giovedì, luglio 27, 2006

Lettera All'ultimo Degli Agnelli....

Lettera All'ultimo Degli Agnelli: Andrea. 

Questa era la Juventus voluta da suo padre, messa in piedi da suo padre! Ora l'hanno distrutta, e' mi rifiuto di credere che sia stato per mere questioni di calcio. I miei sospetti, non nascono da questo articolo del Giornalista Emanuele Boffi, ma li fortifica
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Emanuele Boffi 20 Luglio 2006
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Calciopoli. E se lo scandalo fosse il modo con cui ce l’hanno raccontato?

Pagine e pagine di verbali al veleno. Moggi&co già condannati prima delle sentenze. Ecco, cosa è successo prima che Juve, Lazio, Milan e Fiorentina finissero alla sbarra
Con una certa dose di saggezza rusticana Giuseppe Di Pietro gli confidava: «Figlio mio, se vai con un ladro, allora anche tu sei un ladro». E il figlio, che ha fatto prima il pm con grande successo di pubblico, poi il politico con minor incasso di consensi, ha reso il monito del padre una ragione di vita. Ma se dopo aver rovesciato il calzino italiano, se dopo aver usato la carcerazione preventiva come metodo d’indagine, se dopo aver preteso che tutte le mani fossero pulite, oggi, Antonio Di Pietro, si fa qualche scrupolo a far di ogni uomo un ladro, allora qualche domanda, anche i più rancorosi fra i giustizialisti, dovrebbero porsela. «Le intercettazioni sono come il bisturi in mano al chirurgo: necessarie per sconfiggere il male, pericolose se usate da soggetti diversi dal chirurgo, drammatiche se usate dal chirurgo per ammazzare la moglie» (Repubblica, 20 giugno)

E se, come lui, anche il segretario dell’Anm ed «esponente di spicco di Md» (Magistratura Democratica, associazione di sinistra), Nello Rossi, ha qualche remora professionale a leggere tutti i santi giorni verbali o intercettazioni, forse qualche quesito anche i giustizialisti di destra e sinistra dovrebbero porselo. «Assisto sempre più di frequente alla massiccia e indiscriminata pubblicazione di intercettazioni provenienti da indagini in corso. Sono preoccupato come magistrato e indignato come cittadino»; «le intercettazioni sono un mezzo d’indagine estremamente invasivo. E perciò vi si ricorre solo per reati gravi. Sono previsti rigorosi divieti nell’uso e garanzie per l’ascolto e l’acquisizione nel processo»; «si leggono pagine e pagine di intercettazioni di conversazioni che coinvolgono anche persone del tutto estranee all’inchiesta e di cui spesso si stenta a comprendere la rilevanza ai fini del processo»; «così si lede, in modo inutile, crudele, spesso irrimediabile, la dignità degli indagati, per cui vale la presunzione di innocenza, e l’onore di persone che non hanno commesso reati»; «di qui la necessità di regole più severe e incisive. Per tutti, giornalisti, magistrati, poliziotti, avvocati.
Dall’aumento delle pene per la rivelazione di segreti d’ufficio, alla prevenzione di meccanismi che rendano più fruttuose le indagini sulla violazione del segreto»; «il nostro codice deontologico stabilisce una regola semplice, da rispettare sempre: il magistrato non parla dei propri processi». (Rep., 19 giugno)

E, forse, tutti gli antifascisti dovrebbero meditare le parole di chi una certa esperienza politica ha dimostrato di averla: «Siamo di fronte a una demonizzazione. Il nostro è un paese di garanzie civili. Per ora conosciamo solo le notizie di stampa, peraltro enfatizzate con questo sistema di dare pubblicità ad intercettazioni, un sistema barbaro. Le leggi sulla violazione del segreto istruttorio non trovano mai condanna per chi le ha violate. Pensavamo che le intercettazioni fossero una prerogativa del regime fascista e invece, evidentemente, non è così». (Corriere della Sera, 22 maggio)

O quelle di chi oggi, risponde alle lettere dei lettori del Corriere, da quel pulpito che fu di Indro Montanelli: «è giusto che circolino nella stampa trascrizioni più o meno integrali in cui notizie utili all’indagine sono sommerse da un torrente di pettegolezzi, maldicenze, allusioni, vanterie goliardiche e faccende personali prive di qualsiasi rilevanza penale? La mia risposta a questa domanda è: no, non è giusto». (Corriere, 27 giugno)

