martedì, maggio 22, 2007

L'importanza di essere juventini

SULLA CIMA SEMPRE, A GURDARE TUTTI DALL'ALTO IN BASSO!
GIOVANNI AGNELLI: I MIEI ANNI CON LA JUVE

TORINO - Vista da quassù, la città è un magnifico incrocio di tetti. L' Avvocato la guarda in silenzio, poi parla della grande passione della sua vita. "Se in cent' anni la Juventus ha vinto tanto dipende soprattutto da Torino, da questo ambiente che aiuta a lavorare bene".

Otto piani più sotto, la squadra di Combi e Platini, Boniperti e Zoff, Sivori e Zidane sta per cominciare un' altra avventura. Accadrà oggi, giorno del raduno e del ritiro a Chatillon per la solita caccia a scudetto e Coppe, per la consueta rincorsa di un destino tremendo e bellissimo: vincere, e basta. Prima che il pallone cominci a rimbalzare, Giovanni Agnelli racconta settant' anni di emozione bianconera: è la parola che usa di più, e c' è dentro tutto il mistero del calcio. Tra poche settimane l' Avvocato lascerà questo ufficio per trasferirsi al Lingotto, nella stanza che fu di suo nonno Giovanni, il fondatore della Fiat. E il riferimento, ancora una volta, è sportivo: "Se rimettono a posto il Filadelfia e il Comunale, avremo tutto là intorno". E sarà ancora più facile continuare il viaggio dei ricordi.

Avvocato Agnelli, che cos' è la Juventus? 
"La compagna della mia vita, soprattutto un' emozione. Accade quando vedo entrare quelle maglie in campo. Mi emoziono persino quando leggo sul giornale la lettera J in qualche titolo. Subito penso alla Juve. Di più: a volte mi emoziono pure con l' Udinese. Sempre per via dei colori". 

Cent' anni bianconeri: che cosa rappresentano per lei? "Io ho 76 anni, significa che ne ho trascorsi settanta su cento insieme alla Juve. L' ho vista da vicino. E ho cominciato da viziato perchè si vinceva sempre, anzi negli Anni 30 mi pareva inconcepibile poter perdere. Poi, purtroppo, i nostri argentini fuggirono per la guerra d' Abissinia, mio padre morì e in poco tempo quello squadrone venne distrutto. Ecco, allora compresi che per costruire si impiega moltissimo mentre per crollare basta un momento. Poi divenni presidente dopo la guerra, facendo una grandissima squadra, finchè nel '54 lasciai: ero all' ospedale di Firenze dopo un incidente d' auto, mi allontanai un po' dalla Juve, Valletta non ci teneva. Toccò a mio fratello Umberto ricostruire". 

La Juventus è stata per lei anche una scuola di comando? 
"Non so, mi hanno portato via di lì molto presto. Forse, negli anni giovanili è stata un' esperienza più divertente che formativa". 

A proposito di divertimento: le capita ancora, osservando il calcio? 
"Non a Torino, perchè in questo stadio non si capisce neppure chi fa gol. Non si vede sudare, non si sente imprecare. Meglio la tv". 

In generale, le piace il football moderno dove trionfano lo schema e i muscoli? 
"Mi diverto meno. Certo, il calcio è cambiato. Però si deve partire sempre dai giocatori. Anche Sacchi, perduti certi fuoriclasse, è entrato in crisi". 

Lei ama i fantasisti, gli artisti del pallone: come spiega che Baggio abbia faticato a trovare una squadra? "Lui gioca poco e benissimo, però troppo poco. Ma è stato, per esempio, determinante nei mondiali in Usa, come pure nella Juventus contro il Paris Saint Germain in Coppa Uefa. Per Cantona, in Inghilterra, hanno straveduto e Zola lo adorano. Per me, Zola è il miglior giocatore italiano. Credo che il calciatore sia il cuore del gioco, non il modulo: il calcio non è il basket". 

C' è un campione che oggi le accende il cuore? 
"Zidane. Unico, atipico, fenomeno assoluto. Nella Juve non fa mai quello che vogliono gli altri, ed è meglio così. Lo definirei un fuoriclasse anomalo". Se Baggio era Raffaello, se Del Piero è Pinturicchio, Zidane chi è? "Mi faccia pensare... direi Delacroix. Pittore francese grandissimo, che dipingeva molto in Nord Africa. Zidane è un calciatore atipico". Ai tempi di Heriberto Herrera, lei definì la Juventus troppo socialdemocratica. Quella di Lippi, allora, com' è? "Restando alle metafore politiche, somiglia al marco di Kohl. Stessa consistenza, stessa solidità. E per gli altri, entrare nella sua Europa è difficile. Fu proprio la forza del marco a determinarci a cedere Moeller e Kohler". 

