrenza sui prezzi bassi non più sostenibile: da tempo Wind Jet era una finta compagnia low cost, le tariffe erano lievitate ai “livelli Alitalia”.
Dal bilancio 2009 è emersa, ancora, una strana vendita interna alle aziende di casa: la finanziaria che controlla l’alimentare del gruppo vendette il marchio Wind Jet alla stessa compagnia aerea per 10 milioni. Come fecero notare i revisori dei conti, la società di volo, già in affanno, non poteva sostenere quei costi. Infine andrà accertato come una compagnia in pre-liquidazione da aprile possa vendere fino ad agosto 300 mila biglietti aerei, alcuni validi fino al prossimo ottobre.
http://www.repubblica.it/cronaca/2012/08/14/news/pulvirenti_patron_di_wind_jet_dagli_hard_discount_al_calcio-40935072/
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A CATANIA COME NEL RESTO DELLA SICILIA, 9 SU 10 PM FANNO IL LORO ONESTO LAVORO, RISCHIANDO QUOTIDIANAMENTE LA VITA... PURTROPPO IL PROBLEMA SONO I GIUDICI... AI QUALI PIACE STARE IN TRIBUNA AL FIANCO DELL'ENNESIMO PULVIRENTI.
venerdì, dicembre 21, 2012
GLI IMMORALI DEL CALCIO ITALIANO: IL GALEOTTO MASSIMO CELLINO
GALEOTTO CELLINO AL BUON CAMMINO
Sintesi di alcune delle innumerevoli malefatte di massimo cellino)
Il Comune di Quartu Sant'Elena non da al Cagliari il nulla osta per l'agibilità dello stadio Is Arenas per la la disputa della partita Cagliari-Juventus costringendo la Lega di serie A, appena 48 ore prima dell'Orario d'inizio della Gara a trovare un'altro Stadio. La cui scelta di far disputare Cagliari-Juventus di venerdi 21 dicembre cade sullo stadio Tardini di Parma. Ma la cosa non piace al presidente del Cagliari...il famigerato Massimo Cellino, il quale, sceglie un'intervista a Sky Sport 24 per vomitare tutto il suo veleno attaccando pesantemente la Juventus con gravissime allusioni...che sembrano delle vere e proprie accuse diffamatorie:
PARLA, IL DISONESTO MASSIMO CELLINO
"Perché non giochiamo a Cagliari? Chiedetelo alla Juventus
E io provo un profondo senso di vergogna e di imbarazzo pur avendo fatto l'impossibile per dare unao stadio alla nostra squadra e alla nostra terra. So semplicemente dire che c'è stata un'agibilità data in ritardo e la Lega aveva dato già le carte ufficiali dove stabiliva Parma; per cambiare quella destinazione ci voleva a quel punto la disponibilità dell'altra squadra, che è la Juventus, non l'ha data, era suo diritto non darla, nulla da eccepire, ha esercitato un suo diritto, dimostrando che le faceva più piacere giocare a Parma che a Cagliari, non so che vantaggio abbia.."
E poi ha rincarato la dose: "Gli auguriamo la giustizia del dio del calcio e dello sport, se esiste, perché noi pensavo che fosse un vantaggio e un privilegio non essere coinvolti con allenatore, giocatori in nessuno scandalo, con i bilanci a posto, con tutto in regola, magari non abbiamo tutti gli scudetti e le stelle sulla maglietta, che noi ce la sentiamo dentro questa stella nel cuore.
Il nostro difetto di sardi è quello di rispettare tutti, di accettare e osservare le leggi e non di farle a nostro piacimento e non di approfittarne. Io sono da 21 anni presidente del Cagliari, insistere con la Lega e andare al braccio di ferro con la Juventus affinché dovesse venire a Cagliari quando noi l'anno scorso con 20 ore di preavviso abbiamo spostato la partita a Trieste con la Juventus dalle 3 di pomeriggio alle 9 di sera rimborsando 6.000 biglietti e causando danni incredibili ai nostri tifosi annullando voli charter...
L'abbiamo fatto; siamo andati a giocare a Brescia contro il Genoa con 24 ore di preavviso e l'abbiamo fatto senza batter ciglio. In questo caso pur essendo stata colpa delle nostre istituzioni e non del Cagliari la Juventus non è voluta venire, è un suo diritto, ne prendiamo atto.
Io ho sempre cercato di dare il buon esempio in Lega, tenendomi la coscienza a posto e la fedina penale sportiva pulita". Queste le sgradevoli parole, farcite di pesanti e insultanti allusioni, di Massimo Cellino verso il club bianconero. C
i augureremmo anche noi la giustizia del dio del calcio, che di pulizia da fare ne avrebbe tanta e di torti da raddrizzare pure. Purtroppo sinora abbiamo solo avuto a che fare solo con una 'presunta giustizia' sportiva e tante incompetenze.
Massimo Cellino, il padrone del Cagliari, e' quello stesso Massimo Cellino che e' stato arrestato e chiuso in gabbia per 8 giorni e poi ha patteggiato un anno e 2 mesi per la nota truffa da 24 miliardi di lire ai danni dell‘UE e del ministero delle Risorse agricole: con il semolificio di famiglia (la Sem, import-export di granaglie, ora fallita), il delinquente truccava i carichi di merce per l'Africa. Dopo il tracollo, i fratelli han pubblicato inserzioni a pagamento sui giornali per chiarire che Massimo non aveva piu' alcun rapporto col resto della famiglia ("ripudiato"!).
Non solo, lo stesso Massimo Cellino ha avuto pure due condanne per falso in bilancio, una provvisoria a 10 mesi per la Sem e l’altra definitiva a 10 mesi per il Cagliari Calcio: nel bilancio mancava un debito di 2 miliardi col procuratore Paco Casal per la vendita di Daniel Fonseca al Napoli di Ferlaino.
In seguito alla truffa del grano, ha avuto un contenzioso col ministero dell‘Economia: l’ufficio delle Entrate gli chiede sulle prime 1800 miliardi, poi il debito scende di parecchio; intanto altri creditori, fra cui il suo ex avvocato, gli pignorarono l’abitazione, una bella villa nel centro di Cagliari. Una dimora decisamente sorprendente, se si pensa che l’ultima dichiarazione dei redditi conosciuta attribuiva a Cellino un reddito da miserabile (2500 euro l’anno) e la proprieta' di una motocicletta. Nessuna traccia delle auto di lusso e del famoso motoscafo “Riva” sui quale spesso facevqa le sue comparsate. Il furbo Cellino, ora si e' trasferito con tutta la famiglia a Miami, dove soprattutto non c’e' reciprocita' giuridica con l’Italia. Viva l'America! Urla il disonesto Cellino!
Ma il delinquente, ha continuato a far danni anche a Cagliari. Alle regionali 2004 l‘ex governatore forzista Mauro Pili lo candidava, ma non riesci' a farlo eleggere. In compenso la giunta di Cagliari (sindaco Emilio Floris, FI) avrebbe voluto regalargli la concessione dello stadio Sant’Elia, perche' lui lo abbatta e lo ricostruisca con annessi supermarket, cinema ecc. ecc.. L’operazione salto' perche' la Nuova Sardegna fece notare che Cellino aveva un vecchio contenzioso proprio col Comune: non pagava l’affitto dello stadio. A quel punto gli amici amministratori (il presidente del consiglio comunale era direttore generale del Cagliari, il capo dell‘opposizione di centro era l'avvocato che gli ha preparo' il piano per agguantare lo stadio) provarono a dargli il Sant’Elia in diritto di superficie. Ma la cosa sfumo' perche' cafone Cellino penso' bene d’insultare pubblicamente sindaco e assessori che perdevano troppo tempo a discutere.
Cellino diventa presidente del Cagliari nel ‘92 quando i precedenti proprietari, i fratelli Orru', cededettero la societa' per il 50% a lui e per l‘altro 50 a una misteriosa finanziaria napoletana, la Palco. Chi c’era dietro la Palco? Il presidente del Napoli Corrado Ferlaino, che dava una mano a Cellino su richiesta del comune amico Franco Ambrosio, il “re del grano “poi arrestato per camorra e bancarotta. Cosi', per due anni, Ferlaino controlla, oltre al Napoli, un altro club di serie A. Guarda caso, il Napoli acquista dal Cagliari, a prezzo stracciato, Fonseca. Ma Cellino continua a negare l’esistenza della Palco ferlainiana: alla fine pero' la cosa verra' fuori in tribunale.
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Le partite truccate: Trieste, partite sotto inchiesta
Intercettazioni della Procura, sospetti su dieci partite di B nel 2002-03: interrogati i presidenti della Triestina (Berti) e del Cagliari (Cellino)
TRIESTE, 14 aprile 2005 - Scatta un'altra inchiesta sul mondo del calcio. La Procura della Repubblica del tribunale di Trieste ha disposto ispezioni e controlli, finalizzati all'acquisizione di documenti, nelle sedi di varie squadre di serie A e B. Le verifiche, in corso da stamani da parte dei militari del Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria di Trieste, sono state disposte nell'ambito di un'inchiesta avviata nelle settimane scorse dalla stessa Procura per analizzare presunte irregolarità nello svolgimento di alcune partite del campionato di serie B 2002-2003. Sempre stamattina sono stati convocati il presidente della Triestina, Amilcare Berti, e quello del Cagliari, Massimo Cellino, per un interrogatorio in qualità di persone informate dei fatti. Da quanto si è riusciti a sapere, pare che finora non vi siano persone iscritte nel registro degli indagati.
Tutto ha preso avvio dopo alcune telefonate intercettate nel corso di un'altra indagine, relativa a presunte irregolarità nelle gare di appalto per i servizi delle mense scolastiche comunali. Nell'ambito di questa prima inchiesta - nella quale sono indagati il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, e il vicesindaco, Paris Lippi - la Procura aveva deciso di tenere sotto controllo il telefono del presidente della Triestina, per verificare le ipotesi di eventuali collegamenti fra le gare di appalto per i servizi di mensa e le sponsorizzazioni della squadra di calcio del capoluogo giuliano. Fra le telefonate intercettate vi sono quelle relative a conversazioni avute da Berti nell'agosto del 2003, nel pieno della bufera sul ripescaggio di alcune squadre in serie B, con i presidenti del Cagliari (Cellino), del Genoa (Enrico Preziosi) e del Livorno (Aldo Spinelli).
Oltre a Berti e Cellino, la Procura di Trieste ha convocato anche Preziosi e Spinelli per ascoltarli, sempre in qualità di persone informate sui fatti. In alcune di queste telefonate - si è saputo da fonti investigative - i magistrati della Procura hanno rilevato elementi che fanno ipotizzare presunte irregolarità nello svolgimento di alcune partite del campionato di calcio di serie B del 2002-2003. Due in particolare, cui ha fatto riferimento lo stesso Berti prima di entrare negli uffici della Tributaria: quella del 12 aprile 2003, persa dalla Triestina ad Ancona per 3-0, e quella del 10 maggio 2003, persa dalla Triestina a Napoli per 2-1, proprio quando la squadra giuliana era in piena corsa per la A.
Dopo gli interrogatori si è appreso che le partite sospette sarebbero dieci. Oltre alle due citate, gli altri incontri di cui si sarebbe parlato sono Catania-Cagliari, Cagliari-Ancona, Venezia-Cagliari, Catania-Ternana e Ancona-Genoa. Sospetti sono emersi anche su altre tre partite, sulle quali, però non sono emersi particolari.
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Trieste, la nuova inchiesta sulle partite truccate: sotto accusa dieci match di serie B
«Hanno pagato il mio portiere, così ho perso»
DAL NOSTRO INVIATO TRIESTE
Dopo il presidente del Cagliari Massimo Cellino e quello della Triestina, Amilcare Berti, ieri è toccato a Enrico Preziosi, presidente del Genoa, rispondere alle domande del pubblico ministero di Trieste Giorgio Milillo. L' inchiesta è quella sulle presunte irregolarità di una serie di partite di serie B del campionato 2002 2003. Dieci in tutto. Ma sono due quelle osservate con maggiore attenzione dalla Guardia di finanza del nucleo tributario: quella del 12 aprile 2003, persa dalla Triestina ad Ancona per 3 a 0, e poi Napoli Triestina del 10 maggio 2003, che si è conclusa con la vittoria dei partenopei per 2 a 1, proprio quando la Triestina era in corsa per la A.Frode sportiva è l' ipotesi di reato, per ora contro ignoti. In sintesi, partite truccate. E un altro filone sta interessando gli investigatori: quello sui diritti tv. Fiorentina e Genoa, in base a una serie di telefonate intercettate, avrebbero ottenuto un trattamento privilegiato.
LE INDAGINI L' inchiesta, nata da un' altra indagine sulle mense scolastiche, si fonda su otto mesi di intercettazioni telefoniche. Al centro c' è Berti, presidente della Triestina, che parla con altri patron. È il 16 agosto del 2003. Berti discute con Preziosi. Berti: « Così è che si comprano le partite, e la mia se la sono comprata. Ancona Triestina se la sono comprata ».
Dall' altra parte Preziosi: « Ma scusa, Giacchetta ( nel Genoa, ndr ) si è preso 200 milioni a Genova, gli ho messo le mani addosso negli spogliatoi. Pieroni l' ha toccato là e gli ha dato i soldi e alla fine mi ha confessato. Ma io che cosa devo fare con questa gentaglia? » .
Su Ancona Genoa, vinta dai marchigiani, il patron della squadra ligure ieri ha confermato la telefonata, precisando però che si tratterebbe di voci riferite. Ed è sempre Berti che il 7 agosto 2003, parlando con Massimo Cellino, patron del Cagliari, afferma che « l' Ancona si è comprato tutto il campionato » .
E ancora: « Mi hanno derubato, Napoli e Ancona mi hanno fatto perdere la partita ». Sulla discussa Ancona Triestina, Berti chiacchierando con Preziosi si sfoga: « A me hanno comprato Angelo Pagotto » , all' epoca titolare e portiere della squadra alabardata. Il calciatore dopo quella partita è finito in panchina e poi ceduto.
CON CELLINO
Amilcare Berti e Massimo Cellino, presidente del Cagliari, parlano al telefono il 20 agosto 2003.Cellino: « Se sono vere le notizie che mi sono arrivate si sono comprati le partite a Catania contro il Cagliari. Denuncerò Gaucci e il Catania » .
E Berti: « Si sono comprati, io so anche quanto l' hanno pagata quella con il Venezia » .
Cellino: « Denuncio tutto, a questo punto Gaucci che vuole passare per quello che salva il Catania si è comprato mezze partite per l' Italia... si è comprato quelle con la Ternana, con il portiere che si è preso quel povero Spinelli, Mareggini... Poi Pieroni ha cercato di comprarsi la mia a Cagliari, e io ho buttato fuori squadra Cudini, che lo volevo denunciare e l' ho dato via... sai chi l' ha preso? Il Genoa. E Grassadonia ( difensore del Cagliari, ndr ) si è venduto la partita col Venezia. Sai chi l' ha preso? Il Venezia » . Berti tira fuori anche la Juventus parlando con Pastorello, presidente del Verona:
« Sai Fabiani, attuale direttore sportivo del Messina... era collaboratore di Moggi e per lui comprava le partite della Juve » .
Ora la Procura di Trieste interrogherà probabilmente tutti i calciatori citati nelle intercettazioni. Per il filone diritti tv non si esclude venga sentito anche Galliani, presidente della Lega Calcio e vice presidente del Milan, molto discusso nelle telefonate registrate. Mercoledì tocca a Spinelli, presidente del Livorno.
PRESIDENTI DAL PM
Massimo Cellino presidente del Cagliari: Se sono vere le notizie che mi sono arrivate, si sono comprati le partite a Catania...Amilcare Berti presidente della Triestina: So anche quanto l' hanno pagato quel risultato ottenuto dal Venezia Enrico Preziosi presidente del Genoa Quello si è preso duecento milioni... Ma che devo fare con questa gentaglia?