E se tutto ciò non bastasse, pur non volendo insegnare la giustizia ai giustizialisti, basterebbe citare la lettera della legge: «è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti da segreto o anche solo del loro contenuto» (articolo 114 del Codice di procedura penale)
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IL DISGUSTO DI AUGIAS
Sospettato e accusato essere Spia Comunista (servizi segreti cecoslovacchi) 
Premessa necessaria e sufficiente è che il più sano ha la rogna. «Non sono uno stinco di santo» ha detto Luciano Moggi, ma questo non è bastato ad impietosire Corrado Augias, che, rispondendo a un lettore, scrive: «Lo dico con brutalità, le lacrime di Moggi davanti ai carabinieri e ai magistrati mi hanno suscitato un forte senso di disgusto» (Rep., 20 maggio). 
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"maurizio crosetti becerume del giornalismo
Mentre l’ammissione è servita a Maurizio Crosetti per spiegare che c’è rogna e rogna e quella di Moggi è rogna d’asino: «Una volta, all’avvocato Agnelli che non si era mai fatto fotografare accanto a Moggi, ma che lo utilizzava eccome e con soddisfazione, chiesero in confidenza perché usasse un simile personaggio. Agnelli rispose: “Lo stalliere del re deve conoscere tutti i ladri di cavalli”. Peccato che lo stalliere ormai si fosse messo in proprio. Peccato che quei cavalli, alla fine, fossero asini». (Rep., 12 maggio) 

Asini che vivevano attorniati da una corte di lacché che si tenevano buoni con regalìe di ogni tipo. Il Corriere della Sera del 24 giugno, in un articolo a tutta pagina titola: “I regali degli arbitri: champagne, salumi e orologi di marca”. Leggendo le frasi riportate nei verbali si scopre che di champagne e salumi si parla in relazione a cesti natalizi e che per gli orologi non vi sia alcuna prova che siano stati donati dai dirigenti. Che Moggi abbia mostrato preoccupazione per la sorte del figlio, Alessandro, dirigente della Gea World, non muove a compassione i critici.
"fiorenza sarzanini" autrice della perla. Penosa.
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Per Gad Lerner, infatti, si tratta solo di «Amici degli amici, figli dei padrini, più o meno come nella mafia» (Rep., 23 maggio)' è proprio il paragone con l’onorata società ad andare per la maggiore. Non solo nell’ironia livorosa degli striscioni da stadio che compaiono su tutti i campi di serie A nell’ultima partita di campionato (“Pronto sono Luciano, liberate Provenzano”, “Moggi usa i pizzini”, “Luciano baciamo le mani”) ma anche nella definizione di “cupola” con cui si indica il “sistema Moggi” (fra i pochi a indispettirsi Giovanni Trapattoni: «Chi si indigna è un ipocrita, parlare di cupola è un’esagerazione», Rep., 20 maggio).
"gad lerner" tipico mangiaPane a tradimento
Chi si fiderebbe di questo Barbone Egizio, se fosse suo vicino di casa?
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«Questo scandalo è peggio di tutti gli altri, è il più ramificato ed il più simile (ammazzamenti esclusi) ai metodi mafiosi» (Gianni Mura, Rep., 22 maggio)
Il pensiero piu' gentile sentito su costui: Un disgustoso porco. Anxi peggio: un interista!
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Un sistema che viene processato minuziosamente sulla stampa e un po’ frettolosamente nell’aula del tribunale. «In settemila pagine non c’è traccia di una mia telefonata con Moggi. Sono stato giudicato sui giornali e sulle tv. Gli sviluppi delle indagini li ho conosciuti andando in edicola» (Massimo De Santis, Corriere, 24 giugno) 
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Negli attacchi ai protagonisti di Calciopoli – ha qualche dubbio: «Al processo non sono stati ammessi testimoni. Anche il peggiore dei criminali ha diritto a una testimonianza a favore»; «la partenza sprint del pm Palazzi è stata un passo avventato»; «è singolare l’impostazione del dibattimento. Strano che nessuno faccia domande (…) si entra poco nel merito. Comprensibile la velocità, ma nell’80 (scandalo calcio scommesse, ndr) e in tanti altri casi, le Commissioni giudicanti andavano a notte fonda» (Rep., 6 luglio)


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Corrado De Biase
Proprio paragonando l’attuale processo a quello che lo vide protagonista come capo ufficio indagini sul calcio scommesse, Corrado De Biase dice:«Sui giornali ho letto solo frasi staccate, non mi pare di aver letto di un illecito sportivo per alterare il risultato. Di partite comprate o vendute non mi sembra di averne viste»; «Quando sento dire dal commissario Rossi che farà tutto lui e che può arrivare a giudizio anche senza interrogare, c’è qualcosa che non torna» (Rep., 20 maggio)
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Lo stesso De Biase, in un’altra intervista, commenta la frase di Francesco Saverio Borrelli che ha parlato di «illecito strutturato» come reato commesso da Moggi e soci: «Si parla di illecito strutturato. Ma che cos’è? Non esiste. Si vuol far capire che c’è qualcosa di diverso, di anomalo. Ma illecito strutturato proprio no. Esiste l’illecito sportivo. Non si può parlare di cose che non esistono nell’ordinamento giudiziario sportivo»; «La dimostrazione dell’illecito sportivo io ancora non l’ho vista. (…) Fino a oggi quello che vedo è la violazione dell’articolo uno del codice di giustizia sportiva, che impone ai tesserati di comportarsi secondo i princìpi di lealtà, correttezza e probità. (…) Però quello che abbiamo letto fino a oggi a me non dimostra che c’è stato il tentativo di alterare una partita» (Il Foglio, 22 giugno)