Ma poi la Coppa l' hanno vinta loro.
"Perché sono bravi. Qualcuno mi ha detto: 'sette volte su dieci, col Borussia vinceremmo noi' . Ma quando? Se prendi tre gol, significa che hai meritato di perdere. L' arbitro? Dopo, sono state dette tante sciocchezze. Invece, qualche volta perdere può anche far bene".

Perdere: un verbo, Avvocato, che lei ha frequentato poco. 
"No, più di quanto si pensi. La sconfitta insegna. Io ho paura della gente che vince sempre, peggio ancora di quelli che credono di vincere. Quando si cade da cavallo e si pensava di essere i padroni del mondo, si capisce qualcosa della vita. Non è una metafora, parlo dei cavalli veri". 

Ma c' è una sconfitta, sportiva e non, che le brucia di più? 
"Certamente Atene. Una bastonata. Vidi la squadra la mattina della partita, eravamo su una spiaggia, erano tutti tesi, Platini mi disse di essersi svegliato alle sei. Compresi che sarebbe stato difficile".

Platini ha dichiarato: 'Se Gianni Agnelli mi chiama dopo i mondiali, non posso dire di no' . 
"La Juventus attuale funziona benissimo, non c' è bisogno di toccare nulla. Michel sta lavorando ottimamente per Francia '98. E' appena andato in Brasile con Chirac e la gente guardava più lui che il presidente". 

Sia sincero: pensava che suo fratello Umberto alla Juve vincesse così in fretta? 
"Ma non lo pensava neanche lui". 

La Juventus come strumento di consenso sociale, soprattutto negli Anni 70: era vero? 
"Si è fatta troppa sociologia. Io dico soltanto che la gente del meridione veniva a vedere molto volentieri la Juve, come noi andavamo a vedere volentieri l' Arsenal". 

Però certi ingaggi non li avete mai pagati anche per una ragione 'politica' ? 
"Cifre enormi, in effetti, abbiamo avuto paura di spenderle. Anche se l' unico giocatore che a quell' epoca volevamo veramente, cioè Gigi Riva, non venne per altri motivi, cioè per sua scelta". 

Ma anche oggi, uno come Ronaldo non lo prendereste mai. 
"E' vero, la Juventus deve tenere conto di altri fattori. Però quel brasiliano mi sembra davvero il migliore del mondo. Intanto, è un attaccante. E segna sempre. Imprevedibile". 

Invece la Juventus è più abituata a vendere: Baggio, Vialli, Ravanelli, Sousa. E adesso Vieri.
"Vendere e vincere. Non è mica facile. Questo dimostra che al team della Juventus sono bravi". 

Certo che Moggi, su Vieri, ha raccontato una favola anche a lei. 
"No, sono sicuro che il direttore generale fosse in buonafede. Credeva di tenerlo. Poi è intervenuta la famiglia del ragazzo. Ci hanno detto 'ci fate perdere tre miliardi e mezzo' . A quel punto, Lippi ha detto di volere solo giocatori entusiasti. Vieri non lo conoscevo, l' ho scoperto poco a poco, vedendolo giocare sempre di più e sempre meglio. Ancora una volta ho constatato che il calcio non ha certezze. Tutto opinabile, tutto modificabile in poche ore". 

Del Piero e Inzaghi invece di Vieri e Boksic. Una Juventus più leggera. Le piace? 
"Inzaghi non l' ho presente affatto. Qualcuno mi ha detto che ricorda Paolo Rossi: sarei già felice se fosse vero all' ottanta per cento. Formidabile Rossi. Quando c' era un gol e non capivi chi l' avesse segnato, era suo di sicuro. Ma sono tanti i volti che tornano nella memoria, per esempio quello di Haller. Cominciava la partita che era biondo e la finiva rosso come un peperone". 

La gente si chiede: quanto conta, oggi, l' Avvocato nella Juve? 
"Mah, se vedo un giocatore che mi piace dico 'cercatemi quello' . Sempre se è possibile. Sulle cose importanti una parola la metto ancora. Sento Lippi con frequenza, mi piace molto come persona, è un uomo di qualità. Ha stile. Mi ricorda altri allenatori che ho amato: Trapattoni prima di tutti, poi Carver e anche Heriberto". 

Eppure la Juventus non ha sempre vinto: con Maifredi, per esempio. 
"Guardate, Boniperti e Montezemolo non andavano mai d' accordo su niente. Su un nome, invece, non avevano avuto dubbi: Maifredi". 