Marrone Cristina -(16 aprile 2005) - Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/2005/aprile/16/Hanno_pagato_mio_portiere_cosi_co_8_050416027.shtml
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LUCIANO GAUCCI
«Cellino mi offrì 10 milioni per mandare in C il Catania»
TRIESTE. E’ ancora bufera attorno all’inchiesta avviata dalla Procura di Trieste su dieci partite di serie B che potrebbero essere state «truccate» nella stagione 2002-2003.L’ex presidente del Perugia Luciano Gaucci, tirato in ballo nelle conversazioni telefoniche intercettate tra il presidente della Triestina Amilcare Berti e quello del Cagliari Massimo Cellino, è passato al contrattacco. E’ quasi un regolamento di conti tra accuse, controaccuse e minacce di querela. E spuntano anche nuove, scottanti rivelazioni.
Gaucci innanzitutto smentisce di essere stato coinvolto, durante il campionato di serie B 2002-2003, in presunti tentativi di combine: «Sono all'oscuro di tutto. Cellino dice che ho comprato Catania-Cagliari? Che mi importa di lui... Io non so niente di questo argomento e, se mai ci fosse stato qualcuno che si è comprato le partite, vuol dire che qualcun altro se l' è vendute. Non è che l'esito di una gara si può decidere a senso unico».
Ma allora come spiega Gaucci che siano state messe in giro certe voci? Chi avrebbe permesso queste cose? Gaucci è durissimo con il presidente del Cagliari: «In quella telefonata diceva che avrebbe denunciato me e il Catania? - dice - No, sarò io a denunciare lui per aver fatto certe illazioni. Ora gli faccio una bella querela, perchè il signor Cellino è quello che mi offrì 10 milioni di euro per mandare il Catania in serie C, quando stavamo facendo le cause. Io, giustamente, non accettai».
«Il signor Cellino lo denuncerò per i 10 milioni di euro che mi offrì a suo tempo e per queste sue dichiarazioni sulle partite vendute. Anzi, sporgerò querela contro chiunque farà illazioni su cose che da parte mia non esistono. Poi, da parte loro, non so».
Cellino si difende. «Io non ho rilasciato alcuna dichiarazione pubblica contro Gaucci, quindi non so a cosa si riferisce. Quello che dice lui non conta». Apparso infastidito dalle affermazioni di Gaucci, Cellino ha preferito non rispondere alle accuse. «Vorrei evitare di fare commenti - ha detto al telefono il presidente del Cagliari - anche perchè certe cose si commentano da sole.
A cosa si riferisce Gaucci? Non mi risulta di aver fatto nessuna dichiarazione pubblica e nessuna illazione». Una zuffa verbale che rischieràdi approdare nelle aule giudiziarie. Anche l’ex presidente dell’Ancona Ermanno Pieroni (ora in libertà ma che era stato arrestato il 7 agosto scorso per bancarotta fraudolenta e di truffa ai danno dello Stato) e l’ex terzino del Cagliari Grassadonia minacciano azioni legale.
Oggi, intanto, il pm Milillo interrogherà il presidente del Livorno Aldo Spinelli che sarà sentito in qualità di testimone perchè citato nelle conversazioni telefoniche intercettate. m.c. 19 aprile 2005
15 Aprile 2005 13:16:40: Oggetto: Partite trucacate
15/04/2005 13.04.00La telefonata intercettata tra Berti e Cellino (Il Giornale di Sardegna)
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È il 20 agosto 2003. Siamo in piena rivolta per la decisione della Lega di portare la serie B a 24 squadre. Il torneo cadetto si ribella e a capo dei rivoltosi c’è proprio il presidente del Cagliari Cellino. Che in questo dialogo telefonico, intercettato dalla Procura di Trieste, parla con il collega della Triestina Amilcare Berti. Si parla della Fiorentina, pietra dello scandalo. E da lì si arriva a partite accordate. Ecco il dialogo tra Massimo Cellino ed Amilcare Berti come riportato dal quotidiano di Trieste “Il Piccolo”.
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Cellino: «Domattina la Fiorentina si incontra con Sky per firmare il contratto della serie B da sola».
Berti: «Berlusconi»
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Cellino: «Ma ti rendi conto dove stiamo andando? Ma Berlusconi ha visto le dichiarazioni che ho rilasciato sull’agenzia Kilometri?»
Berti: «Cosa hai detto?»
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Cellino: «Ho detto che Pinochet era un bambino in confronto a lui»
Berti: «No, io dico che sono berlusconate, che si dovrebbe vergognare...»
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Cellino: «Ma guarda che gli si rigira.. sai quanta merda gli si ritorna attorno a Berlusconi per questo storia qui? Tu pensa domenica che casino è che non parte, che tutti non si presentano alla Coppa Italia...»
Berti: «Io non la gioco, tanto l’Atalanta...»
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Cellino: « Venerdì io gioco col Piacenza. Io non ci vado, sto rimborsando i soldi dei biglietti, io non ci vado, ho già detto all’allenatore e ai giocatori se vogliono trovarsi delle squadre se le trovino. E ho già detto al mio direttore sportivo che viene dal Catania che se sono vere le notizie che mi sono arrivate, si sono comprati le partite a Catania contro il Cagliari. Denuncerò Gaucci e il Catania».
Berti: «Si sono comprati, io so anche quanto l’hanno pagata quella col Venezia».
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Cellino: «Denuncio, denuncio tutto. A questo punto Gaucci, che vuole passare per quello che salva il Catania, si è comprato mezze partite per l’Italia... Si è comprato quella con la Ternana, con il portiere che si è preso quel povero Spinelli, Mareggini...»
Berti: «Pieroni si è comprato la mia con..»
Cellino: «Pieroni ha cercato di comprarsi la mia a Cagliari e io ho buttato fuori squadra Cudini, che lo volevo denunciare e l’ho dato via... Sai chi l’ha preso? il Genoa».
Berti: «Si, si..»
Cellino: «Grassadonia si è venduto la partita col Venezia. Sai chi l’ha preso? Il Venezia»
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Gaucci contro Cellino: "Mi offrì 10 milioni di euro per mandare il Catania in serie C"."Sarò io a denunciare Cellino"!
Il bersaglio è il presidente del Cagliari Cellino: "In quella telefonata diceva che avrebbe denunciato me e il Catania? No, sarò io a denunciare lui per aver fatto certe illazioni. Ora gli faccio una bella querela, perché il signor Cellino è quello che mi offrì 10 milioni di euro per mandare il Catania in serie C, quando stavamo facendo le cause. Io, giustamente, non accettai. Il signor Cellino è un uomo poco perbene. Lo denuncerò per i 10 milioni di euro che mi offrì a suo tempo e per queste sue dichiarazioni sulle partite vendute. Anzi, sporgerò querela contro chiunque farà illazioni su cose che da parte mia non esistono. Poi, da parte loro, non so".
Ecco alcuni stralci delle intercettazioni telefoniche che hanno dato il via all'inchiesta.
Il 20 agosto 2003 Massimo Cellino chiama Amilcare Berti. È in corso in quei giorni lo sciopero della serie B per i diritti televisivi.
Cellino: «Domattina la Fiorentina si incontra con Sky per firmare il contratto della serie B da sola».
Berti: «Berlusconi». Cellino: «Ma ti rendi conto dove stiamo andando? Ma Berlusconi ha visto le dichiarazioni che ho rilasciato sull'agenzia Kilometri?» Berti: «Cosa hai detto?»
Cellino: «Ho detto che Pinochet era un bambino in confronto a lui».
Berti: «No, io dico che sono berlusconate, che si dovrebbe vergognare...»
Cellino: «Ma guarda che gli si rigira.. sai quanta merda gli si ritorna attorno a Berlusconi per questo storia qui? Tu pensa domenica che casino è che non parte, che tutti non si presentano alla Coppa Italia...»
Berti: «Io non la gioco, tanto l'Atalanta...»
Cellino: «Venerdì io gioco col Piacenza. Io non ci vado, sto rimborsando i soldi dei biglietti, io non ci vado, ho già detto all'allenatore e ai giocatori se vogliono trovarsi delle squadre se le trovino. E ho già detto al mio direttore sportivo che viene dal Catania che se sono vere le notizie che mi sono arrivate si sono comprati le partite a Catania contro il Cagliari. Denuncerò Gaucci e il Catania».
Berti: «Si sono comprati, io so anche quanto l'hanno pagata quella col Venezia».
Cellino: «Denuncio, denuncio tutto a questo punto Gaucci che vuole passare per quello che salva il Catania, si è comprato mezze partite per l'Italia... si è comprato quella con la Ternana, con il portiere che si è preso quel povero Spinelli, Mareggini...»
Berti: «Pieroni si è comprato la mia con...»
Cellino: «Pieroni ha cercato di comprarsi la mia a Cagliari e io ho buttato fuori squadra Cudini, che lo volevo denunciare e l'ho dato via... sai chi l'ha preso? il Genoa».
Berti: «Si, si..» Cellino: «Grassadonia si è venduto la partita col Venezia. Sai chi l'ha preso? Il Venezia». 18 Aprile 2005
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In una conversazione del presidente triestino Berti con il suo collega Preziosi emerge il malessere per troppi incontri dal finale «strano».
Amilcare Berti chiama Enrico Preziosi, presidente del Como e del Genoa. Sono le 15.06 del 16 agosto 2003 e i due parlano per quasi dieci minuti.
Berti: «Siccome sono corretto nella gestione dell'azienda, sarei contento di fare un po' di casino».
Preziosi: «Io domani, io lunedì te lo dico, ti preavverto quando ho finito con Galliani. Con tutto questo casino perché io capisco che salvino Napoli e Roma , ma l'Ascoli, l'Ancona, Pieroni è sempre stato un delinquente... porca puttana».
Berti: «Quello è proprio un delinquente».
Preziosi: «No, non ha mai pagato nessuno».
Berti: «Si compra le partite, fa dei casini».
Preziosi: «Mi ha rubato quattro partite, ha toccato quattro volte i nostri giocatori, è uno che viaggia, è indagato dalla magistratura, tu lo sai che questo qui è indagato per riciclaggio. Ma vogliamo smetterla o no? Adesso Pieroni si considera parte offesa».
Berti: «Così è che si comprano le partite e la mia se la sono comprata Ancona, Ancona-Triestina, se la sono comprata...»
Preziosi: «Ma scusa, Giacchetta si è preso 200 milioni a Genova, gli ho messo le mani addosso negli spogliatoi.
Pieroni, l'ha toccato là, e gli ha dato i soldi e alla fine mi ha confessato. Ma io cosa devo fare con questa gentaglia qui?»
fonte. unione sarda e pianetanapoli
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E Cellino disse: «Mi ha garantito la serie A»
CI sono intercettazioni e intercettazioni, ci sono inchieste e inchieste. Ci sono stagioni e stagioni. La Primavera dello scorso anno, ad esempio, non doveva essere periodo propizio perché potesse emergere alcuna “cupola” del calcio italiano. O, chissà, la Procura di Trieste era meno agguerrita di quelle torinesi, romane o napoletane. Il pm Giorgio Milillo inciampò in quelle conversazioni per caso, perché nell’estate del 2003 aveva fatto mettere sotto controllo le utenze dell’allora presidente della Triestina, Amilcare Berti, e di altri dirigenti della società per una storia di mense e appalti comunali.Ma quella del 2003 fu un’estate molto calda per il calcio italiano, perché Luciano Gaucci, allora proprietario del Catania al cui figlio Riccardo aveva affidato la presidenza, scatenò la “battaglia” dei Tar per riavere i punti persi nella sfida contro il Siena che in quella gara schierò per errore il giocatore
Martinelli squalificato.
Un sassolino regolamentare innescò una devastante frana che mise in difficoltà i vertici del calcio, dal presidente federale Carraro a quello della Lega Galliani, ma anche lo stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. La soluzione fu il “mostruoso” campionato di B a 24 squadre con il ripescaggio del Catania, ma anche del Genoa, della Salernitana e della Fiorentina di Della Valle (che fece il famoso e famigerato “doppio salto” bypassando la C1 appena conquistata.
Prima di accettare questa soluzione politica (pillola indorata dalle 6 promozioni concesse) i presidenti “dissidenti” guidati da Massimo Cellino (Cagliari), Aldo Spinelli (Livorno) e appunto Berti eressero barricate (che non furono solo metaforiche, come accadde a Livorno) e bloccarono il campionato. I magistrati, così, “incrociarono” telefonate di fuoco in cui si parlava di partite comprate, di favori politici, garanzie di promozione.
Rileggiamone una delle 19,42 del 20 agosto 2003 tra Massimo Cellino e Amilcare Berti.
Cellino: «Sai cosa mi ha detto Galliani ieri notte? Non perdere tanto ossigeno per i tuoi colleghi che tanto te lo tirano in culo. Lo accettano tutti l’accordo sui diritti televisivi. Mi ha detto che sono una manica di stronzi. Stai buono Cellino che vieni in A l’anno prossimo. Berti, hai capito cosa mi ha detto?».Berti: «Quando te l’ha detto?»
C: «Ieri sera. Mi ha detto vienitene in A e mandali a fanculo. Mi ha detto. Hai capito che la Lega di serie B «si deve staccare da quella di serie A. Secondo me Adriano Galliani dovrebbe dare le dimissioni ».
C: «Ma come posso sperare io che Galliani tuteli i nostri interessi quando è un lavoratore dipendente di Berlusconi. Ma con quale speranza… Poi questo poveraccio si trova in mezzo a una strada senza uno stipendio e noi l’abbiamo messo a rappresentare i nostri diritti. Ma hai mai letto una dichiarazione di Galliani contro questa storia? Allora te ne racconto io una che ti fa capire a quale livello è Galliani. Sei seduto? Cerca di non cadere».
B: «Vai, vai».
C: «L’altro giorno hanno finito l’assemblea di serie A e vedo Preziosi appoggiato al muro e fuori dall’assemblea che parlava come fanno i mafiosi con la bocca puntata verso il muro. Galliani gli era a fianco. Non so cosa stessero dicendo. So solo che quando la discussione è terminata, Preziosi ha sorriso e i due si sono scambiati una stretta di mano che non ho capito cosa volesse dire. Non ci ho pensato sul momento, ma ieri notte ci sono arrivato».
B: «Va bene, lasciamo stare, tutto fa schifo…».
C: «La Fiorentina l’hanno portata in serie B… Hanno fatto la sommatoria dei voti che può prendere tra Catania, Genova, Fiorentina e Salerno. Ma le altre venti città?».(…)
B: «Sono d’accordo con te».
C: «Su questo può cadere il governo, l’opposizione la cavalca. Vedrai se mi sbaglio io. Ma lo sai da dove nasce tutto? Berlusconi ha detto, fuori la politica dal calcio, giusto? Il giorno dopo gli hanno sparato quelli di Alleanza nazionale. Gli hanno sparato il nome di Rivera. Hai capito? Gli hanno sparato il nome di Rivera e come Berlusconi ha letto quel nome non ha capito più un cazzo. Ha preso l’aereo ed è venuto a Roma: ha fatto il decreto e fa dire al suo addetto stampa che lui è stato silenzioso ».
B: «Beh, tanto ci vediamo venerdì…».
C: «Secondo te non la vinciamo noi questa?»
B: «La vinciamo se stiamo uniti ».
C: «Domani il Coni si deve riunire per ratificare questa decisione ».
B: «Anche io ho dichiarato che non scendo in campo».
C: «(…) C’è chi non si compra le partite, ha i bilanci a posto, paga le tasse. Inculato chi non si compra le partite, chi non compra i giocatori, chi hai bilanci a posto. Vanno a farsi proteggere dalla cupola, capisci? (…).
Ho speso nel mio piccolo tra stipendi e tutto, altri 15 miliardi per fare li un campionato di 24 squadre dove ci sarà un Genoa che a questo punto se lo portano in A assieme alla Fiorentina.
A questo punto aiuteranno oltre al Genoa e alla Fiorentina, la Salernitana, il Catania e anche loro andranno in seria A perché se è vero che comandano loro come fanno con gli arbitri, chi ci salva più? Ci ritroveremo io, te Spinelli e Zamparini in serie C l'hanno prossimo e decreti per noi non se ne faranno più».
I magistrati di Trieste effettuarono perquisizioni in Lega e interrogarono i presidenti che dichiararono di aver solo riferito frasi per sentito dire. Con tanti saluti alla cupola. 30 Maggio 2006
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QUESTO E L'AMILCARE BERTI PRESID DELLA TRIESTINA , CHE COME CELLINO, L'ILLECITO LO PORTA SCRITTO IN FRONTE!