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L’avvocato Gaetano Scalise, difensore dell’arbitro Gabriele e dell’ex designatore Bergamo dichiara: «Il commissario straordinario della Figc ci ha concesso solo tre giorni per studiare migliaia e migliaia di carte e presentare memorie. Non so se mi spiego» (Corriere, 24 giugno).

D’altronde la Procura di Torino che per prima aveva visionato tutte le intercettazioni aveva archiviato il caso in quanto «le ipotesi accusatorie sono senza riscontro» e per «l’assenza di alcuna utile informazione sull’eventuale corruzione». Lo ribadisce anche Marcello Maddalena, procuratore della Repubblica di Torino in una lettera al quotidiano Repubblica che il giorno precedente l’aveva accusato di «timidezza investigativa». Scrive Maddalena che dalle intercettazioni non erano «emersi elementi di prova tali da confermare l’originaria ipotesi investigativa (corruzione di pubblico ufficiale) per cui le stesse erano state autorizzate». E d’altronde, come dichiara Borrelli, nel giorno degli interrogatori degli arbitri, «non ci sono pentiti» (8 giugno). Però c’erano già i colpevoli.
E di Giraudo che dice di un arbitro “se è furbo dimezza l’Udinese” cosa pensa? «Mi sono divertito a scaricare da internet gli orari delle telefonate. E se li controllate anche voi, capirete tutto». La telefonata era successiva alla partita incriminata? «Proprio così» (intervista all’arbitro Massimo De Santis, Rep. 9 maggio)

Siamo in buone mani. Perché, come spiega Giorgio Bocca:  «La nomina di Borrelli a dirigere le indagini sul grande scandalo del calcio è la cartina di tornasole, il reagente chimico, la prova della verità, la caduta delle menzogne, il re nudo del popolo berlusconiano che “non molla”, che non tollera ritorni alla giustizia, che concepisce la democrazia solo come alleanza delle cosche più forti e più ricche» (Rep., 24 maggio)

Né, d’altronde, alcun dubbio può essere mosso sulla figura super partes di Guido Rossi. O forse solo uno: «Mi chiedo come mai la pubblicistica italiana dica ogni abominio possibile sul potenziale conflitto di interessi di Adriano Galliani presidente di Lega e dirigente del Milan, ma non adoperi lo stesso criterio nei confronti di Guido Rossi, commissario straordinario della Federcalcio ed ex dirigente dell’Inter di Moratti dal 1995 al 1999, e di Gigi Agnolin, nominato Commissario degli arbitri ma pur sempre ex dirigente della Roma dal 1995 al 2000 (al posto di Moggi, guarda che combinazione)» se si arrende anche mike (Christian Rocca, ilfoglio.it/camillo, 3 luglio)


Alla luce di queste parole e dopo i fasti mondiali, a rileggere certe dichiarazioni vien quasi da piangere dal ridere. «Il mondo del calcio è marcio» (Zdenek Zeman, 13 maggio), «Il vero scudetto della Juve sarebbe restituire lo scudetto» (Francesco Merlo, Rep., 16 maggio),


«La mia Juve senza telefonini. Con Agnelli contavano onestà e sacrifici» (Zibì Boniek, Rep., 16 maggio);


«L’hanno fatta grossa. Il profondo disagio di tifare Italia non riusciamo a togliercelo di dosso» (L’Unità, 19 maggio); «Dati i sospetti, la Figc, o lo stesso ct, dovrebbero dare un segnale chiaro. Ad esempio la sospensione dell’allenatore» (Il Riformista, 19 maggio);

«Lippi, Buffon e Cannavaro devono tornarsene a casa» (Il manifesto, 19 maggio); «La Nazionale farebbe meglio a starsene a casa» (La Padania, 19 maggio);

«Lippi e Cannavaro, per favore: lasciate o spiegate. (…) I protagonisti del calcio italiano devono mettersi in testa una cosa: dopo quello che abbiamo letto o sentito, l’età della deferenza è finita» (Beppe Severgnini, Corriere, 20 maggio); «

La Nazionale è la Nazionale italiana, non la Nazionale della Gea. Lippi deve dimettersi» (Beppe Grillo, 20 maggio);