Per nove anni avete perso lo scudetto rincorrendo Berlusconi: com' è potuto succedere? 
"Ah, Berlusconi. Lo chiamo il grande calmieratore del mondo del calcio, però verso l' alto: ha alzato tutti i prezzi, ha scassato il mercato in un minuto cominciando con Donadoni che era già nostro".

Settant' anni di Juventus: e il Torino, per lei, cos' è? 
"Fra le due guerre c' era molta rivalità, anche tensione. Ma dopo il conflitto mondiale mi affezionai a quei campioni, in fondo era il successo della città. Mazzola, Castigliano, Bacigalupo: formidabili. E che tragica beffa la loro fine: il radiogoniometro dell' aereo era tarato sul colle più alto, cioè Superga. E proprio lì andarono a sbattere. Poi ricordo il Filadelfia, un luogo memorabile: che tristezza vederlo in macerie. Ma rinascerà". 

Avvocato, oggi il calcio è soprattutto show-business. 
"Troppo. Anche se dev' essere così. Però è meno attraente. Io mi riconosco di più nel calcio di mio padre". 

E se la Juventus fosse davvero andata a giocare lontano da Torino, lei si sarebbe riconosciuto? 
"Ma io non ho mai creduto che potesse succedere". 

E la Ferrari mondiale, succederà? 
"Molto difficile, però siamo in corsa. Noi e la Williams. Si vincerà in fotografia".

Schumacher le ricorda qualche campione del calcio? 
"Come tipo somiglia a Scirea, una persona così per bene. Aveva tutto, meno la capacità di picchiare. Mai commesso un fallo, piuttosto lasciava scappare l' avversario anche se accadeva raramente. Contro Boniek in Coppa, per esempio, soffrì ma non lo mise mai a terra. Gaetano Scirea aveva la stessa classe di Beckenbauer". 

L' etologo Desmond Morris ha scritto che il gol è la metafora dell' atto sessuale: cosa ne pensa? 
"Beh, sì, è come l' amore perché ci si agita tutti insieme. Ma allora, metafora per metafora, un gol incassato cos' è?" 

Come definisce l' emozione del calcio? 
"Una finale di Coppa dei Campioni ai rigori. Non c' è nulla di più. A Roma scesi dalla tribuna e li guardai in tv per gustarli meglio. L' emozione è sempre tanta, allo stadio, ma cerco anche di controllarmi. Lo faccio spesso, però un gol mi fa sempre saltare". 

Lei lavora con un romanista, Romiti, e con un granata, Cantarella: problemi? 
"A Romiti credo che il calcio interessi come spettacolo. Cantarella, invece, ha giocato ed è più appassionato". 

Gli Agnelli e la Juventus: possibile immaginarli divisi, in futuro? 
"Spero non accada mai. Mi rassicura il fatto che anche i giovani della famiglia sono appassionatissimi, viaggiano a volte con la squadra". 

Cent' anni di vittorie: forse non dipende solo dai soldi, dal potere. Qual è l' essenza della Juventus? 
"La città. A Torino esiste un giusto rapporto con l' emotività, c' è spazio per la riflessione, si può lavorare bene. Non distrae e lascia tempo".

Mercoledì ci sarà una parata di vecchie glorie: il passato e il presente. 
"Certe cose mi mettono malinconia, penso che non andrò. Vedi i campioni di ieri con la pancia, senza capelli. Erano un ricordo, lasciamoli così". 

Nessun rimpianto, Avvocato? 
"Le limitazioni sugli stranieri ci tolsero un sacco di possibilità. Su Puskas c' era un divieto, Kopa lo bocciò Rosetta, altrimenti il grande Real Madrid l' avremmo costruito noi. Hamrin l' avevo preso per 30 mila dollari, per un pezzo di pane, però dovetti cederlo per ingaggiare Charles. Un' altra volta, mi sentivo in colpa nei confronti del Milan per avergli soffiato Ploeger, così li indirizzai su Nordahl". 

E Maradona? 
"Accidenti quant' è dimagrito, ho visto le fotografie. Quando era al Barcellona non si poteva più acquistare, quand' era ragazzino invece sì. Ma Boniperti non aveva voglia di rompersi la testa. Il vero rimpianto, però, è stato Vialli, Vialli giovane. La Cremonese l' aveva cresciuto per noi, poi qualcuno mi disse la solita frase: 'non è da Juve' . Anni più tardi cercai il responsabile di quelle parole ma scapparono tutti: Zoff non era stato, Boniperti neppure".  

Avvocato, cosa augura alla Juventus in questo compleanno centenario?
 "Un altro secolo così". (la Repubblica.it  20-7-1997)
LA DINASTIA AGNELLI. ALL'OMBRA DI EDOARDO: GIANNI-UMBERTO-ANDREA


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