Mariano Grosi
venerdì, dicembre 14, 2012
CRONACHE - I BRACCI ARMATI DELLA MASSONERIA: GIOVANNI MALAGO'-GIANNI PETRUCCI, ECCETERA'!
I BRACCI ARMATI A COLLOQUIO: IL SICARIO e IL PORTAORDINI
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Claudio Cerasa - 19 Febbraio 2013
Chi è Giovanni Malagò, il nuovo capo del Coni?
Giovanni Malagò è da pochi minuti il nuovo presidente del Coni. Direte voi: e chi è Malagò? Nel 2009, nel libro che ho scritto su Roma per Rizzoli, ho dedicato un capitolo a lui e alla sua straordinaria capacità di creare relazioni a Roma, partendo da un circolo sportivo (l'Aniene). Il personaggio merita. Qui un piccolo estratto dal libro
Giovanni Malagò arriva al circolo canottieri alle 21.45 del 4 agosto 2009 ed è molto soddisfatto: i Mondiali di nuoto sono appena finiti, tre delle quattro medaglie conquistate dall’Italia sono state ottenute da soci del suo circolo (Federica Pellegrini e Valerio Clerici) e di questi suc cessi il presidente dell’Aniene ne ha appena parlato in Campidoglio con il sindaco Alemanno.
Malagò accende un grosso sigaro cubano, si siede di fronte a un tavolino immerso nell’odore umido del fiume Tevere, e inizia a parlare del «mondo parallelo» del circolo Aniene: un mondo di cui non aveva mai parlato prima. Da queste parti direbbero che è parecchio glamour: pantaloni estivi grigio nocciola, mocassini neri senza fibia, camicia bianca sbottonata, petto abbronzato. Il presidente è un personaggio tutto da raccontare.
Per anni è stato il punto di riferimento romano di Giovanni Agnelli che, in onore al gran seduttore dominicano che nella Parigi del primo Novecento conquistò le donne più belle del mondo, lo chiamava il Porfirio Rubirosa dei Parioli. Malagò di fatto non ha mai nascosto di essere, oltre che uomo di potere, anche un discreto latin lover.
Prima dei figli avuti con Polissena di Bagno (oggi moglie dell’editore Carlo Perrone) e Lucrezia Lante della Rovere (figlia a sua volta del duca Alessandro Lante della Rovere e di Marina Ripa di Meana), Malagò ha avuto parecchie fidanzate famose (Claudia Gerini, Monica Bellucci) e chiunque voglia trovare informazioni su tutto quello che di mondano accade a Roma deve rivolgersi proprio a lui, «Megalò», come l’aveva ribattezzato un’altra Agnelli (Susanna).
Ogni mattina prima delle nove e trenta, l’avvocato chiamava «Giovannino» per chiedergli quanto di nuovo accadeva nella vita (non solo politica) della Capitale, e Malagò metteva sempre a disposizione il suo tesoretto di conoscenze romane ereditato in parte dalla madre che – da nipote del vecchio ministro della Democrazia cristiana Pietro Campilli e dell’ex governatore della Banca d’Italia Donato Menichella – aveva costruito nel corso degli anni una buona rete di relazioni nella borghesia capitolina.
Le molte note di colore relative alla sua vita privata (Malagò è amico tanto di Walter Veltroni quanto di Francesco Totti; tanto dei fratelli Vanzina quanto di Luca Cordero di Montezemolo; tanto di Carla Bruni quanto di Gianni Letta; tanto di Giuseppe Tornatore quanto di Luigi Abete) nascondono però un personaggio complesso che va ben al di là del potente uomo di sport.
Questo signore con il fisico asciutto e la fama da sciupafemmine è infatti conosciuto a Roma anche per quel suo lungo curriculum di manager di successo che gli ha permesso di rendere l’Aniene un cruciale canale di dialogo tra molte amministrazioni e i potenti della città. Lo stesso Megalò ammette l’esistenza, all’interno dell’Aniene, di un mondo parallelo che vive in simbiosi con quello sportivo: «Da un lato ci sono le medaglie olimpiche, le performance dei grandi atleti. Dall’altro c’è tutto quello che riguarda la vita di imprenditori, manager, professionisti, banchieri, giornalisti e costruttori romani.
Il clima che si crea nella nostra struttura ha dato la possibilità di dare vita ad aggregazioni tra banche, di favorire molti accordi strategici per la città, di firmare alleanze tra imprenditori e di trovare importanti intese politiche. È successo più volte che soci illustri dell’Aniene abbiano concluso grandi affari nel nostro circolo ma questo avviene in maniera non voluta. Diciamo pure casuale: qui si mangia, si beve, si gioca a tennis, si fuma un sigaro, si parla, non so, della Roma calcio, dell’Alitalia, scattano i meccanismi di complicità, si risolvono i problemi e si concludono accordi.
Sarebbe stupido nasconderlo: l’Aniene significa sport ma in un certo senso significa anche business. È per questo, per i particolari valori che esprime il nostro circolo, che mi hanno chiesto di entrare a far parte di altre formidabili famiglie romane. Penso all’Unicredit. Ma penso anche all’Auditorium».
Il potere dei circoli è una forza reale con cui ogni amministrazione cittadina deve fare i conti. Come spiega l’assessore alla cultura di Roma Umberto Croppi, «i circoli hanno obiettivamente l’ambizione di essere anche un potere di supplenza delle politiche romane ma è anche vero che cominciano a contare davvero a Roma nel momento in cui le altre strutture di comando esercitano in modo non ottimale le proprie funzioni amministrative ».
Questi, spiega l’assessore, sono ambienti di cui va tenuto conto anche per il semplice fatto che hanno una loro funzione all’interno della produzione culturale della città: sono luoghi di scambio, di socializzazione, di mediazione. «L’errore commesso fino a oggi, a mio avviso, è stato quello di aver considerato i circoli come uno dei volti senza cui sarebbe sostanzialmente impossibile controllare gli equilibri della città: ed è proprio un atteggiamento di questo tipo ad averli trasformati in ambienti dove ognuno crede quasi di essere il padre eterno.»
Per provare a capire in termini più concreti la forza di un circolo come l’Aniene e per comprendere in che senso questa realtà rappresenti davvero una sorta di «partito reale ed efficiente della classe borghese», il modo migliore è quello di scoprire i nomi di alcuni soci illustri.
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-Marco Tronchetti Provera Boss Pirelli ed ex numero uno di Telecom,
-Luigi Abete, presidente della Banca nazionale del lavoro,
-Fabio Gallia, direttore generale Banca nazionale del lavoro
-Emanuele Emmanuele, numero uno della fondazione bancaria più ricca della Capitale (la Fondazione cassa di risparmio di Roma).
-Cesare Romiti (presidente onorario di Rcs Media Group e fondatore della società finanziaria Gemina),
-Alessandro Benetton (vicepresidente esecutivo del gruppo Benetton),
-Elio Catania (ex presidente e amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato),
-Luca Cordero di Montezemolo (presidente della Ferrari ed ex numero uno di Confindustria),
-Matteo Cordero di Montezemolo (figlio di Luca e amministratore delegato della società di private equity Charme),
-Vittorio Merloni (presidente di Indesit Company),
-Andrea Mondello, (presidente della Camera di commercio di Roma),
-Giuseppe Statuto (immobiliarista romano), i fratelli Toti, importanti costruttori (
-Claudio Toti, presidente della Virtus Roma
-Pierluigi Toti, azionista del gruppo Rizzoli, A
-lessandro Angelucci (figlio di Antonio, editore di «Libero » e del «Riformista», e titolare di un articolato impero nella sanità privata romana e il cui fratello, ..Giampaolo, il 5 febbraio 2009 è stato coinvolto nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Velletri a proposito di una truffa per 170 milioni ai danni del ..Servizio sanitario nazionale),
-Carlo Perrone (editore del «Secolo XIX»)
-Andrea Rizzoli (direttore marketing della Rizzoli audiovisivi). Ci sono molti componenti di una potente famiglia romana, i
-Famiglia Caltagirone,
-Francesco Bellavista Caltagirone, bracci operativi del loro gruppo,
-Massimo Caputi importante braccio operativo del gruppo Caltagirone
-Luca Danese (imprenditore romano e nipote della moglie di Giulio Andreotti),
-Maurizio Gasparri (ex ministro della Comunicazione e capogruppo al Senato del PdL),
-Jas Gawronski (parlamentare europeo del Popolo della Libertà ed ex portavoce di Silvio Berlusconi),
-Gianni Letta (piduista e sottosegretario alla presidenza del Consiglio),
-Antonio Marzano (numero uno del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro e presidente della commissione per le riforme voluta dal sindaco di ..Roma Gianni Alemanno), Altero Matteoli (ministro delle Infrastrutture del quarto governo Berlusconi), Raffaele Ranucci (imprenditore romano, senatore ..del Partito democratico e grande amico di Francesco Gaetano Caltagirone),
-Andrea Ronchi (ministro per le Politiche comunitarie del Popolo della Libertà),
-Walter Veltroni (ex sindaco di Roma ed ex segretario del Pd),
-Piero Marrazzo (governatore della Regione Lazio),
-Rocco Crimi (sottosegretario allo Sport presso la presidenza del Consiglio), Mario Pescante (ex presidente del Coni e deputato del Popolo della Libertà), -Gianni Petrucci (numero uno del Comitato olimpico nazionale)
-Franco Chimenti (presidente della Federazione italiana golf).
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Diventare soci dell’Aniene non è semplice. L’ingressonel circolo avviene per gradi: la domanda deve esserepresentata da due soci con almeno cinque anni d’anzianità (la lista d’attesa oggi è lunga trenta mesi) e deveessere valutata da un collegio dei probiviri formato dasette persone socie del circolo da più di quindici anni.L’esame dura venti minuti: si verifica lo status delle persone,ogni proboviro fa una domanda al candidato e se ilcolloquio va bene inizia un periodo di frequenza che puòdurare da un minimo di tre a un massimo di quattro mesi.In questo spazio di tempo il candidato frequenta ilclub senza esserne socio, quando entra mette una firma sul registro delle presenze e a poco a poco si fa conoscere.
Alla fine del periodo di prova, il suo ingresso viene votatoda ogni socio su una scheda colorata. Ogni voto negativodeve essere bilanciato da tre voti positivi e nel casoin cui il parere contrario arrivi da membri con più diventicinque anni di anzianità i segni positivi, invece chetre, devono essere cinque. Dal 1997, ovvero da quando Malagò è presidente, nessuno è però mai stato bocciato. Ovviamente, se il presidente propone al collegio deiprobiviri una nomina onoraria, si può diventre soci anchesenza seguire il complesso iter di ammissione.
«Il criterio è semplice» ammette Malagò. «Premiamo chi hafatto qualcosa di concreto e di fattivo per il circolo.» Sitratta dunque di casi eccezionali, che accadono di rado. Fino al 2008, nell’arco di tutta la presidenza Malagò, era successo solo due volte: nel 2006 con il governatore del Lazio Piero Marrazzo, «perché ha fatto una cosa per noimolto importante: ha rinnovato le concessioni che eranoferme da quarant’anni»; nel 2007 con l’allora sindaco Walter Veltroni, «perché ci ha dato la possibilità di ultimareun percorso che avevamo iniziato negli anni». Gli affari.
Molti dei grandi affari siglati all’Aniene riguardano in primapersona proprio Malagò. E gli esempi da fare sono molti. La conoscenza personale di Carlo Toto (numerouno di Air One) lo ha messo nelle condizioni di assumereun ruolo importante all’interno della compagnia aerea (Megalò è stato membro del consiglio di amministrazionedella stessa Air One) e di svolgere un’intermediazione decisiva con gli ambienti di Confindustria ai tempi della nascita della cordata di imprenditori che ha salvato la compagnia di bandiera italiana, l’Alitalia.
La sua amicizia con l’avvocato Agnelli gli ha consentito di acquisire quelle ulterioriesperienze necessarie per consolidare il suo ruoloda amministratore delegato di una delle più famose concessionarie romane, la Samocar (fondata nel 1977 dal padre Vincenzo). L’intesa con Luca Cordero di Montezemolo ha rafforzato il suo ruolo di rappresentante ufficiale del marchio Ferrari nel Lazio, nella Campania, in Toscanae in Sardegna (a Roma chiunque voglia avere una Ferrari in anteprima è proprio a Malagò che si deve rivolgere) e quello di consigliere d’amministrazione della Tecni-mont (la divisione di ingegneria e sviluppo della Montedison di cui tra l’altro è socio il figlio di Luca Cordero,Matteo).
La stima che ha per lui il numero uno di Mediobanca Cesare Geronzi gli ha inoltre consentito di essere nominato membro del cda della banca più importanted’Italia (l’Unicredit). Il suo rapporto con le passate amministrazionidi centrosinistra (e in particolare con l’expresidente della Provincia di Roma Enrico Gasbarra el’ex sindaco di Roma Walter Veltroni) lo ha proiettato nel consiglio d’amministrazione dell’Auditorium e della Festadel cinema. I suoi ottimi rapporti con Piero Marrazzo lo hanno lanciato nel consiglio di amministrazione di unaimportante realtà culturale (la Fondazione Lazio).
Il suo feeling con Lupo Rattazzi (figlio di Susanna Agnelli) gli haconsentito di fondare insieme a lui una società di investimento (la GL Investimenti). E infine, oltre a essere advisor di una delle principali banche d’affari del mondo(l’Hsbc), Malagò è anche vicepresidente della squadradi basket romana: quella Virtus Roma che ha presiedutofino al 2001 e il cui numero uno è oggi il costruttore Claudio Toti (socio dell’Aniene e compagno di calcetto di Malagò).
Se è vero che dal punto di vista sportivo l’Aniene rappresenta un’eccellenza nel panorama internazionale – il circolo ha portato ventuno atleti alle ultime Olimpiadi,ha strutturato campioni come Federica Pellegrini (oronei duecento stile libero a Pechino 2008 e oro nei 400 e200 stile libero ai Mondiali di Roma del 2009), come Alessio Boggiatto (oro nei quattrocento misti ai Mondialidi Fukoka nel 2001) e come Lorenzo Porzio (bronzo nel canottaggio alle Olimpiadi di Atene 2004) – è anche vero, come abbiamo visto, che i circoli sportivi esercitano una forte «pressione» nelle partite più importanti chesi disputano nella Capitale.
Un’attività in parte raccontata dallo stesso Malagò nel corso di un convegno organiz-zato a Milano dalla «Gazzetta dello sport» nel dicembredel 2005.
Il presidente dell’Aniene era stato il manager incaricato di creare le condizioni affinché Roma si aggiudicasse l’edizione 2009 dei Mondiali di nuoto. Grazie alsuccesso dell’impresa, Malagò era stato invitato a Milano per illustrare le modalità con cui aveva portato a terminel’operazione e con cui aveva ottenuto l’assegnazione peri Mondiali del 2009.
Ecco infatti come Malagò descrisse in quell’occasione la sua strategia: «Per i Mondiali eravamo sfavoriti. I giapponesi avevano siglato un accordo con la Fina, ma noi facemmo un gran lavoro di lobbing e alla fine sapevamo chi erano gli undici delegati che avrebbero votato per Roma, uno per uno». Le sincere parole del presidente (che sostanzialmente ha ammesso di essere venuto a conoscenza prima del tempo di chi aveva intenzionedi votare la candidatura dell’Aniene e di chi no) scatenarono un piccolo caso diplomatico. Da Yokohama chiesero di smentire la dichiarazione e persino la Federazione internazionale del nuoto (la Fina) chiese chiarimenti immediati. Fatto sta che «il gran lavoro di lobbing» alla fine sortirà un ottimo risultato e Malagò quei Mondiali li otterrà davvero.
(...)