«Lippi si faccia un esame di coscienza» (Gigi Simoni, 20 maggio);

«Quelli del calcio scommesse, al confronto erano ladri di galline» (Paolo Rossi, Rep., 21 maggio);

 «Con Lippi ci presentiamo in una situazione imbarazzante» (Gianni Mura, Rep., 21 maggio);

«Serve un atto di umiltà, il ct non se la può cavare parlando solo di calcio, le intercettazioni non ce le siamo inventate noi giornalisti» (Roberto Beccantini, La Stampa, 21 maggio);

«Come presidente della Figc avrei voluto Zeman» (Daniele Capezzone, Corriere, 24 maggio);

«Dopo 75 anni di fede juventina, abbandono» (Mike Bongiorno, Chi, 24 maggio);

«Gesto nobile, ma sulle intercettazioni sbaglia» (l’associazione “Libertà e giustizia”, commentando le dimissioni del suo affiliato Franzo Grande Stevens da presidente della Juventus che aveva osato dire: «La privacy è stata violata», 25 maggio);

«Parole fuori posto» (titolo di un commento non firmato apparso sul Corriere a fianco dell’articolo “Cannavaro: «Moggi? Facevano tutti così»”, 25 maggio);

«Chiediamo un risarcimento per ciascun tifoso di 2.500 euro» (Codacons, 25 maggio);

«Non dovevamo andare in Germania» (Aldo Nove, 31 maggio); «Tifo Ghana» (Andrea Pinketts, 31 maggio);

«Sono con l’Italia senza entusiasmo» (Nando Dalla Chiesa, 31 maggio);

«Tifare africano» (titolo di Alias, supplemento del Manifesto). «è un’occasione storica, non possiamo sciuparla. Siamo di fronte alla possibilità di processare, finalmente, tutto il calcio italiano. Le intercettazioni? Non bisogna demonizzarle. L’importante è usarle bene. Senza offendere le persone»
 (Diego Della Valle, Corriere, 24 giugno);

«Levate quella fascia a Cannavaro. Signor commissario, ci ascolti, ascolti i tifosi di calcio. Questo non è un capitano, questo non è il nostro capitano, questo non è il capitano di una Italia che cerca di uscire dal più grande scandalo pallonaro della sua storia mostrando una faccia pulita» (Riccardo Luna, Il Romanista, 25 maggio);

«Scudetto da assegnare. è un premio per chi rispetta le regole» (Massimo Moratti, presidente dell’Inter che falsificò il passaporto a Recoba, Corriere, 25 giugno);

«Che questa fosse una squadra mediocre, lo penso da tempo e per una banale ragione (…). E se Lippi è un genio del pallone, almeno a un Nobel può aspirare anche il mio portinaio di Milano» (Vittorio Zucconi, Rep., 18 giugno).

E, infine, la più sublime: «Mi farebbe piacere non vedere Totti in questa nazionale… O meglio: lo vorrei come capitano, in un’Italia senza Cannavaro, Buffon e Lippi. Saremmo dovuti andare in Germania col lutto al braccio perché il calcio è morto» (Claudio Amendola, Corriere, 2 giugno).
"claudio amendola" l'immorale che si faceva lo spinello con le figlie-13 e 14 anni (cit), con il bullo di Porta Metronia (un delinquente prestato al calcio)
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Andrea, l'ultimo degli Agnelli
Di mio, mi permetta di dirle: Non dimentichi il Rispetto per la nostra Cara Vecchia Signora. Il Popolo Juventino, che, se anche con il benestare dei nuovi padroni della Juventus, gli infami nemici lo hanno trattato da popolino, ma e' un grande popolo composto, solo in territorio nazionale, da oltre 13 MILIONI di unita'! E' sia chiaro....il rispetto la maggioranza di essi non lo pretende. Quello che pretende e' di avere rispetto per CENTO anni di Onorata storia! Altrimenti SCIOLGA la societa'! Non ci costringa a vivere nella vergogna voluta dalla famiglia di un intruso, e di quel "luca di montezemolo",  che gia' una volta ci provo' a farci cade're nel ridicolo. A qualcuno non piace sentire (legger) la parola Complotto? Ma se di complotto puo' parlare un provato complottista: Il piduista ducetto di Arcore! A maggior ragione ne ho io il diritto!Il complotto? I poteri forti di Milano-Torino e Roma! Massoneria? Scelga Lei/Voi, che...dovreste saperlo meglio di me. Ma mi dica, perche' il Laziale Romanista Petrucci ha scelto L'ATTIVO DIRIGENTE INTERISTA Guido Rossi come commissario della federcalcio? Perche' gli e' stato imposto da Tronchetti Provera ed il consenso dei suoi amici di Torino! Non voglio entrare nel merito di una "proba'bile(?) loggia massonica e delle sue ramificazioni bancarie. Capitalia(?), scandalo Telecom, diritti tv ed altro, che servono a fuorviare l'attenzione dai loro illeciti e furti miliardari, ma perche' con lo scandalo delle intercettazioni sarebbero venuti a galla i su detti furti miliardari, ed i molteplici "illeciti dell'Inter"...questi si, certificati! Allora cosa fanno? Prendono lo zingarello volgarotto e' il nemico della Famiglia e ti creano il mostro da mettere per due mesi in prima pagina, incluso il vostro stesso giornale, e mettono in moto la micidiale macchina mediatica. Quella stessa macchina che tace sul Processo Doping-Inter-Ferruccio Mazzola, che minimizza le accuse di doping all'Inter dell'ex Georgatos, che tace sul patteggiamento dell'INTER e' del calciatore Recoba al processo di Udine per il falso passaporto di Recoba per evitare la galera a Oriali (e moratti?)! Che tace sull'abuso di potere del Kommissar Guido Rossi (nessun conflitto d'interesse?) per il cambio di procedura per permettere l'iscrizione dell'inter al campionato contro il parere della COVISOC per l'enorme debito della squadra di "moratti & tronchetti", anzi, delle squadre di Milano! si perche' Inter (ma anche il milan!) non avrebbe potuto iscriversi senza l'esborso di oltre 100 milioni.di euro (ma era gia' illecito consumato!). Ma lo sfruttatore (il candido topo di fogna catanese) amico del finto generoso Minus Habbens Massimo,  ha piazzato bene le sue pedine allUSSI e alla F. N. S. I! E poi finge di non sapere e scrive: fatemi capire. povero popolino pecora.. No io non pretendo che crediate al complotto, non pretendo che lei Andea Agnelli abbia rispetto per il popolino Juventino, no, nessuna pretenzione, solo una richiesta! Trattandosi della straordinaria creatura di suo padre, a nome di milioni di Juventini le chiedo di Rispettare 100 anni di storia, le chiediamo di rispettare suo Padre....
Chiediamo troppo? Conoscendo la sua passione di tifoso vero, non credo. 
Riceva un cordiale saluto. Francesco. L'Ultra Tifoso, che ultra' non e'.
AMARCORD PRESIDENTE, E' LEI?
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Emanuele Boffi: Il processo farsa, il mostro Moggi, gli onesti. 

Anche se le restituissero gli scudetti, nulla ormai può più cambiare la sorte della Juve. E' diventata l’Inter del Duemila

Il tragico caso Juve è cominciato con la richiesta di un sorriso. È iniziato, cioè, con un atto d’hubris, così come gli antichi greci chiamavano l’illusoria tracotanza degli umani che tentano vanamente con un atto d’imperio di cambiare ciò che sottostà alle leggi dell’immutabile e del necessario. Il tragico caso Juve ha avuto principio con la richiesta del giovane rampollo Elkann – l’estroverso e funambolico Lapo – di vedere in campo e sulle pagine dei magazine una squadra e una società più sorridente, più simpatica, più cool. Quando lo sventurato, il figlio dell’élite torinese, l’esperto di marketing e cittadino del mondo chiese «una Juve più smile» fu il principio della fine, l’abbrivio dell’inevitabile cataclisma, perché non puoi essere vincente e simpatico. Aut aut. O sei l’uno o sei l’altro, come gli ricordò l’allora amministratore delegato Antonio Giraudo: «Senza “smile” negli ultimi dieci anni abbiamo vinto cinque scudetti, giocato sedici finali di coppe vincendone otto, conquistato due Palloni d’Oro. La nostra società è una di quelle più solide dal punto di vista finanziario, senza che gli Agnelli in questi ultimi dieci anni abbiano dovuto mettere denaro».

Invece Lapo voleva sfidare le leggi della natura e del calcio: voleva vincere sul campo e fuori. Pretendeva, lo sciagurato, di battere tutte le altre squadre e poi di riceverne pure il clap clap di un battimani: grazie che ce le avete suonate 4 a 0, cheese. Voleva, insomma, essere l’Inter di Moratti, la squadra che piace alla gente che piace, a Fiorello, a Valentino Rossi, a Gino Strada, a Michele Serra, a Gad Lerner. Voleva che la sua Juve avesse lo charme del perdente senza perdere, la fortuna sportiva senza rimetterci la fortuna economica. Non si capacitava del perché lui, che aveva rilanciato l’immagine Fiat con la semplice idea di farne scrivere il logo a caratteri maiuscoli su una felpa, non potesse fare la stessa cosa con la squadra di famiglia. Lapo non capiva perché il giocattolo sportivo del nonno dovesse essere la squadra di cui, nei bar dello sport, si diceva che rubasse, e al cui palmarès si associasse il muso brutto sporco cattivo di un team manager adiposo e di un amministratore delegato col portamento di un impiegato delle poste. È così che è iniziato il tragico caso Juve, e non c’è dio dell’Olimpo né giudice di tribunale che oggi possa inviare un qualche deus ex machina a indicare una via di redenzione. (E.B.)