Il 6 maggio 2009, al Comitato olimpico spettava scegliereil nuovo presidente nazionale e i candidati che sisarebbero dovuti sfidare erano tre: Gianni Petrucci,Franco Chimenti e Paolo Barelli. Chimenti si ritirerà a metà aprile 2009. Barelli (presidente della Federazioneitaliana nuoto e senatore del Popolo della Libertà) eral’unico degli aspiranti a non essere iscritto al circolo di Malagò e la sua eventuale elezione avrebbe avuto l’inevitabile effetto di indebolire un po’ l’universo legato al circolo canottieri Aniene. Il sindaco di Roma si rese presto conto di come quell’elezione fosse un buon pretesto per sottrarre potere al mondo di Letta, e decise diappoggiare apertamente Paolo Barelli, anche a costo di contravvenire a una regola non scritta secondo la quale la politica deve rimanere fuori da un’elezione delicata come quella del Coni.
Il 15 aprile 2009 arrivò dunque ladichiarazione d’amore: «Paolo Barelli» disse Alemanno all’Adnkronos «è una garanzia per lo sport italiano». Pur essendo Barelli un senatore del Popolo della Libertà, Letta lavorò a lungo per evitare che il candidato di Lupomanno acquisisse eccessivo peso nella più importante istituzione sportiva romana (e nazionale). Il pretestodello scontro arrivò con un’intervista rilasciata da Barelli alla «Gazzetta dello sport» nel marzo del 2009, in cui il senatore del PdL lasciava intendere l’appoggio diretto alla sua campagna da parte di Silvio Berlusconi.
«Per rispetto e coerenza» disse «non potevo fare un passo del genere senza confrontarmi col presidente del Consiglio.» Questa frase mise Letta nelle condizioni di poter intervenirein via ufficiale nella battaglia del Coni e il giorno dopol’intervista inviò una nota ufficiale a tutte le redazionidei giornali sportivi nazionali spiegando che Barelli nonera affatto appoggiato da Palazzo Chigi.
Alla fine, il mondo dell’Aniene uscì doppiamente vincitore. Oltre alla nomina di Petrucci (la terza consecutiva), nel corso delle stesse elezioni la giunta federale delComitato olimpico nazionale registrò l’ingresso di unnuovo membro. Un uomo del circolo canottieri Aniene, Giovanni Malagò.
19 Febbraio 2013 - Claudio Cerasa. Chi è Giovanni Malagò, il nuovo capo del Coni
IL SICARIO DEI POTERI FORTI NELLA CAPITALE
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mercoledì, dicembre 12, 2012
GLI SCUDETTI SCIPPATI? JUVENTINI, NIENTE ILLUSIONI. FU BARATTO! QUALI GLI SCOPI? CREARE UN GOGNA MEDIATICA CON MOGGI E GIRAUDO IN PRIMA PAGINA, PER FUORVIARE L'ATTENZIONE DAI FURTI ALLO STATO-ITALIANO E ALLE FAMIGLIE RICCHE E POTENTI, CHE I POTERI OCCULTI STAVANO/STANNO PERPETRANDO
IL TRADIMENTO DI GIUDA
La vocina mi dice che, la Corte di Cassazione Troverà la Juventus innocente, è Moggi Colpevole!
Quali sono gli effetti che la sentenza di ieri potrà avere sulle iniziative giudiziarie pendenti che ha promosso la Juventus?
Avv. Prioreschi: Non conosco nel dettaglio le iniziative giudiziarie
promosse dalla Juventus. In ogni caso anche per quanto riguarda i loro
ricorsi credo sia necessario aspettare il dispositivo e soprattutto le
motivazioni. Di sicuro alla Juventus avrebbe fatto comodo non solo
l'assoluzione completa ma almeno quella in relazione al capo di
associazione per delinquere di Giraudo. Tutto è rimandato quindi alla
Corte di Cassazione.
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Mio Commento: Troppo Ottimista Avvocato Prioreschi. Quindi è TUTTO
rimandato alla Corte di Cassazione....Fosse un mio amico l'Avvocato
Prioreschi, lo inviterei a ricordarsi del responso della corte di
cassazione sul sull'assoluzione della corte d'Appello del processo
Doping.
Mi fa specie, che un Avvocato di qualita' ed esperienza come Maurilio
Prioreschi, non abbia ancora capito che quando ha accettato di difendere
Luciano Moggi, di conseguenza Giraudo-Juventus, e' entrato all'inferno,
nel cui portone d'entrata c'era/c'e' scritto: Lasciate ogni Speranza,
Voi Ch'entrate! Possibile che l'Avvocato Prioreschi non da la giusta
importanza al brutale rigetto di TUTTE le sue arringhe! di TUTTI i
VERDETTI in FOTOCOPIA-di TUTTI i PROCESSI a Moggi, e' non si faccia la
domanda: Ma Cosa Succede!!!?
Auguri Avvocato. Dio sa quanto vorrei sbagliarmi! Purtroppo....c'e'
anche la Spada di Damocle intimata il: 29/04/2010 da John Elkann:
«Le
regole esistono e vanno rispettate, in nessun caso la Juve chiederà di
riaprire i vecchi processi»
RIFLETTA AVVOCATO RIFLETTA
martedì, dicembre 11, 2012
Gli ATTENTATI della GANG-NAPOLETANA: LEPORE-NARDUCCI_AURICCHIO
LA GANG DELLA DISCARICA DI NAPOLI
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Il Giornale - Gian Marco Chiocci - 21 febbraio 2012
NEL PAESE DEI MORATTI: I MISTERI DI TRONCHETTOPOLY.
Alla scoperta della banda della discarica (discarica la procura del tribunanale ) di napoli.
IL GIORNALE
21 febbraio 2012 - Gian Marco Chiocci: Calciopoli, il video-fantasma scomparso dalla procura 1
1-Era la prova regina contro Moggi ma nelle immagini dei sorteggi arbitrali recuperate dal «Giornale» ci sono strane incongruenze
La prova regina dello scandalo di Calciopoli che ha dato il là all’inchiesta su Moggi & co (le tenui motivazioni di condanna sono state rese note il 6 febbraio scorso) è un video. Che non si trova più. Il filmato ritrae, o meglio dovrebbe ritrarre, il taroccamento dei sorteggi arbitrali nella stagione 2004/2005.
Il dvd girato il 13 maggio 2005 nel centro tecnico di Coverciano da uno dei carabinieri dell’indagine Off Side ha costituito materiale per la condanna a tre anni col rito abbreviato di Antonio Giraudo e di alcuni arbitri. Non solo. È stato utilizzato dal magistrato Francesco Saverio Borrelli, allora inquirente della Federcalcio, per imbastire il processo sportivo del 2006 che ha stravolto il calcio italiano con la retrocessione della Juve e la revoca di due scudetti. E soprattutto ha rappresentato il perno d’accusa dei pm napoletani Narducci, Beatrice (e poi Capuano) nelle indagini e poi al dibattimento.
Un documento importantissimo. Peccato, però, che quella fondamentale ripresa audio-video nei fascicoli del rito ordinario e dell’abbreviato non c’è, nonostante della sua visione abbia parlato il pm napoletano Stefano Capuano nell’ultima udienza, l’9 novembre 2011: «Andate a vedere il filmato anche voi, il filmato parla chiaro (...) rappresenta esattamente quanto vergato dal maresciallo Ziino, l’ho visto io, era senza audio». Impossibile per le difese avere copia dell’originale. Tant’è che la Corte d’appello di Napoli spiega che «il filmato da riprodurre non è in possesso di questa cancelleria» mentre il 23 gennaio 2012, la nona sezione del Tribunale, sottolinea che il video ce l’ha «l’ufficio di Procura dal 29 luglio 2009». Ce l’ha dunque il pm? La domanda ha un senso perché la stessa istanza, rivolta alla procura, è caduta nel vuoto. Perché non esce? E perché si è arrivati alle condanne (abbreviato, Federcalcio, Napoli) senza metterlo a disposizione degli imputati, lasciando a questi ultimi le fotocopie dei fotogrammi delle immagini estrapolate dal filmato?
Durante la camera di consiglio del processo napoletano, al giudice Casoria che secondo alcune indiscrezioni ne avrebbe preteso la visione, sarebbe stato risposto che no, al momento, non era possibile dare un’occhiata come suggerito dal pm. Le difese sono certe che la sequenza delle immagini riversate nel rapporto del maresciallo Sergio Ziino non rappresenta il cronologico svolgersi degli eventi di quella mattina. Le foto sono mischiate. Ad arte o per sbaglio? Quel video è scomparso dalle aule giudiziarie ma è stato in parte trasmesso il 15 dicembre 2009, in una fiction de La7 su Calciopoli, poche ore dopo le condanne del rito abbreviato.
E cosa si vedeva in quello spezzone? Che a differenza di quanto riportato nel rapporto del maresciallo, dove si asseriva che era stato il designatore Paolo Bergamo a estrarre la pallina «incriminata» dall’urna trasparente davanti a dieci giornalisti e altri testimoni (c’era pure un notaio), a tirar fuori la sfera dello «scandalo» è stato in realtà un cronista. Nel caso specifico Riccardo Bianchi, della Provincia di Como. L’interessato, nell’udienza del primo ottobre 2010 a Napoli, affermerà: «Arrivai a Coverciano 15 minuti prima del sorteggio (...). Pairetto, come da procedura, ha estratto le pallina con le partite, mentre io ho estratto quelle coi nomi degli arbitri (...). Nessuno mi suggerì di muovere la mano a seconda di colpi di tosse, e certo Bergamo e Pairetto non mi indirizzarono in alcun modo: l’avessero fatto nei giorni precedenti avrei potuto fare lo scoop della vita e sarei diventato famoso. Il sorteggio fu regolarissimo».
Di questo giornalista nel rapporto non c’è traccia. O meglio «nella foto numero 9» che lo ritrae viene invece definito «dipendente Figc» che indossa una «divisa ufficiale della federazione». A prescindere dal fatto che Bianchi è in abiti civili, quel che è più grave è che viene immortalato a cose fatte, a sorteggio effettuato, con Bergamo intento a leggere il nome dell’arbitro. Mentre nella foto successiva, la 10, si vede il segretario della commissione arbitrale Manfredi Martino portare le buste per l’estrazione, a urne ancora vuote, col sorteggio ancora da fare.
Perché quest’inversione? Un abbaglio? Le coincidenze diventano troppe se si osservano le foto a seguire: nella numero «12» il tavolo è vuoto, le urne vuote, le sedie vuote, e dei designatori non c’è traccia. Le buste delle palline portate in quel momento da Martino sono intatte. All’improvviso, dopo un primo piano di Bergamo (foto 13), ecco la foto 14: tutti al loro posto, dietro al tavolo, buste intatte, urne vuote e il giornalista Bianchi pronto. Il clou arriva con la foto numero 17 quando, scrivono i carabinieri, «a Bergamo cade sul tavolo una pallina». In sentenza l’episodio dubbio viene platealmente ridimensionato.
Il sospetto che l’errata disposizione delle immagini non sia casuale nasce dal fatto che è la sequenza delle fotografie estratte dal video (fantasma) sembra fatta apposta - ad occhi disattenti - a dimostrare l’inciucio.
Ma come poi dirà il giudice Casoria nel motivare la sentenza di condanna di Moggi «che il sorteggio non sia stato truccato è emerso in maniera sufficientemente chiara al dibattimento. Incomprensibilmente il pm si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite, di altri particolari, se il meccanismo del sorteggio per la partecipazione a esso di giornalista e notaio era tale da porre i due designatori nell’impossibilità di realizzare la frode».
Per la cronaca nessun giornalista convocato per i sorteggi è stato interrogato durante le indagini. Quando sono sfilati al processo hanno smentito grossolanamente le elucubrazioni degli inquirenti. Che ci voleva ad ascoltarli prima? E ancora. Sui sorteggi taroccati i pm forse avrebbero fatto bene a dare un’occhiata all’archiviazione dell’inchiesta di Torino (pm Maddalena, estate 2004) nata su ipotesi di doping e finita ai presunti intrallazzi di Moggi, Pairetto e Giraudo (tutti assolti). Bene: nella richiesta di archiviazione, poi accolta, si legge: «È uno dei designatori che materialmente estrae dall’urna la pallina della partita, mentre è materialmente un giornalista sportivo a estrarre dall’altra urna la pallina dell'arbitro (...).
Data la presenza di un notaio e di un giornalista (mai lo stesso per ogni sorteggio) pare fortemente improbabile, se non del tutto inverosimile ritenere che i sorteggi fossero truccati». In quell’inchiesta, per escludere intrallazzi nei sorteggi, fu determinante Manfredi Martino, segretario della Can (Commissione arbitrale di serie A) che per i pm di Napoli rappresenterà, al contrario, il teste chiave proprio sui sorteggi. Martino in dibattimento non ha fatto una gran figura. Nelle motivazioni viene definito prima «inaffidabile» e poi presentato dai pm «come colui che doveva far luce sulle irregolarità, quando ha solo prodotto un coacervo di risposte da presa in giro, tipo il colpo di tosse del designatore Bergamo nel bel mezzo del sorteggio dell’arbitro Collina, non imputato, per la partita Milan-Juve, nemmeno presente nei capi di imputazione».
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2-Lo strano asse Baldini-carabinieri contro Moggi. Su 171mila telefonate, trascritte 3mila. Atti nascosti o taroccati. Il giallo sul "salvataggio" della Roma
Ma cos’è stata davvero l’inchiesta di Calciopoli che ha portato alla condanna di Moggi e compagnia arbitrale? È stata eterodiretta come sospettano i condannati? E da chi? E perché lo scandalo ha travolto solo la Juve e non altre società e dirigenti che colloquiavano allo stesso modo con la classe arbitrale e funzionari Figc? Proviamo a scoprirlo spulciando gli atti processuali.
A partire dall’ultimo, depositato il 6 febbraio scorso. Pagina 52 delle motivazioni della sentenza penale di condanna: «Il teste Baldini Franco, in atto general manager della nazionale inglese (oggi Dg della Roma Calcio, ndr), grande suggeritore di accusa, per collaborazione con l’investigatore Auricchio dichiarata da entrambi». I teorici del gran complotto anti-Juve si sfregano le mani per il virgolettato sul Grande Suggeritore perché mette una pietra tombale su Franco Baldini nemico giurato di Moggi (si sono insultati e denunciati a vicenda durante il processo) «ispiratore» delle indagini contro Lucianone.
All’ex maggiore dei carabinieri di Roma Attilio Auricchio conosciuto nel 2003 nell’inchiesta sulle false fidejussioni che puntò alla Roma, Baldini ha offerto l’input a indagare in più e più incontri (non verbalizzati) nel 2004 e nel 2005, indicando personaggi da sentire e filoni da esplorare. Baldini si confessò a verbale il 15 aprile 2005 con il solo maggiore che, cosa rarissima per un ufficiale, verbalizzò personalmente il lunghissimo interrogatorio. Sulla frequentazione con l’ex maggiore, in aula Baldini s’è contraddetto sostenendo di aver frequentato al massimo «una o due volte» Auricchio nel 2005 smentendo quanto da lui stesso affermato nel 2008 al processo Gea allorché giurò di non aver più incontrato il colonnello dall’agosto 2003 (inchiesta Gea) all’aprile 2005 (inchiesta Calciopoli). In aula, il carabiniere l’ha smentito osservando come tra l’agosto 2004 e il marzo 2005 incontrò il Ds della Roma «4 o 5 volte prima» dell’interrogatorio ufficiale, e «3 o 4 volte dopo». Baldini portò al maggiore anche una giornalista economica sua amica per illuminarlo ulteriormente sul «funzionamento delle società di calcio dal punto di vista economico».
L’incontro Baldini non lo sa collocare temporalmente ma la difesa lo individua tra la prima informativa del maggiore Auricchio alla procura di Napoli, del 18 settembre 2004 (dove si ipotizzavano quegli scenari apocalittici sul mondo del pallone in quel momento ancora non emersi in alcuna attività che serviranno a dare il là alle intercettazioni) e la telefonata a Baldini del 4 aprile 2005, trascritta integralmente e depositata solo al processo non dai carabinieri di Auricchio ma dai periti tecnici della difesa. Il giudice di Calciopoli la ritiene gravissima, almeno quanto quelle di Moggi. Scrive: «La conversazione è significativa anche perché presenta la comunanza di fiume di parole e discorsi di ampia portata, da cui il pm ha tratto elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione avente il capo in Moggi».