Un chiaro caso di illecito strutturato
Chi oggi finge di scandalizzarsi per Calciopoli 2, mente sapendo di mentire. Era già tutto chiaro allora, nel 2006, l’anno che fu per il calcio quello che fu il 1993 per la politica. Tredici anni dopo le mani, furono ancora la magistratura e la stampa a pulire i piedi, col consenso di chi, da quella depurazione, s’illudeva di trarne solo vantaggi e nessuna rogna. Il campo, quello su cui rotolava la palla rotonda, diceva questo: c’erano due squadre invincibili, la Juventus della triade (Moggi, Giraudo, Bettega) e di Del Piero e Ibrahimovic e il Milan di Berlusconi e Galliani, di Kakà e Maldini che spadroneggiavano in Italia e in Europa. Poi c’era l’Inter di Moratti, una squadra campione solo nei triangolari d’agosto cui da anni andava male tutto quel che poteva andare male. Il 5 maggio, Kanu, Gresko, Recoba, Vampeta, dobbiamo continuare?

L’Inter era la squadra dei tifosi che per consolarsi correvano in libreria a comprare le barzellette sugli interisti di Severgnini (l’autoironia è l’arma del perdente), i cui supporter gettavano motorini dal secondo anello di San Siro ed esponevano striscioni di incitamento ai propri giocatori il cui più benevolo era questo: «Non sappiamo più come insultarvi». La Juventus, invece, era la squadra che vinceva perché, come ha spiegato German Camoranesi, «quando entravamo in campo, gli altri si pisciavano addosso». Fu nell’estate del 2006, a pochi mesi dal Campionato del Mondo, che andò in scena Calciopoli, un assurdo processo sportivo in cui la Juventus – e, in minor grado, Milan, Fiorentina e Lazio – pagarono per non avere commesso il fatto. A dirlo non è Tempi, Giampiero Mughini, o gli sfegatati del sito ju29ro.com, ma quegli stessi giudici che allora decisero la sanzione sull’onda di un sentimento popolare e di una campagna di stampa cui non dispiacque materializzare in sentenza il luogo comune più diffuso: la Juventus vince le partite “perché paga l’arbitro”.

A spiegarlo furono quegli stessi che la condannarono. Come Mario Serio, giudice della Corte di appello federale: «Abbiamo cercato di interpretare un sentimento collettivo, abbiamo ascoltato la gente comune e provato a metterci sulla lunghezza d’onda». O come Piero Sandulli, il presidente di quella Corte, che dichiarò: «Nella nostra sentenza evidenziammo soprattutto cattive abitudini, mica illeciti classici. Si doveva far capire che quello che c’era nelle intercettazioni non si fa. è stata una condanna etica». A un quotidiano Sandulli ha anche detto che nelle partite del campionato 2004-2005 «non ci sono illeciti. Era tutto regolare. L’unico dubbio era sulla partita Lecce-Parma». Lecce-Parma. Ma allora perché la Juve è andata in B?

Chi ha avuto la pazienza di leggere le sentenze dei tribunali e non soltanto quelle vergate su carta dai quotidiani rosa salmone(Gazzetta dello Sport), lo sa dal 2006. Contro la dirigenza juventina c’erano prove di non rispetto dell’articolo 1 del codice di giustizia sportiva (lealtà sportiva), ma non di violazione dell’articolo 6 (illecito sportivo), l’unico la cui violazione prevede la retrocessione. I giudici, già nel 2006, lo avevano appurato con certezza, tanto che, - come spiegò sempre Sandulli, «l’illecito associativo non esisteva, era una falla del sistema giuridico che è stato da noi introdotto». - È il famoso «illecito strutturato» di cui parlò Francesco Saverio Borrelli, chiamato dall’allora commissario straordinario Guido Rossi – ex dirigente Telecom, ex cda Inter – a condurre le indagini: «è un caso di illecito strutturato», spiegò l’eroe di Mani Pulite.

Un’arcana formula che si potrebbe tradurre più o meno così: non abbiamo prove che la Juventus abbia comprato o tentato di comprare partite, né arbitri, né guardalinee, né calciatori. Abbiamo appurato che «non esisteva alcuna cupola», che la celebre favola delle “ammonizioni mirate” a favore dei bianconeri era appunto una favola, che non vi è stata mai alcuna «alterazione del sorteggio arbitrale», che l’arbitro Gianluca Paparesta non fu mai chiuso in uno spogliatoio da Moggi. Ecco, sebbene non ci sia una-prova-una che la Juventus abbia rubato le partite, sebbene sia illogico pensare che si possa alterare un campionato senza alterare i match, abbiamo condannato la Juventus alla serie B, alla non assegnazione del campionato 2004-05 e alla revoca dello scudetto 2005-06 (non oggetto d’indagine).

Tutto questo durante un processo in cui abbiamo eliminato un grado di giudizio, in cui abbiamo concesso agli avvocati difensori solo tre giorni per preparare la difesa e un quarto d’ora per esporla e in cui non abbiamo ammesso come prove i filmati delle partite o altre prove documentali, ma solo alcune intercettazioni da noi selezionate senza dare la possibilità ai presunti colpevoli di accedere a tutte quelle disponibili (171 mila). Insomma, quel che si dice un processo equo. È scritto così nella sentenza: «è concettualmente ammissibile l’assicurazione di un vantaggio in classifica che prescinda dall’alterazione dello svolgimento o del risultato di una singola gara». Deve essere questo che si intende per “illecito strutturato”: sei colpevole perché è ammissibile che tu lo sia. Già allora ci fu chi tentò di insinuare che Calciopoli era una farsa e che dietro l’operazione piedi puliti si stava svolgendo una pedicure tutta a favore di telecamere e istinti belluini di piazza.

Oltre al giornale che tenete in mano, avanzarono sospetti alcuni giornalisti come Piero Ostellino sul Corriere della Sera, Christian Rocca sul Foglio, Giampiero Mughini nella trasmissione tv Controcampo. Probabilmente l’avrebbe voluto fare anche la firma numero uno del giornalismo sportivo italiano, quel Giorgio Tosatti di cui, con sospetto tempismo, furono pubblicate telefonate con Moggi, forse anche per vendetta contro le aspre critiche che Tosatti aveva mosso al pm Raffaele Guariniello, quello che aveva indagato invano sulla stessa Juventus. Ma non solo giornalisti, anche Giuseppe De Biase, il giudice che condusse le indagini sul calcio scommesse negli anni Ottanta, uno che di diritto sportivo se ne intende certamente più dell’avvocato d’affari Guido Rossi, disse senza mezzi termini: «La sentenza su Calciopoli è un aborto giuridico». E il giornalista Enzo Biagi, non esattamente un garantista a tutto tondo, aggiunse: «Una sentenza pazzesca costruita sul nulla: cui prodest? ».

Con Lippi non vinceremo mai
A tentare di discolparsi ci provarono anche i vari “mostri”, inutilmente. Il designatore Paolo Bergamo, quello accusato di essere troppo amico di Moggi, spiegò dal principio che lui «parlava con tutti i dirigenti».
https://www.youtube.com/watch?v=-BQx3Opwgw8
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https://www.youtube.com/watch?v=tmOjdvNplMM 
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https://www.youtube.com/watch?v=RLU6eHsPmjw
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https://www.youtube.com/watch?v=BPcIP4DCwaM 
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https://www.youtube.com/watch?v=ezJCMEaXR1Y
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https://www.youtube.com/watch?v=txxqPyXx6eY
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https://www.youtube.com/watch?v=ksmo-MJ5NRE&t=12s
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L’arbitro Massimo De Santis rivelò che le intercettazioni delle telefonate usate dall’accusa per dimostrare che esistevano degli accordi tra dirigenti delle squadre e arbitri erano «tutte successive alle partite». Moggi non fece mai finta di non essere quello per cui veniva pagato a peso d’oro: un dirigente maneggione, autoritario, svelto. Prima che Berlusconi fosse, Moggi fu. Fu lui il primo a usare l’espressione «non sono un santo» e ad ammettere di aver infranto gli obblighi di lealtà e correttezza sportiva, il già citato articolo 1 «quello che nel mondo del calcio, che è business, forse non infrangono solo i magazzinieri». Perché che tutti parlassero con tutti, era già noto nel 2006, eppure solo Moggi fu dipinto come un ciarliero farabutto. «Ci sono 42 società tra serie A e B, tutte parlano, l’unica società sordomuta era l’Inter», ha detto Moggi.

Eppure tutti hanno fatto finta di credere che il calcio fosse corrotto per colpa di uno solo. I quotidiani, con la Gazzetta dello Sport in testa, cavalcarono la piazza. Candido Cannavò scrisse che «la vergogna era ormai venuta allo scoperto» ed era «impossibile nasconderla sotto una foglia di fico». Gianni Mura su Repubblica chiese di fare «piazza pulita» per liberarsi di «uno scandalo che è peggio di tutti gli altri, è il più ramificato ed il più simile (ammazzamenti esclusi) ai metodi mafiosi». Gigi Garanzini sulla Stampa intimò di mandare via «i mercenari padroni del vapore». Per Gad Lerner trattavasi di «amici degli amici, figli dei padrini, più o meno come nella mafia». Lo sdegno si fece politico con Antonio Di Pietro che assicurò trattarsi di un nuovo caso «Tangentopoli. E ci sono le prove. Queste intercettazioni sono importanti. Hanno lo stesso valore della mazzetta scoperta a Mario Chiesa».