La chiamata è quella col vicepresidente federale Innocenzo Mazzini (poi radiato) dove Franco Baldini preannunciava il ribaltone, poi puntualmente avvenuto: «Forse, se tu ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per quello, fare il ribaltone e butterò tutti di sotto dalla poltrona (...) io ti salverò, forse». Baldini dice che con Mazzini stava scherzando. Per i suoi detrattori è invece l’ennesimo indizio dell’eterodirezione romana. Checché ne dicano i cultori del complotto, sul fronte «fughe di notizie» che sputtanò Juve, Lazio e Fiorentina niente è emerso sul duo Baldini-Auricchio: non risultano in contatto con chi fece il vero scoop di Calciopoli, e cioè il Romanista, giornale di tifosi non abituato a pubblicare atti coperti dal segreto. Ad Auricchio ci si arriva indirettamente solo attraverso un cronista della Gazzetta dello sport, impegnato a tempo pieno a collaborare con i carabinieri romani di via in Selci.
Nel processo è emerso che delle 171mila telefonate intercettate il pool dei carabinieri di Auricchio ne ha sentite tante trascrivendone, a dire tanto, tremila. E le ha segnalate sulla base di «baffi» colorati messi sui brogliacci accanto alle telefonate. Verdi, poco interessanti. Gialle/arancioni, interessanti. Rosse, molto interessanti. Il perito della difesa, Nicola Penta, con enorme fatica è riuscito ad ascoltarne 30mila in più (arriviamo così a 33mila su 171mila) trovandone tante (Roma, Inter, Cagliari ecc) che pur avendo baffi gialli e rossi sui brogliacci, non sono state ritenute meritevoli di approfondimento.
Addirittura il pm Giuseppe Narducci replicò sdegnato nella requisitoria nell’«abbreviato» a Giraudo, il 27 ottobre 2008, a chi paventava favortismi: «Piaccia o non piaccia» di telefonate di Bergamo e Pairetto con Moratti, Sensi o Campedelli, disse, «non c’è traccia». Piaccia o non piaccia invece quelle telefonate c’erano, ma son saltate fuori solo quattro anni più tardi grazie ai testardi consulenti difensivi. E non è un caso che il procuratore sportivo Palazzi ha concluso il suo supplemento di indagini ammettendo che se il reato non fosse stato prescritto anche l’Inter avrebbe dovuto essere sanzionata, anziché premiata.
Ma è tutta l’inchiesta un mistero.
Atti decisivi per le condanne o sono state nascosti o sono stati fatti sparire (il video dei sorteggi falsamente taroccati oppure l’audio dell’incontro a Villa La Massa a Firenze tra i Della Valle, Bergamo, Mazzini). Alcuni testi hanno mentito in aula e sono prossimi destinatari di avvisi di garanzia. Tante telefonate o non sono state mai trascritte o sono state mal trascritte. Si è evitato di riportarne alcune devastanti per trascriverne di inutili come il gossip sulla giornalista D’Amico, il peso e il nome di un neonato, il ragù nei rigatoni di casa Bergamo, i piatti lavati a casa Pairetto.
Perché? Ancora dalla sentenza di Calciopoli: «La difesa è stata (...) molto ostacolata nel compito suo proprio dall’abnorme numero di telefonate intercettate, oltre 170mila, e dal metodo adoperato per il loro uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per congettura...». Per congettura. Allo stesso modo, ragionando per congettura è lecito domandarsi perché non si è approfondito il «ribaltone» annunciato da Baldini o la telefonata tra l’allenatore Sandreani e il manager Zavaglia sull’intenzione dello stesso Baldini di prendere il posto di Moggi alla Juve col placet di Montezemolo. O perché non sono finite al processo le dieci e passa telefonate con la voce dei giallorossi Baldini e Pradè.
Non si tratta di fare un processo alla Roma, piuttosto che all’Inter, al Cagliari, al Palermo, al Milan o a chicchessia. C’è da capire perché si è indagato a senso unico, quale fu il criterio della selezione delle chiamate, come mai i pm napoletani hanno lavorato coi carabinieri di un’altra regione. C’è da capire la genesi delle intercettazioni attivate a seguito dell’imbeccata sulla «combriccola romana» degli arbitri pro Moggi quando lo stesso Auricchio, in aula, le ha ridimensionate a un gruppo d’amici che nemmeno arbitravano a favore della Juve. Già, l’abuso delle intercettazioni. Criticato nel lontano 1996 dall’allora procuratore generale di Catanzaro, Giuseppe Chiaravalloti, che denunciò l’allora giovane capitano Attilio Auricchio (impegnato a indagare con un giovane pm Luigi De Magistris), perché anziché trascrivere correttamente «Provveditore generale» nei brogliacci, l’ufficio da lui diretto mise «Procuratore generale» col nome di Chiaravallotti accanto.
Denunce e controdenunce finirono in archiviazioni reciproche. Quattordici anni dopo De Magistris è diventato sindaco di Napoli. Come capo di gabinetto s’è preso proprio il benemerito Attilio Auricchio. Come assessore ha nominato Giuseppe Narducci, il pm di Calciopoli amico di Auricchio e di De Magistris. ’O sindaco tifa Napoli, anche se da piccolo era interista. Sarà stato felice come un bimbo per non aver letto le intercettazioni del suo idolo di un tempo, il compianto Giacinto Facchetti, a cena con Bergamo, in contatto con l’arbitro Nucini e...
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2-Lo strano asse Baldini-carabinieri contro Moggi. Su 171mila telefonate, trascritte 3mila. Atti nascosti o taroccati. Il giallo sul "salvataggio" della Roma
Gian Marco Chiocci - Gio, 23/02/2012 - 09:02
Ma cos’è stata davvero l’inchiesta di Calciopoli che ha portato alla condanna di Moggi e compagnia arbitrale? È stata eterodiretta come sospettano i condannati? E da chi? E perché lo scandalo ha travolto solo la Juve e non altre società e dirigenti che colloquiavano allo stesso modo con la classe arbitrale e funzionari Figc? Proviamo a scoprirlo spulciando gli atti processuali.
A partire dall’ultimo, depositato il 6 febbraio scorso. Pagina 52 delle motivazioni della sentenza penale di condanna: «Il teste Baldini Franco, in atto general manager della nazionale inglese (oggi Dg della Roma Calcio, ndr), grande suggeritore di accusa, per collaborazione con l’investigatore Auricchio dichiarata da entrambi». I teorici del gran complotto anti-Juve si sfregano le mani per il virgolettato sul Grande Suggeritore perché mette una pietra tombale su Franco Baldini nemico giurato di Moggi (si sono insultati e denunciati a vicenda durante il processo) «ispiratore» delle indagini contro Lucianone.
All’ex maggiore dei carabinieri di Roma Attilio Auricchio conosciuto nel 2003 nell’inchiesta sulle false fidejussioni che puntò alla Roma, Baldini ha offerto l’input a indagare in più e più incontri (non verbalizzati) nel 2004 e nel 2005, indicando personaggi da sentire e filoni da esplorare. Baldini si confessò a verbale il 15 aprile 2005 con il solo maggiore che, cosa rarissima per un ufficiale, verbalizzò personalmente il lunghissimo interrogatorio. Sulla frequentazione con l’ex maggiore, in aula Baldini s’è contraddetto sostenendo di aver frequentato al massimo «una o due volte» Auricchio nel 2005 smentendo quanto da lui stesso affermato nel 2008 al processo Gea allorché giurò di non aver più incontrato il colonnello dall’agosto 2003 (inchiesta Gea) all’aprile 2005 (inchiesta Calciopoli). In aula, il carabiniere l’ha smentito osservando come tra l’agosto 2004 e il marzo 2005 incontrò il Ds della Roma «4 o 5 volte prima» dell’interrogatorio ufficiale, e «3 o 4 volte dopo». Baldini portò al maggiore anche una giornalista economica sua amica per illuminarlo ulteriormente sul «funzionamento delle società di calcio dal punto di vista economico».
L’incontro Baldini non lo sa collocare temporalmente ma la difesa lo individua tra la prima informativa del maggiore Auricchio alla procura di Napoli, del 18 settembre 2004 (dove si ipotizzavano quegli scenari apocalittici sul mondo del pallone in quel momento ancora non emersi in alcuna attività che serviranno a dare il là alle intercettazioni) e la telefonata a Baldini del 4 aprile 2005, trascritta integralmente e depositata solo al processo non dai carabinieri di Auricchio ma dai periti tecnici della difesa. Il giudice di Calciopoli la ritiene gravissima, almeno quanto quelle di Moggi. Scrive: «La conversazione è significativa anche perché presenta la comunanza di fiume di parole e discorsi di ampia portata, da cui il pm ha tratto elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione avente il capo in Moggi». La chiamata è quella col vicepresidente federale Innocenzo Mazzini (poi radiato) dove Franco Baldini preannunciava il ribaltone, poi puntualmente avvenuto: «Forse, se tu ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per quello, fare il ribaltone e butterò tutti di sotto dalla poltrona (...) io ti salverò, forse». Baldini dice che con Mazzini stava scherzando. Per i suoi detrattori è invece l’ennesimo indizio dell’eterodirezione romana. Checché ne dicano i cultori del complotto, sul fronte «fughe di notizie» che sputtanò Juve, Lazio e Fiorentina niente è emerso sul duo Baldini-Auricchio: non risultano in contatto con chi fece il vero scoop di Calciopoli, e cioè il Romanista, giornale di tifosi non abituato a pubblicare atti coperti dal segreto. Ad Auricchio ci si arriva indirettamente solo attraverso un cronista della Gazzetta dello sport, impegnato a tempo pieno a collaborare con i carabinieri romani di via in Selci.
Nel processo è emerso che delle 171mila telefonate intercettate il pool dei carabinieri di Auricchio ne ha sentite tante trascrivendone, a dire tanto, tremila. E le ha segnalate sulla base di «baffi» colorati messi sui brogliacci accanto alle telefonate. Verdi, poco interessanti. Gialle/arancioni, interessanti. Rosse, molto interessanti. Il perito della difesa, Nicola Penta, con enorme fatica è riuscito ad ascoltarne 30mila in più (arriviamo così a 33mila su 171mila) trovandone tante (Roma, Inter, Cagliari ecc) che pur avendo baffi gialli e rossi sui brogliacci, non sono state ritenute meritevoli di approfondimento. Addirittura il pm Giuseppe Narducci replicò sdegnato nella requisitoria nell’«abbreviato» a Giraudo, il 27 ottobre 2008, a chi paventava favortismi: «Piaccia o non piaccia» di telefonate di Bergamo e Pairetto con Moratti, Sensi o Campedelli, disse, «non c’è traccia». Piaccia o non piaccia invece quelle telefonate c’erano, ma son saltate fuori solo quattro anni più tardi grazie ai testardi consulenti difensivi. E non è un caso che il procuratore sportivo Palazzi ha concluso il suo supplemento di indagini ammettendo che se il reato non fosse stato prescritto anche l’Inter avrebbe dovuto essere sanzionata, anziché premiata.
Ma è tutta l’inchiesta un mistero.
Atti decisivi per le condanne o sono state nascosti o sono stati fatti sparire (il video dei sorteggi falsamente taroccati oppure l’audio dell’incontro a Villa La Massa a Firenze tra i Della Valle, Bergamo, Mazzini). Alcuni testi hanno mentito in aula e sono prossimi destinatari di avvisi di garanzia. Tante telefonate o non sono state mai trascritte o sono state mal trascritte. Si è evitato di riportarne alcune devastanti per trascriverne di inutili come il gossip sulla giornalista D’Amico, il peso e il nome di un neonato, il ragù nei rigatoni di casa Bergamo, i piatti lavati a casa Pairetto. Perché? Ancora dalla sentenza di Calciopoli: «La difesa è stata (...) molto ostacolata nel compito suo proprio dall’abnorme numero di telefonate intercettate, oltre 170mila, e dal metodo adoperato per il loro uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per congettura...». Per congettura. Allo stesso modo, ragionando per congettura è lecito domandarsi perché non si è approfondito il «ribaltone» annunciato da Baldini o la telefonata tra l’allenatore Sandreani e il manager Zavaglia sull’intenzione dello stesso Baldini di prendere il posto di Moggi alla Juve col placet di Montezemolo. O perché non sono finite al processo le dieci e passa telefonate con la voce dei giallorossi Baldini e Pradè. Non si tratta di fare un processo alla Roma, piuttosto che all’Inter, al Cagliari, al Palermo, al Milan o a chicchessia. C’è da capire perché si è indagato a senso unico, quale fu il criterio della selezione delle chiamate, come mai i pm napoletani hanno lavorato coi carabinieri di un’altra regione. C’è da capire la genesi delle intercettazioni attivate a seguito dell’imbeccata sulla «combriccola romana» degli arbitri pro Moggi quando lo stesso Auricchio, in aula, le ha ridimensionate a un gruppo d’amici che nemmeno arbitravano a favore della Juve. Già, l’abuso delle intercettazioni. Criticato nel lontano 1996 dall’allora procuratore generale di Catanzaro, Giuseppe Chiaravalloti, che denunciò l’allora giovane capitano Attilio Auricchio (impegnato a indagare con un giovane pm Luigi De Magistris), perché anziché trascrivere correttamente «Provveditore generale» nei brogliacci, l’ufficio da lui diretto mise «Procuratore generale» col nome di Chiaravallotti accanto.
Denunce e controdenunce finirono in archiviazioni reciproche. Quattordici anni dopo De Magistris è diventato sindaco di Napoli. Come capo di gabinetto s’è preso proprio il benemerito Attilio Auricchio. Come assessore ha nominato Giuseppe Narducci, il pm di Calciopoli amico di Auricchio e di De Magistris. ’O sindaco tifa Napoli, anche se da piccolo era interista. Sarà stato felice come un bimbo per non aver letto le intercettazioni del suo idolo di un tempo, il compianto Giacinto Facchetti, a cena con Bergamo, in contatto con l’arbitro Nucini e... (2. Continua)
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3-Il faldone avrebbe potuto/dovuto interessare soprattutto Francesco Saverio Borrelli, che però non sentì mai il bisogno di richiederlo alla collega dai capelli rossi durante le sue indagini sugli illeciti sportivi, nonostante la procura da lui un tempo diretta gli avesse trasmesso i verbali dei protagonisti dello scandalo Telecom (il capo security Giuliano Tavaroli, il detective Emanuele Cipriani, il presidente Tronchetti Provera ecc.) dove si faceva espresso riferimento a Nucini, alla Boccassini, alla spy story nerazzurra.
Proprio Tavaroli, nell'interrogatorio del 29 settembre 2006, riferisce che sul finire del 2002 incontrò Massimo Moratti e Giacinto Facchetti, con quest'ultimo che raccontò di essere stato avvicinato da un arbitro di Bergamo «che in più incontri» gli parlò del condizionamento delle partite attraverso un sistema che da Moggi portava all'arbitro De Santis. Tavaroli propose a Facchetti due opzioni: diventare «fonte» di un maggiore dei carabinieri di Milano oppure rivolgersi ai pm con un atto formale: «Mi risulta che la società Fc Inter ha presentato un esposto in procura» chiosò il manager della security Telecom. Marco Tronchetti Provera, preso a verbale il 9 marzo 2010, confermerà: «Moratti aveva chiesto immediatamente un aiuto alla procura perché c'era un arbitro che raccontava di strane storie a Facchetti ( ). La prima cosa che fece Massimo Moratti fu di andare dalla dottoressa Boccassini a raccontare questa vicenda. La Boccassini gli suggerì di far venire questo arbitro a denunciare la cosa».
Ascoltato dall'Ufficio Indagini della Figc, il 3 ottobre 2006, Moratti aveva dato invece una versione differente: quando Facchetti gli disse che voleva denunciare in procura i fatti raccontati da Nucini «mi opposi per la «genericità» delle accuse» e aggiunse che semmai «doveva essere Nucini a segnalare il fatto» ai magistrati. Due versioni, una è falsa. Quale?
Nel frattempo, proprio per tutelarsi, Facchetti si era registrato di nascosto le confessioni devastanti di Nucini che aveva spedito a infiltrarsi nelle linee nemiche: avvicina l'arbitro De Santis, ficca il naso sul ds del Messina Fabiani (vicino a Moggi), fa da talpa a Coverciano.
Quindi aveva girato dei numeri di telefono a Tavaroli, eppoi non s'è ancora capito se fu lui (o Moratti, che nega) a ispirare le indagini invasive sull'arbitro De Santis a un amico detective di Tavaroli, Emanuele Cipriani, che poi fatturerà 50mila euro a Pirelli e non all'Inter «perché Tavaroli - così riferisce a verbale Cipriani - spiegò che era opportuno che l'investigazione non risultasse» all'Inter.
Il passaggio successivo vede Nucini fare il suo ingresso in procura.
E qui calano le ombre. Non s'è mai capito, infatti, quando quest'incontro s'è verificato; se in procura ce l'ha mandato Facchetti, previo accordo col magistrato; se all'ufficio della Boccassini l'arbitro ha bussato di sua sponte; se l'incontro è stato verbalizzato e registrato; se il pm ha convocato il fischietto di Bergamo essendo venuta a sapere delle sue intenzioni. Nulla si sa. Nulla si deve sapere. Ma perché?
Al processo di Napoli l'arbitro Nucini («inconsistente teste d'accusa» secondo quanto si legge nella sentenza) non è stato capace di ricordare il giorno della sua visita in procura che a fatica colloca «verso la fine del 2003». Sul resto, è a dir poco ondivago, stranamente confuso, quasi reticente. Nell'udienza del 26 maggio 2009 fa presente che «qualcuno vicino alla società (Inter, ndr) ha consigliato che io andassi davanti al pm, la dottoressa Boccassini, a dire quanto avvenuto». Aggiunge che venne contattato telefonicamente dalla segreteria della Boccassini, che l'oggetto dell'incontro pensava fossero alcuni articoli in merito ad ammonizioni pilotate, e che al dunque la pm «mi ha fatto delle domande specifiche... che erano le confidenze che nell'anno e mezzo io e Facchetti siamo venuti a conoscenza...». Nucini confessa che non se l'è sentita di tradire Facchetti. Così alla Boccasini decide di non dire più niente: «Non ce l'ho fatta, ho trovato nella dottoressa Boccassini una delle donne più intelligenti, probabilmente aveva capito tutto. Non ha insistito, sono uscito dalla procura e la cosa è finita lì».
Aveva capito cosa? Non ha insistito? Gli avvocati si scatenano: signor Nucini come ha risposto alle domande della Boccassini? «Io a lei non glielo dico!», sbotta in faccia al difesore di Moggi, Prioreschi. «Abbiamo parlato di calcio, dell'andamento del calcio». Chiacchiere da bar? E con la Boccassini parlavate di tattica? Richiamato a deporre al processo napoletano il 15 marzo 2011 Nucini manda ulteriormente al manicomio gli avvocati con un mantra incessante, con chicche surreali: «Con la dottoressa Boccassini abbiamo parlato di calcio, punto». «Nessuno mi ci ha mandato», «Fu una chiacchierata informale». «Non firmai il verbale». Se questo fascicolo saltasse finalmente fuori si capirebbero tante cose. A cominciare dal famoso cd con la voce di Nucini, registrata di nascosto da Facchetti (circostanza riportata da Repubblica a maggio 2006 e mai smentita dai diretti interessati). Consentirebbe di dimostrare, o smentire, ciò che le difese degli imputati hanno sostenuto nel processo di Calciopoli, e cioè che qualora l'Inter, con un esposto, avesse allertato direttamente la procura di Milano, avrebbe violato la cosiddetta «clausola compromissoria» che obbliga le società a rivolgersi alla giustizia sportiva e non ad altre autorità.
L'avvocato Paolo Gallinelli, difensore dell'arbitro De Santis, per due volte (nel 2009 e il 3 febbraio 2011) ha sollecitato invano il pm Boccassini e il procuratore Bruti Liberati a fargli prendere visione del fascicolo-Graal. Niente da fare. In dibattimento a Napoli la richiesta è stata fatta in extremis, il pm si è opposto, non se ne è fatto niente neanche qui. Nelle nuove istanze si fa cenno anche all'attività dei pm di Milano che il 19 novembre 2004, con l'indagine avviata a Napoli, chiede a Telecom la verifica su alcuni «file di log» per verificare l'esistenza di determinati contatti telefonici monitorati proprio da Telecom. Utenze fisse e cellulari che potrebbero coincidere con quelle che Nucini spiffera a Facchetti, che a sua volta gira a Tavaroli il quale li passa al fedelissimo Adamo Bove (morto suicida nel luglio 2006) che li farà sviluppare alla segretaria Caterina Plateo. Che a verbale ammetterà come tra i numeri controllati da Tavaroli & co c'erano quelli della Juventus, del guardaline Cenniccola (il telefono era in uso a De Santis) della Gea World, della Figc, di Moggi. All'Inter che spiava i nemici è difficile pensare. Ecco perché occorre rendere pubblico ciò che nessuno vuol vedere pubblicato.
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4-La farsa di Calciopoli L’incontro arbitro-Lepore: "Sparite le telefonate coi pm" Lo sfogo di Massimo De Santis: "Ero amico di tanti magistrati ma su 171mila intercettazioni trascritte soltanto 900"
Non lo hanno mai interrogato e quando ha chiesto di essere sentito, se ne sono fregati. È stato intercettato due anni, legalmente e illegalmente, e pur non trovando mai una telefonata con quel diavolo di Moggi è passato alle cronache per essere l’arbitro a capo della «combriccola» di Lucianone.
Massimo De Santis, ex fischietto di prima fascia, interviene a gamba tesa nella contro-inchiesta del Giornale sui buchi neri del processo sul calcio sporco della procura di Napoli.
La sua condanna: un anno e undici mesi di reclusione.
«La sentenza è un obbrobrio perché Calciopoli è una farsa. Su 171mila telefonate ne sono state trascritte solo 900 e non 3mila - che già era un dato scioccante - come avete scritto voi. Gli investigatori hanno sbobinato esclusivamente le telefonate sulla Juve nascondendone altre. Hanno intercettato solo me quand’è provato che molti altri arbitri parlavano con i dirigenti in modo molto poco ortodosso, ammonivano a richiesta i giocatori diffidati, sempre a disposizione per poi chiedere favori e lavori. In appello tireremo fuori tutto quello che a Napoli hanno nascosto: faremo una strage, mezza serie A è coinvolta».
Parliamo di lei e di Moggi.
«(risata). I carabinieri mi intercettano ininterrottamente da novembre 2004 a giugno 2005. E mai esce una telefonata con Moggi. Anzi, in decine di telefonate si sente Moggi imprecare contro di me, anti-juventino. Il 20 aprile 2005, Moggi parla col giornalista Tosatti. La Juve ha appena perso col Palermo: “Questo (De Santis, ndr) - dice - è un figlio di puttana, c’ha creato mille problemi in questo campionato, se noi perdiamo il campionato uno degli artefici è lui perché c’ha dato troppo contro. A Palermo c’era rigore e non l’ha dato, a Parma c’era rigore e non ce l’ha dato, è un casino“.
Telefonata del 7 febbraio 2005, Moggi col giornalista Biscardi: “De Santis mi ha rotto i coglioni, ha rotto“. Gli esempi e le telefonate non si contano. Moggi mi odiava. Per l’unica partita asseritamente arbitrata a favore della Juve, e cioè quella col Lecce del 14 novembre 2004, io sono stato assolto. E anche nelle intercettazioni illegali Moggi non esce mai...».
Intercettazioni illegali?
«L’Inter mi ha spiato illegalmente attraverso l’arbitro Nucini, mandato da Facchetti, e con l’investigatore privato Cipriani, amico di Tavaroli, quello dello scandalo Telecom. Hanno messo sottosopra la mia vita, mi hanno pedinato, controllato i telefoni e nemmeno lì Moggi è uscito mai».
Ok, lei è Moggi non avevate rapporti
«Ok un cavolo: mi hanno messo a capo dell’associazione per delinquere di Moggi quando nemmeno ci parlavo. Strano no?»
È strano che lei, stando alla sentenza, avesse avuto da Moggi una sim svizzera.
«(Occhiataccia). Io non ho mai utilizzato alcuna linea riservata con Moggi. Gli inquirenti si sono fissati su una sim svizzera (che peraltro avrei avuto per poco tempo e quando la Juve da me arbitrata perdeva) ma io ho dimostrato - anche se non hanno voluto prendere atto delle prove in senso contrario che esibivo - che la mia presenza non combaciava mai con quella dov’era ubicata la cella della sim svizzera. Il telefono era là, io ero sempre da un’altra parte».
Lei avrebbe cambiato modo di arbitrare quando le arriva la proroga delle indagini da parte dei pm di Napoli.
«Falso! L’avviso viene notificato a giugno, a campionato finito».
La accusano di aver avuto una soffiata interna al Csm sulle indagini dei carabinieri...
«Minchiata. Hanno sostenuto che avessi appreso notizie riservate da un autista del Csm col quale ho parlato talvolta, come se questo fosse stato in grado di rivelarmi chissà che cosa, e non si sono preoccupati dei miei contatti con alti magistrati (ai quali, ovviamente, non mi sono mai sognato di chiedere nulla). All’epoca frequentavo il giudice di Torino Caselli, il giudice di Napoli Mancuso, conoscevo bene Rognoni (ex capo del Csm, ndr) persone stimatissime e integerrime, e come loro tanti altri importanti magistrati, se vuole le faccio l’elenco. E poi...»
Dica.
«Il 9 maggio, qualche giorno prima che lo scandalo scoppiasse sui giornali, sapete con chi ho parlato? Direttamente con il procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore, al quale ho chiesto ragguagli su quel che i giornali stavano anticipando riguardo all’inchiesta. Perché allora tanto malanimo nei miei confronti? Perché negli atti dell’inchiesta le telefonate coi magistrati sono scomparse? Sono o non sono autorizzato a pensare male? Al figlio di Facchetti che mi ha querelato perché rivelai che parlavo col padre, ho dovuto chiedere scusa perché nelle carte processuali le telefonate effettivamente non risultavano anche se ero certo, certissimo, di averle fatte. Solo quando il perito della difesa, Nicola Penta, le ha scovate a fatica dopo averne sentite 30mila, mai sbobinate dai carabinieri, quelle telefonate sono miracolosamente uscite. Il tempo mi darà ragione, e in tanti saranno costretti a chiedermi scusa. Il figlio di Giacinto Facchetti ancora non lo ha fatto, è il primo che deve farsi avanti. Sto aspettando». 3 marzo 201 (4 - fine)
http://www.ilgiornale.it/news/interni/farsa-calciopolil-incontro-arbitro-lepore-sparite-telefonate.html
Francesco Calabrone
Alla scoperta della banda della discarica (discarica la procura del tribunanale ) di napoli.
IL GIORNALE
21 febbraio 2012 - Gian Marco Chiocci: Calciopoli, il video-fantasma scomparso dalla procura 1
1-Era la prova regina contro Moggi ma nelle immagini dei sorteggi arbitrali recuperate dal «Giornale» ci sono strane incongruenze
La prova regina dello scandalo di Calciopoli che ha dato il là all’inchiesta su Moggi & co (le tenui motivazioni di condanna sono state rese note il 6 febbraio scorso) è un video. Che non si trova più. Il filmato ritrae, o meglio dovrebbe ritrarre, il taroccamento dei sorteggi arbitrali nella stagione 2004/2005.
Il dvd girato il 13 maggio 2005 nel centro tecnico di Coverciano da uno dei carabinieri dell’indagine Off Side ha costituito materiale per la condanna a tre anni col rito abbreviato di Antonio Giraudo e di alcuni arbitri. Non solo. È stato utilizzato dal magistrato Francesco Saverio Borrelli, allora inquirente della Federcalcio, per imbastire il processo sportivo del 2006 che ha stravolto il calcio italiano con la retrocessione della Juve e la revoca di due scudetti. E soprattutto ha rappresentato il perno d’accusa dei pm napoletani Narducci, Beatrice (e poi Capuano) nelle indagini e poi al dibattimento.
Un documento importantissimo. Peccato, però, che quella fondamentale ripresa audio-video nei fascicoli del rito ordinario e dell’abbreviato non c’è, nonostante della sua visione abbia parlato il pm napoletano Stefano Capuano nell’ultima udienza, l’9 novembre 2011: «Andate a vedere il filmato anche voi, il filmato parla chiaro (...) rappresenta esattamente quanto vergato dal maresciallo Ziino, l’ho visto io, era senza audio». Impossibile per le difese avere copia dell’originale. Tant’è che la Corte d’appello di Napoli spiega che «il filmato da riprodurre non è in possesso di questa cancelleria» mentre il 23 gennaio 2012, la nona sezione del Tribunale, sottolinea che il video ce l’ha «l’ufficio di Procura dal 29 luglio 2009». Ce l’ha dunque il pm? La domanda ha un senso perché la stessa istanza, rivolta alla procura, è caduta nel vuoto. Perché non esce? E perché si è arrivati alle condanne (abbreviato, Federcalcio, Napoli) senza metterlo a disposizione degli imputati, lasciando a questi ultimi le fotocopie dei fotogrammi delle immagini estrapolate dal filmato?
Durante la camera di consiglio del processo napoletano, al giudice Casoria che secondo alcune indiscrezioni ne avrebbe preteso la visione, sarebbe stato risposto che no, al momento, non era possibile dare un’occhiata come suggerito dal pm. Le difese sono certe che la sequenza delle immagini riversate nel rapporto del maresciallo Sergio Ziino non rappresenta il cronologico svolgersi degli eventi di quella mattina. Le foto sono mischiate. Ad arte o per sbaglio? Quel video è scomparso dalle aule giudiziarie ma è stato in parte trasmesso il 15 dicembre 2009, in una fiction de La7 su Calciopoli, poche ore dopo le condanne del rito abbreviato.
E cosa si vedeva in quello spezzone? Che a differenza di quanto riportato nel rapporto del maresciallo, dove si asseriva che era stato il designatore Paolo Bergamo a estrarre la pallina «incriminata» dall’urna trasparente davanti a dieci giornalisti e altri testimoni (c’era pure un notaio), a tirar fuori la sfera dello «scandalo» è stato in realtà un cronista. Nel caso specifico Riccardo Bianchi, della Provincia di Como. L’interessato, nell’udienza del primo ottobre 2010 a Napoli, affermerà: «Arrivai a Coverciano 15 minuti prima del sorteggio (...). Pairetto, come da procedura, ha estratto le pallina con le partite, mentre io ho estratto quelle coi nomi degli arbitri (...). Nessuno mi suggerì di muovere la mano a seconda di colpi di tosse, e certo Bergamo e Pairetto non mi indirizzarono in alcun modo: l’avessero fatto nei giorni precedenti avrei potuto fare lo scoop della vita e sarei diventato famoso. Il sorteggio fu regolarissimo».
Di questo giornalista nel rapporto non c’è traccia. O meglio «nella foto numero 9» che lo ritrae viene invece definito «dipendente Figc» che indossa una «divisa ufficiale della federazione». A prescindere dal fatto che Bianchi è in abiti civili, quel che è più grave è che viene immortalato a cose fatte, a sorteggio effettuato, con Bergamo intento a leggere il nome dell’arbitro. Mentre nella foto successiva, la 10, si vede il segretario della commissione arbitrale Manfredi Martino portare le buste per l’estrazione, a urne ancora vuote, col sorteggio ancora da fare.
Perché quest’inversione? Un abbaglio? Le coincidenze diventano troppe se si osservano le foto a seguire: nella numero «12» il tavolo è vuoto, le urne vuote, le sedie vuote, e dei designatori non c’è traccia. Le buste delle palline portate in quel momento da Martino sono intatte. All’improvviso, dopo un primo piano di Bergamo (foto 13), ecco la foto 14: tutti al loro posto, dietro al tavolo, buste intatte, urne vuote e il giornalista Bianchi pronto. Il clou arriva con la foto numero 17 quando, scrivono i carabinieri, «a Bergamo cade sul tavolo una pallina». In sentenza l’episodio dubbio viene platealmente ridimensionato.