L’allora ministro dello Sport, Giovanna Melandri, si disse pronta a «restituire al calcio italiano l’onore che merita». Il fu radicale Daniele Capezzone propose «Zdenek Zeman come presidente della Figc». Essendo alle porte il Mondiale, l’Italia del pallone chiese la testa degli azzurri della Juventus: «Lippi, Buffon e Cannavaro devono tornarsene a casa» (Manifesto); «La Nazionale farebbe meglio a starsene a casa» (La Padania); «La Nazionale è la Nazionale italiana, non la Nazionale della Gea. Lippi deve dimettersi» (Beppe Grillo); «Che questa fosse una squadra mediocre, lo penso da tempo e per una banale ragione. E se Lippi è un genio del pallone, almeno a un Nobel può aspirare anche il mio portinaio di Milano» (Vittorio Zucconi, Repubblica). L’associazione di consumatori Codacons pretese un risarcimento per ciascun italiano di 2.500 euro, l’Adusbef e Federconsumatori chiesero «l’allontanamento dell’attuale ct della nazionale, Marcello Lippi. Le due associazioni consumatori chiedono un Ct al di sopra di ogni sospetto». Marco Travaglio rivelò di essere a conoscenza del sistema da tempo e di aver già anni prima scritto un libro sul terribile «Lucky Luciano».

Oggi che Moggi ha portato in aula le “intercettazioni degli altri” (pagandone la sbobinatura di sua tasca, si badi), la stampa italiana ha con qualche imbarazzo o minimizzato o riaffilato la ghigliottina come Oliviero Beha sul Fatto (“Moratti a processo come Moggi”). I tifosi juventini del sito giùlemanidallajuve.com hanno annunciato di aver pronto un dossier sulle errate scelte societarie dall’estate 2006 a oggi. In rete si trovano dettagliate ricostruzioni di presunte lotte tra famiglia Agnelli e famiglia Elkann per il patrimonio Fiat in cui la società Juventus sarebbe stato l’agnello sacrificale. Da più parti si è iniziato a chiedere che lo scudetto che fu tolto ai bianconeri e assegnato ai nerazzurri, sia restituito.

Ma chi l’ha comprato Poulsen?
Chi non leggesse coi paraocchi le intercettazioni di oggi come quelle di ieri, invece, ne dovrebbe trarre la medesima conclusione: trattavasi di lobbying estremo, pressione per ottenere qualche occhio di riguardo, chiacchere da bar, sciocchezze e millanterie. Che da tutto questo ne derivasse un risultato pratico, concreto, fattuale non è dimostrato da alcuna prova. Né ieri né oggi. A meno di pensare che la palla, anziché essere rotonda sia quadrata e che bastino le battutacce da bandito al telefono per far di Darko “scarpa di piombo” Pancev un Alessandro “Pinturicchio” Del Piero.

L’aspetto paradossale di tutta la vicenda è che anche se lo scudetto 2005/06 fosse restituito, anche se dagli almanacchi fosse cancellato che la Juventus è stata in serie B, anche se Moratti riconoscesse che il suo non era esattamente un comportamento «da onesti» che l’ex presidente Giacinto Facchetti telefonasse agli arbitri prima delle partite, anche se tutto ciò accadesse, questo non renderebbe meno tragico il destino della società Juventus. Perché è stata la Juventus  a scaricare Moggi e oggi è quasi patetico il tentativo di riabilitarlo senza ammetterlo.

È stata la Juventus, tramite il suo avvocato Cesare Zaccone, a definire la retrocessione in B una soluzione equa. È stata la Juventus a vendere i suoi campioni all’Inter. È stata la Juventus a comprare Poulsen, Felipe Melo, Grosso. È la Juventus oggi la squadra che non termina la stagione con lo stesso allenatore, che viene contestata dai suoi supporter, che perde con l’Udinese e il Fulham, che vive di continui litigi negli spogliatoi, che trasforma i campioni in brocchi, che ad aprile inizia a parlare di calciomercato. Il tragico destino della Juve del 2010 è questo: è l’Inter del 2000. E non c’è nemmeno uno smile che la faccia sorridere.  CUI PRODEST.....
Emanuele Boffi (interista dalla nascita perchè di famigla, Interista tradizionale) 
16 Aprile 2010 - Emanuele Boffi - boffi@tempi.it
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Dottor Agnelli, non si fidi. Stia attento


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