Il sospetto che l’errata disposizione delle immagini non sia casuale nasce dal fatto che è la sequenza delle fotografie estratte dal video (fantasma) sembra fatta apposta - ad occhi disattenti - a dimostrare l’inciucio.
Ma come poi dirà il giudice Casoria nel motivare la sentenza di condanna di Moggi «che il sorteggio non sia stato truccato è emerso in maniera sufficientemente chiara al dibattimento. Incomprensibilmente il pm si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite, di altri particolari, se il meccanismo del sorteggio per la partecipazione a esso di giornalista e notaio era tale da porre i due designatori nell’impossibilità di realizzare la frode».
Per la cronaca nessun giornalista convocato per i sorteggi è stato interrogato durante le indagini. Quando sono sfilati al processo hanno smentito grossolanamente le elucubrazioni degli inquirenti. Che ci voleva ad ascoltarli prima? E ancora. Sui sorteggi taroccati i pm forse avrebbero fatto bene a dare un’occhiata all’archiviazione dell’inchiesta di Torino (pm Maddalena, estate 2004) nata su ipotesi di doping e finita ai presunti intrallazzi di Moggi, Pairetto e Giraudo (tutti assolti). Bene: nella richiesta di archiviazione, poi accolta, si legge: «È uno dei designatori che materialmente estrae dall’urna la pallina della partita, mentre è materialmente un giornalista sportivo a estrarre dall’altra urna la pallina dell'arbitro (...).
Data la presenza di un notaio e di un giornalista (mai lo stesso per ogni sorteggio) pare fortemente improbabile, se non del tutto inverosimile ritenere che i sorteggi fossero truccati». In quell’inchiesta, per escludere intrallazzi nei sorteggi, fu determinante Manfredi Martino, segretario della Can (Commissione arbitrale di serie A) che per i pm di Napoli rappresenterà, al contrario, il teste chiave proprio sui sorteggi. Martino in dibattimento non ha fatto una gran figura. Nelle motivazioni viene definito prima «inaffidabile» e poi presentato dai pm «come colui che doveva far luce sulle irregolarità, quando ha solo prodotto un coacervo di risposte da presa in giro, tipo il colpo di tosse del designatore Bergamo nel bel mezzo del sorteggio dell’arbitro Collina, non imputato, per la partita Milan-Juve, nemmeno presente nei capi di imputazione».
*
2-Lo strano asse Baldini-carabinieri contro Moggi. Su 171mila telefonate, trascritte 3mila. Atti nascosti o taroccati. Il giallo sul "salvataggio" della Roma
Ma cos’è stata davvero l’inchiesta di Calciopoli che ha portato alla condanna di Moggi e compagnia arbitrale? È stata eterodiretta come sospettano i condannati? E da chi? E perché lo scandalo ha travolto solo la Juve e non altre società e dirigenti che colloquiavano allo stesso modo con la classe arbitrale e funzionari Figc? Proviamo a scoprirlo spulciando gli atti processuali.
A partire dall’ultimo, depositato il 6 febbraio scorso. Pagina 52 delle motivazioni della sentenza penale di condanna: «Il teste Baldini Franco, in atto general manager della nazionale inglese (oggi Dg della Roma Calcio, ndr), grande suggeritore di accusa, per collaborazione con l’investigatore Auricchio dichiarata da entrambi». I teorici del gran complotto anti-Juve si sfregano le mani per il virgolettato sul Grande Suggeritore perché mette una pietra tombale su Franco Baldini nemico giurato di Moggi (si sono insultati e denunciati a vicenda durante il processo) «ispiratore» delle indagini contro Lucianone.
All’ex maggiore dei carabinieri di Roma Attilio Auricchio conosciuto nel 2003 nell’inchiesta sulle false fidejussioni che puntò alla Roma, Baldini ha offerto l’input a indagare in più e più incontri (non verbalizzati) nel 2004 e nel 2005, indicando personaggi da sentire e filoni da esplorare. Baldini si confessò a verbale il 15 aprile 2005 con il solo maggiore che, cosa rarissima per un ufficiale, verbalizzò personalmente il lunghissimo interrogatorio. Sulla frequentazione con l’ex maggiore, in aula Baldini s’è contraddetto sostenendo di aver frequentato al massimo «una o due volte» Auricchio nel 2005 smentendo quanto da lui stesso affermato nel 2008 al processo Gea allorché giurò di non aver più incontrato il colonnello dall’agosto 2003 (inchiesta Gea) all’aprile 2005 (inchiesta Calciopoli). In aula, il carabiniere l’ha smentito osservando come tra l’agosto 2004 e il marzo 2005 incontrò il Ds della Roma «4 o 5 volte prima» dell’interrogatorio ufficiale, e «3 o 4 volte dopo». Baldini portò al maggiore anche una giornalista economica sua amica per illuminarlo ulteriormente sul «funzionamento delle società di calcio dal punto di vista economico».
L’incontro Baldini non lo sa collocare temporalmente ma la difesa lo individua tra la prima informativa del maggiore Auricchio alla procura di Napoli, del 18 settembre 2004 (dove si ipotizzavano quegli scenari apocalittici sul mondo del pallone in quel momento ancora non emersi in alcuna attività che serviranno a dare il là alle intercettazioni) e la telefonata a Baldini del 4 aprile 2005, trascritta integralmente e depositata solo al processo non dai carabinieri di Auricchio ma dai periti tecnici della difesa. Il giudice di Calciopoli la ritiene gravissima, almeno quanto quelle di Moggi. Scrive: «La conversazione è significativa anche perché presenta la comunanza di fiume di parole e discorsi di ampia portata, da cui il pm ha tratto elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione avente il capo in Moggi».
La chiamata è quella col vicepresidente federale Innocenzo Mazzini (poi radiato) dove Franco Baldini preannunciava il ribaltone, poi puntualmente avvenuto: «Forse, se tu ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per quello, fare il ribaltone e butterò tutti di sotto dalla poltrona (...) io ti salverò, forse». Baldini dice che con Mazzini stava scherzando. Per i suoi detrattori è invece l’ennesimo indizio dell’eterodirezione romana. Checché ne dicano i cultori del complotto, sul fronte «fughe di notizie» che sputtanò Juve, Lazio e Fiorentina niente è emerso sul duo Baldini-Auricchio: non risultano in contatto con chi fece il vero scoop di Calciopoli, e cioè il Romanista, giornale di tifosi non abituato a pubblicare atti coperti dal segreto. Ad Auricchio ci si arriva indirettamente solo attraverso un cronista della Gazzetta dello sport, impegnato a tempo pieno a collaborare con i carabinieri romani di via in Selci.
Nel processo è emerso che delle 171mila telefonate intercettate il pool dei carabinieri di Auricchio ne ha sentite tante trascrivendone, a dire tanto, tremila. E le ha segnalate sulla base di «baffi» colorati messi sui brogliacci accanto alle telefonate. Verdi, poco interessanti. Gialle/arancioni, interessanti. Rosse, molto interessanti. Il perito della difesa, Nicola Penta, con enorme fatica è riuscito ad ascoltarne 30mila in più (arriviamo così a 33mila su 171mila) trovandone tante (Roma, Inter, Cagliari ecc) che pur avendo baffi gialli e rossi sui brogliacci, non sono state ritenute meritevoli di approfondimento.
Addirittura il pm Giuseppe Narducci replicò sdegnato nella requisitoria nell’«abbreviato» a Giraudo, il 27 ottobre 2008, a chi paventava favortismi: «Piaccia o non piaccia» di telefonate di Bergamo e Pairetto con Moratti, Sensi o Campedelli, disse, «non c’è traccia». Piaccia o non piaccia invece quelle telefonate c’erano, ma son saltate fuori solo quattro anni più tardi grazie ai testardi consulenti difensivi. E non è un caso che il procuratore sportivo Palazzi ha concluso il suo supplemento di indagini ammettendo che se il reato non fosse stato prescritto anche l’Inter avrebbe dovuto essere sanzionata, anziché premiata.
Ma è tutta l’inchiesta un mistero.
Atti decisivi per le condanne o sono state nascosti o sono stati fatti sparire (il video dei sorteggi falsamente taroccati oppure l’audio dell’incontro a Villa La Massa a Firenze tra i Della Valle, Bergamo, Mazzini). Alcuni testi hanno mentito in aula e sono prossimi destinatari di avvisi di garanzia. Tante telefonate o non sono state mai trascritte o sono state mal trascritte. Si è evitato di riportarne alcune devastanti per trascriverne di inutili come il gossip sulla giornalista D’Amico, il peso e il nome di un neonato, il ragù nei rigatoni di casa Bergamo, i piatti lavati a casa Pairetto.
Perché? Ancora dalla sentenza di Calciopoli: «La difesa è stata (...) molto ostacolata nel compito suo proprio dall’abnorme numero di telefonate intercettate, oltre 170mila, e dal metodo adoperato per il loro uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per congettura...». Per congettura. Allo stesso modo, ragionando per congettura è lecito domandarsi perché non si è approfondito il «ribaltone» annunciato da Baldini o la telefonata tra l’allenatore Sandreani e il manager Zavaglia sull’intenzione dello stesso Baldini di prendere il posto di Moggi alla Juve col placet di Montezemolo. O perché non sono finite al processo le dieci e passa telefonate con la voce dei giallorossi Baldini e Pradè.
Non si tratta di fare un processo alla Roma, piuttosto che all’Inter, al Cagliari, al Palermo, al Milan o a chicchessia. C’è da capire perché si è indagato a senso unico, quale fu il criterio della selezione delle chiamate, come mai i pm napoletani hanno lavorato coi carabinieri di un’altra regione. C’è da capire la genesi delle intercettazioni attivate a seguito dell’imbeccata sulla «combriccola romana» degli arbitri pro Moggi quando lo stesso Auricchio, in aula, le ha ridimensionate a un gruppo d’amici che nemmeno arbitravano a favore della Juve. Già, l’abuso delle intercettazioni. Criticato nel lontano 1996 dall’allora procuratore generale di Catanzaro, Giuseppe Chiaravalloti, che denunciò l’allora giovane capitano Attilio Auricchio (impegnato a indagare con un giovane pm Luigi De Magistris), perché anziché trascrivere correttamente «Provveditore generale» nei brogliacci, l’ufficio da lui diretto mise «Procuratore generale» col nome di Chiaravallotti accanto.
Denunce e controdenunce finirono in archiviazioni reciproche. Quattordici anni dopo De Magistris è diventato sindaco di Napoli. Come capo di gabinetto s’è preso proprio il benemerito Attilio Auricchio. Come assessore ha nominato Giuseppe Narducci, il pm di Calciopoli amico di Auricchio e di De Magistris. ’O sindaco tifa Napoli, anche se da piccolo era interista. Sarà stato felice come un bimbo per non aver letto le intercettazioni del suo idolo di un tempo, il compianto Giacinto Facchetti, a cena con Bergamo, in contatto con l’arbitro Nucini e...
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2-Lo strano asse Baldini-carabinieri contro Moggi. Su 171mila telefonate, trascritte 3mila. Atti nascosti o taroccati. Il giallo sul "salvataggio" della Roma
Gian Marco Chiocci - Gio, 23/02/2012 - 09:02
Ma cos’è stata davvero l’inchiesta di Calciopoli che ha portato alla condanna di Moggi e compagnia arbitrale? È stata eterodiretta come sospettano i condannati? E da chi? E perché lo scandalo ha travolto solo la Juve e non altre società e dirigenti che colloquiavano allo stesso modo con la classe arbitrale e funzionari Figc? Proviamo a scoprirlo spulciando gli atti processuali.
A partire dall’ultimo, depositato il 6 febbraio scorso. Pagina 52 delle motivazioni della sentenza penale di condanna: «Il teste Baldini Franco, in atto general manager della nazionale inglese (oggi Dg della Roma Calcio, ndr), grande suggeritore di accusa, per collaborazione con l’investigatore Auricchio dichiarata da entrambi». I teorici del gran complotto anti-Juve si sfregano le mani per il virgolettato sul Grande Suggeritore perché mette una pietra tombale su Franco Baldini nemico giurato di Moggi (si sono insultati e denunciati a vicenda durante il processo) «ispiratore» delle indagini contro Lucianone.
All’ex maggiore dei carabinieri di Roma Attilio Auricchio conosciuto nel 2003 nell’inchiesta sulle false fidejussioni che puntò alla Roma, Baldini ha offerto l’input a indagare in più e più incontri (non verbalizzati) nel 2004 e nel 2005, indicando personaggi da sentire e filoni da esplorare. Baldini si confessò a verbale il 15 aprile 2005 con il solo maggiore che, cosa rarissima per un ufficiale, verbalizzò personalmente il lunghissimo interrogatorio. Sulla frequentazione con l’ex maggiore, in aula Baldini s’è contraddetto sostenendo di aver frequentato al massimo «una o due volte» Auricchio nel 2005 smentendo quanto da lui stesso affermato nel 2008 al processo Gea allorché giurò di non aver più incontrato il colonnello dall’agosto 2003 (inchiesta Gea) all’aprile 2005 (inchiesta Calciopoli). In aula, il carabiniere l’ha smentito osservando come tra l’agosto 2004 e il marzo 2005 incontrò il Ds della Roma «4 o 5 volte prima» dell’interrogatorio ufficiale, e «3 o 4 volte dopo». Baldini portò al maggiore anche una giornalista economica sua amica per illuminarlo ulteriormente sul «funzionamento delle società di calcio dal punto di vista economico».
L’incontro Baldini non lo sa collocare temporalmente ma la difesa lo individua tra la prima informativa del maggiore Auricchio alla procura di Napoli, del 18 settembre 2004 (dove si ipotizzavano quegli scenari apocalittici sul mondo del pallone in quel momento ancora non emersi in alcuna attività che serviranno a dare il là alle intercettazioni) e la telefonata a Baldini del 4 aprile 2005, trascritta integralmente e depositata solo al processo non dai carabinieri di Auricchio ma dai periti tecnici della difesa. Il giudice di Calciopoli la ritiene gravissima, almeno quanto quelle di Moggi. Scrive: «La conversazione è significativa anche perché presenta la comunanza di fiume di parole e discorsi di ampia portata, da cui il pm ha tratto elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione avente il capo in Moggi». La chiamata è quella col vicepresidente federale Innocenzo Mazzini (poi radiato) dove Franco Baldini preannunciava il ribaltone, poi puntualmente avvenuto: «Forse, se tu ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per quello, fare il ribaltone e butterò tutti di sotto dalla poltrona (...) io ti salverò, forse». Baldini dice che con Mazzini stava scherzando. Per i suoi detrattori è invece l’ennesimo indizio dell’eterodirezione romana. Checché ne dicano i cultori del complotto, sul fronte «fughe di notizie» che sputtanò Juve, Lazio e Fiorentina niente è emerso sul duo Baldini-Auricchio: non risultano in contatto con chi fece il vero scoop di Calciopoli, e cioè il Romanista, giornale di tifosi non abituato a pubblicare atti coperti dal segreto. Ad Auricchio ci si arriva indirettamente solo attraverso un cronista della Gazzetta dello sport, impegnato a tempo pieno a collaborare con i carabinieri romani di via in Selci.
Nel processo è emerso che delle 171mila telefonate intercettate il pool dei carabinieri di Auricchio ne ha sentite tante trascrivendone, a dire tanto, tremila. E le ha segnalate sulla base di «baffi» colorati messi sui brogliacci accanto alle telefonate. Verdi, poco interessanti. Gialle/arancioni, interessanti. Rosse, molto interessanti. Il perito della difesa, Nicola Penta, con enorme fatica è riuscito ad ascoltarne 30mila in più (arriviamo così a 33mila su 171mila) trovandone tante (Roma, Inter, Cagliari ecc) che pur avendo baffi gialli e rossi sui brogliacci, non sono state ritenute meritevoli di approfondimento. Addirittura il pm Giuseppe Narducci replicò sdegnato nella requisitoria nell’«abbreviato» a Giraudo, il 27 ottobre 2008, a chi paventava favortismi: «Piaccia o non piaccia» di telefonate di Bergamo e Pairetto con Moratti, Sensi o Campedelli, disse, «non c’è traccia». Piaccia o non piaccia invece quelle telefonate c’erano, ma son saltate fuori solo quattro anni più tardi grazie ai testardi consulenti difensivi. E non è un caso che il procuratore sportivo Palazzi ha concluso il suo supplemento di indagini ammettendo che se il reato non fosse stato prescritto anche l’Inter avrebbe dovuto essere sanzionata, anziché premiata.
Ma è tutta l’inchiesta un mistero.
Atti decisivi per le condanne o sono state nascosti o sono stati fatti sparire (il video dei sorteggi falsamente taroccati oppure l’audio dell’incontro a Villa La Massa a Firenze tra i Della Valle, Bergamo, Mazzini). Alcuni testi hanno mentito in aula e sono prossimi destinatari di avvisi di garanzia. Tante telefonate o non sono state mai trascritte o sono state mal trascritte. Si è evitato di riportarne alcune devastanti per trascriverne di inutili come il gossip sulla giornalista D’Amico, il peso e il nome di un neonato, il ragù nei rigatoni di casa Bergamo, i piatti lavati a casa Pairetto. Perché? Ancora dalla sentenza di Calciopoli: «La difesa è stata (...) molto ostacolata nel compito suo proprio dall’abnorme numero di telefonate intercettate, oltre 170mila, e dal metodo adoperato per il loro uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per congettura...». Per congettura. Allo stesso modo, ragionando per congettura è lecito domandarsi perché non si è approfondito il «ribaltone» annunciato da Baldini o la telefonata tra l’allenatore Sandreani e il manager Zavaglia sull’intenzione dello stesso Baldini di prendere il posto di Moggi alla Juve col placet di Montezemolo. O perché non sono finite al processo le dieci e passa telefonate con la voce dei giallorossi Baldini e Pradè. Non si tratta di fare un processo alla Roma, piuttosto che all’Inter, al Cagliari, al Palermo, al Milan o a chicchessia. C’è da capire perché si è indagato a senso unico, quale fu il criterio della selezione delle chiamate, come mai i pm napoletani hanno lavorato coi carabinieri di un’altra regione. C’è da capire la genesi delle intercettazioni attivate a seguito dell’imbeccata sulla «combriccola romana» degli arbitri pro Moggi quando lo stesso Auricchio, in aula, le ha ridimensionate a un gruppo d’amici che nemmeno arbitravano a favore della Juve. Già, l’abuso delle intercettazioni. Criticato nel lontano 1996 dall’allora procuratore generale di Catanzaro, Giuseppe Chiaravalloti, che denunciò l’allora giovane capitano Attilio Auricchio (impegnato a indagare con un giovane pm Luigi De Magistris), perché anziché trascrivere correttamente «Provveditore generale» nei brogliacci, l’ufficio da lui diretto mise «Procuratore generale» col nome di Chiaravallotti accanto.
Denunce e controdenunce finirono in archiviazioni reciproche. Quattordici anni dopo De Magistris è diventato sindaco di Napoli. Come capo di gabinetto s’è preso proprio il benemerito Attilio Auricchio. Come assessore ha nominato Giuseppe Narducci, il pm di Calciopoli amico di Auricchio e di De Magistris. ’O sindaco tifa Napoli, anche se da piccolo era interista. Sarà stato felice come un bimbo per non aver letto le intercettazioni del suo idolo di un tempo, il compianto Giacinto Facchetti, a cena con Bergamo, in contatto con l’arbitro Nucini e... (2. Continua)
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3-Il faldone avrebbe potuto/dovuto interessare soprattutto Francesco Saverio Borrelli, che però non sentì mai il bisogno di richiederlo alla collega dai capelli rossi durante le sue indagini sugli illeciti sportivi, nonostante la procura da lui un tempo diretta gli avesse trasmesso i verbali dei protagonisti dello scandalo Telecom (il capo security Giuliano Tavaroli, il detective Emanuele Cipriani, il presidente Tronchetti Provera ecc.) dove si faceva espresso riferimento a Nucini, alla Boccassini, alla spy story nerazzurra.
Proprio Tavaroli, nell'interrogatorio del 29 settembre 2006, riferisce che sul finire del 2002 incontrò Massimo Moratti e Giacinto Facchetti, con quest'ultimo che raccontò di essere stato avvicinato da un arbitro di Bergamo «che in più incontri» gli parlò del condizionamento delle partite attraverso un sistema che da Moggi portava all'arbitro De Santis. Tavaroli propose a Facchetti due opzioni: diventare «fonte» di un maggiore dei carabinieri di Milano oppure rivolgersi ai pm con un atto formale: «Mi risulta che la società Fc Inter ha presentato un esposto in procura» chiosò il manager della security Telecom. Marco Tronchetti Provera, preso a verbale il 9 marzo 2010, confermerà: «Moratti aveva chiesto immediatamente un aiuto alla procura perché c'era un arbitro che raccontava di strane storie a Facchetti ( ). La prima cosa che fece Massimo Moratti fu di andare dalla dottoressa Boccassini a raccontare questa vicenda. La Boccassini gli suggerì di far venire questo arbitro a denunciare la cosa».
Ascoltato dall'Ufficio Indagini della Figc, il 3 ottobre 2006, Moratti aveva dato invece una versione differente: quando Facchetti gli disse che voleva denunciare in procura i fatti raccontati da Nucini «mi opposi per la «genericità» delle accuse» e aggiunse che semmai «doveva essere Nucini a segnalare il fatto» ai magistrati. Due versioni, una è falsa. Quale?
Nel frattempo, proprio per tutelarsi, Facchetti si era registrato di nascosto le confessioni devastanti di Nucini che aveva spedito a infiltrarsi nelle linee nemiche: avvicina l'arbitro De Santis, ficca il naso sul ds del Messina Fabiani (vicino a Moggi), fa da talpa a Coverciano.
Quindi aveva girato dei numeri di telefono a Tavaroli, eppoi non s'è ancora capito se fu lui (o Moratti, che nega) a ispirare le indagini invasive sull'arbitro De Santis a un amico detective di Tavaroli, Emanuele Cipriani, che poi fatturerà 50mila euro a Pirelli e non all'Inter «perché Tavaroli - così riferisce a verbale Cipriani - spiegò che era opportuno che l'investigazione non risultasse» all'Inter.
Il passaggio successivo vede Nucini fare il suo ingresso in procura.
E qui calano le ombre. Non s'è mai capito, infatti, quando quest'incontro s'è verificato; se in procura ce l'ha mandato Facchetti, previo accordo col magistrato; se all'ufficio della Boccassini l'arbitro ha bussato di sua sponte; se l'incontro è stato verbalizzato e registrato; se il pm ha convocato il fischietto di Bergamo essendo venuta a sapere delle sue intenzioni. Nulla si sa. Nulla si deve sapere. Ma perché?
Al processo di Napoli l'arbitro Nucini («inconsistente teste d'accusa» secondo quanto si legge nella sentenza) non è stato capace di ricordare il giorno della sua visita in procura che a fatica colloca «verso la fine del 2003». Sul resto, è a dir poco ondivago, stranamente confuso, quasi reticente. Nell'udienza del 26 maggio 2009 fa presente che «qualcuno vicino alla società (Inter, ndr) ha consigliato che io andassi davanti al pm, la dottoressa Boccassini, a dire quanto avvenuto». Aggiunge che venne contattato telefonicamente dalla segreteria della Boccassini, che l'oggetto dell'incontro pensava fossero alcuni articoli in merito ad ammonizioni pilotate, e che al dunque la pm «mi ha fatto delle domande specifiche... che erano le confidenze che nell'anno e mezzo io e Facchetti siamo venuti a conoscenza...». Nucini confessa che non se l'è sentita di tradire Facchetti. Così alla Boccasini decide di non dire più niente: «Non ce l'ho fatta, ho trovato nella dottoressa Boccassini una delle donne più intelligenti, probabilmente aveva capito tutto. Non ha insistito, sono uscito dalla procura e la cosa è finita lì».
Aveva capito cosa? Non ha insistito? Gli avvocati si scatenano: signor Nucini come ha risposto alle domande della Boccassini? «Io a lei non glielo dico!», sbotta in faccia al difesore di Moggi, Prioreschi. «Abbiamo parlato di calcio, dell'andamento del calcio». Chiacchiere da bar? E con la Boccassini parlavate di tattica? Richiamato a deporre al processo napoletano il 15 marzo 2011 Nucini manda ulteriormente al manicomio gli avvocati con un mantra incessante, con chicche surreali: «Con la dottoressa Boccassini abbiamo parlato di calcio, punto». «Nessuno mi ci ha mandato», «Fu una chiacchierata informale». «Non firmai il verbale». Se questo fascicolo saltasse finalmente fuori si capirebbero tante cose. A cominciare dal famoso cd con la voce di Nucini, registrata di nascosto da Facchetti (circostanza riportata da Repubblica a maggio 2006 e mai smentita dai diretti interessati). Consentirebbe di dimostrare, o smentire, ciò che le difese degli imputati hanno sostenuto nel processo di Calciopoli, e cioè che qualora l'Inter, con un esposto, avesse allertato direttamente la procura di Milano, avrebbe violato la cosiddetta «clausola compromissoria» che obbliga le società a rivolgersi alla giustizia sportiva e non ad altre autorità.
L'avvocato Paolo Gallinelli, difensore dell'arbitro De Santis, per due volte (nel 2009 e il 3 febbraio 2011) ha sollecitato invano il pm Boccassini e il procuratore Bruti Liberati a fargli prendere visione del fascicolo-Graal. Niente da fare. In dibattimento a Napoli la richiesta è stata fatta in extremis, il pm si è opposto, non se ne è fatto niente neanche qui. Nelle nuove istanze si fa cenno anche all'attività dei pm di Milano che il 19 novembre 2004, con l'indagine avviata a Napoli, chiede a Telecom la verifica su alcuni «file di log» per verificare l'esistenza di determinati contatti telefonici monitorati proprio da Telecom. Utenze fisse e cellulari che potrebbero coincidere con quelle che Nucini spiffera a Facchetti, che a sua volta gira a Tavaroli il quale li passa al fedelissimo Adamo Bove (morto suicida nel luglio 2006) che li farà sviluppare alla segretaria Caterina Plateo. Che a verbale ammetterà come tra i numeri controllati da Tavaroli & co c'erano quelli della Juventus, del guardaline Cenniccola (il telefono era in uso a De Santis) della Gea World, della Figc, di Moggi. All'Inter che spiava i nemici è difficile pensare. Ecco perché occorre rendere pubblico ciò che nessuno vuol vedere pubblicato.
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4-La farsa di Calciopoli L’incontro arbitro-Lepore: "Sparite le telefonate coi pm" Lo sfogo di Massimo De Santis: "Ero amico di tanti magistrati ma su 171mila intercettazioni trascritte soltanto 900"
Non lo hanno mai interrogato e quando ha chiesto di essere sentito, se ne sono fregati. È stato intercettato due anni, legalmente e illegalmente, e pur non trovando mai una telefonata con quel diavolo di Moggi è passato alle cronache per essere l’arbitro a capo della «combriccola» di Lucianone.
Massimo De Santis, ex fischietto di prima fascia, interviene a gamba tesa nella contro-inchiesta del Giornale sui buchi neri del processo sul calcio sporco della procura di Napoli.
La sua condanna: un anno e undici mesi di reclusione.
«La sentenza è un obbrobrio perché Calciopoli è una farsa. Su 171mila telefonate ne sono state trascritte solo 900 e non 3mila - che già era un dato scioccante - come avete scritto voi. Gli investigatori hanno sbobinato esclusivamente le telefonate sulla Juve nascondendone altre. Hanno intercettato solo me quand’è provato che molti altri arbitri parlavano con i dirigenti in modo molto poco ortodosso, ammonivano a richiesta i giocatori diffidati, sempre a disposizione per poi chiedere favori e lavori. In appello tireremo fuori tutto quello che a Napoli hanno nascosto: faremo una strage, mezza serie A è coinvolta».
Parliamo di lei e di Moggi.
«(risata). I carabinieri mi intercettano ininterrottamente da novembre 2004 a giugno 2005. E mai esce una telefonata con Moggi. Anzi, in decine di telefonate si sente Moggi imprecare contro di me, anti-juventino. Il 20 aprile 2005, Moggi parla col giornalista Tosatti. La Juve ha appena perso col Palermo: “Questo (De Santis, ndr) - dice - è un figlio di puttana, c’ha creato mille problemi in questo campionato, se noi perdiamo il campionato uno degli artefici è lui perché c’ha dato troppo contro. A Palermo c’era rigore e non l’ha dato, a Parma c’era rigore e non ce l’ha dato, è un casino“.
Telefonata del 7 febbraio 2005, Moggi col giornalista Biscardi: “De Santis mi ha rotto i coglioni, ha rotto“. Gli esempi e le telefonate non si contano. Moggi mi odiava. Per l’unica partita asseritamente arbitrata a favore della Juve, e cioè quella col Lecce del 14 novembre 2004, io sono stato assolto. E anche nelle intercettazioni illegali Moggi non esce mai...».
Intercettazioni illegali?
«L’Inter mi ha spiato illegalmente attraverso l’arbitro Nucini, mandato da Facchetti, e con l’investigatore privato Cipriani, amico di Tavaroli, quello dello scandalo Telecom. Hanno messo sottosopra la mia vita, mi hanno pedinato, controllato i telefoni e nemmeno lì Moggi è uscito mai».
Ok, lei è Moggi non avevate rapporti
«Ok un cavolo: mi hanno messo a capo dell’associazione per delinquere di Moggi quando nemmeno ci parlavo. Strano no?»
È strano che lei, stando alla sentenza, avesse avuto da Moggi una sim svizzera.
«(Occhiataccia). Io non ho mai utilizzato alcuna linea riservata con Moggi. Gli inquirenti si sono fissati su una sim svizzera (che peraltro avrei avuto per poco tempo e quando la Juve da me arbitrata perdeva) ma io ho dimostrato - anche se non hanno voluto prendere atto delle prove in senso contrario che esibivo - che la mia presenza non combaciava mai con quella dov’era ubicata la cella della sim svizzera. Il telefono era là, io ero sempre da un’altra parte».
Lei avrebbe cambiato modo di arbitrare quando le arriva la proroga delle indagini da parte dei pm di Napoli.
«Falso! L’avviso viene notificato a giugno, a campionato finito».
La accusano di aver avuto una soffiata interna al Csm sulle indagini dei carabinieri...
«Minchiata. Hanno sostenuto che avessi appreso notizie riservate da un autista del Csm col quale ho parlato talvolta, come se questo fosse stato in grado di rivelarmi chissà che cosa, e non si sono preoccupati dei miei contatti con alti magistrati (ai quali, ovviamente, non mi sono mai sognato di chiedere nulla). All’epoca frequentavo il giudice di Torino Caselli, il giudice di Napoli Mancuso, conoscevo bene Rognoni (ex capo del Csm, ndr) persone stimatissime e integerrime, e come loro tanti altri importanti magistrati, se vuole le faccio l’elenco. E poi...»
Dica.
«Il 9 maggio, qualche giorno prima che lo scandalo scoppiasse sui giornali, sapete con chi ho parlato? Direttamente con il procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore, al quale ho chiesto ragguagli su quel che i giornali stavano anticipando riguardo all’inchiesta. Perché allora tanto malanimo nei miei confronti? Perché negli atti dell’inchiesta le telefonate coi magistrati sono scomparse? Sono o non sono autorizzato a pensare male? Al figlio di Facchetti che mi ha querelato perché rivelai che parlavo col padre, ho dovuto chiedere scusa perché nelle carte processuali le telefonate effettivamente non risultavano anche se ero certo, certissimo, di averle fatte. Solo quando il perito della difesa, Nicola Penta, le ha scovate a fatica dopo averne sentite 30mila, mai sbobinate dai carabinieri, quelle telefonate sono miracolosamente uscite. Il tempo mi darà ragione, e in tanti saranno costretti a chiedermi scusa. Il figlio di Giacinto Facchetti ancora non lo ha fatto, è il primo che deve farsi avanti. Sto aspettando». 3 marzo 201 (4 - fine)
http://www.ilgiornale.it/news/interni/farsa-calciopolil-incontro-arbitro-lepore-sparite-telefonate.html
Francesco Calabrone