JUVENTUS DINASTIA AGNELLI
A pochi giorni dalla conquista del 31° Scudetto, Andrea Agnelli ha concesso una lunga intervista in esclusiva a Sky Sport. Quasi 30 minuti per ripercorrere i suoi primi tre anni alla presidenza, per riassaporare tutti i trionfi, ma anche per iniziare a parlare di futuro. Con un obiettivo ambizioso riuscito solo alla Juventus del Quinquennio: puntare al terzo tricolore consecutivo.
Ecco la trascrizione completa dell’intera intervista rilasciata al giornalista Federico Ferri
Se si volta indietro, qual è la prima immagine che le viene in mente?
«Non è tanto un’immagine, credo che sia una sensazione condivisa da me e da tutto lo staff, dai dirigenti, dall’allenatore, dalla squadra, ed è una sensazione di grandissimo orgoglio».
E se guarda invece al futuro, ora che un’altra vittoria è archiviata?
«Il futuro è un domani, noi dobbiamo guardare a quello che sarà il prossimo trionfo. Io ho sempre detto che la vittoria più bella è quella che deve venire».
Se dovesse analizzare questo periodo di successi della Juventus, qual è la peculiarità che distingue la sua società rispetto agli altri club che ha battuto in questi due anni?
«Non dobbiamo guardare agli altri club. Quando abbiamo deciso in famiglia di ridare una responsabilità diretta a uno di noi, l’obiettivo era uno e unico, cioè riportare la Juventus a vincere, perché nella storia della famiglia quello ha sempre rappresentato. Per fare ciò, la parte preponderante che mi ero posto era di riportare quella mentalità vincente che la Juve ha avuto, ha e deve avere per continuare nel suo percorso».
Come riesce a conciliare i due aspetti, quello di tifoso viscerale nei 90 minuti della partita e quello da manager razionale? Se esistono questi due aspetti…
«Esistono eccome. Tutti i miei collaboratori sanno che da tre ore prima della partita non si discute, c’è la partita, mi danno ancora un’oretta di buono dopo la partita e dopo si ricomincia con le attività aziendali, che sono tante e molteplici. Io sono prima di tutto un tifoso e ho il privilegio, da tifoso, di presiedere anche la squadra di cui sono tifoso. Quel momento è sacro. Vivo la partita come se andassi in campo, tant’è che prima non mangio, dopo la partita c’è sempre la sfida chi arriva primo alla pasta e solitamente siamo Buffon ed io, che abbiamo bisogno di recuperare».
Dal 2010 a oggi, lei ha rivoluzionato la Juventus, la Juventus ha cambiato lei?
«Sì, certamente, mi ha dato una dimensione pubblica che prima non avevo, quindi già solo questo fatto vuol dire che ha cambiato la mia vita. Andare per strada oggi è diverso che andarci tre anni fa, quindi sì, decisamente mi ha cambiato. Inoltre mi ha arricchito professionalmente, perché avere la responsabilità operativa di un’azienda come la Juventus, fa sì che la crescita professionale sia stata esponenziale, però le esperienze che avevo avuto precedentemente mi avevano sufficientemente preparato al profilo manageriale, la Juventus poi io l’ho vissuta da quando ero bambino, quindi diciamo che l’azienda Juventus l’ho sempre conosciuta e quindi sapevo dove andare ad affrontare le varie problematiche e i temi che c’erano quando siamo arrivati».
Dopo la prima stagione alla Juventus, ha cambiato una sola cosa: l’allenatore. Ha scelto Conte. Perché era convinto di fare la scelta giusta?
«Mi piace sempre fare un paragone: quando guardiamo l’ultima Champions League che abbiamo vinto, era il 1996, e se guardiamo all’undici che è sceso in campo in quel momento, sette undicesimi venivano dalla gestione precedente. Quando noi siamo arrivati, dico io, Marotta, Paratici, Nedved, nel 2010, abbiamo trovato una parte sportiva che era sicuramente non al livello di Juventus. C’eravamo dati due anni, quelli dovevano essere quelli della rifondazione per riportare ad avere un’ossatura della squadra che avrebbe poi potuto ambire a vincere. Questa erano le idee che c’eravamo dati. Forse è celebre la conferenza stampa del febbraio 2011, quando dissi: “se l’anno prossimo abbiamo questi problemi, allora abbiamo un problema”. Il primo anno, che si potessero avere degli intoppi era pacifico. Guardiamo la squadra di quest’anno: abbiamo ventuno venticinquesimi completamente cambiati rispetto alla squadra del 2010, bisognava dare del tempo. L’allenatore è stato poi un elemento che nel primo anno non ci ha soddisfatto, però è stato importate il principio che abbiamo ristabilito, che l’allenatore incomincia la stagione e finisce la stagione, bisogna dare certezza, i bilanci, ho sempre detto, si fanno il 30 giugno. Antonio mi contattò, come disse, tramite un amico comune, mi venne a trovare, mi parlò effettivamente, come ha detto lui, per tre ore, mi riempì la testa di quello che era il suo modo di vedere la Juventus, l’atteggiamento, quello che mancava, mi convinse, devo dire mi convinse del tutto. Infatti è vera la battuta che fa, che scese mia moglie e mi disse: “chi è questo?”, e io: “stai buona, questo è il prossimo allenatore della Juventus”. Dopodiché vide anche Marotta e Paratici e fummo tutti convinti che era lui la persona giusta per fare quello step successivo. L’anno scorso, quando abbiamo vinto quello splendido Scudetto da imbattuti, dissi: “la squadra che stiamo mettendo insieme è una buona squadra, Antonio ha funzionato da acceleratore e, quindi, i risultati a cui tutti ambivamo sono arrivati un po’ prima del previsto”».
È andato oltre le sue aspettative?
«Temporalmente. Quando sono arrivato ho detto: “la Juventus deve vincere”. L’aspettativa era di vincere, diciamo che abbiamo vinto un po’ prima del previsto».
Il prossimo incontro con Conte quanto durerà?
«Il prossimo c’è stato la settimana scorsa. Antonio è venuto a trovarmi a casa, sempre a casa, lo stesso divano, abbiamo discusso di nuovo un paio d’ore. Antonio ha passato due anni estremamente intensi: il primo lasciando il Siena si è concentrato sulla Juventus in tutto e per tutto, l’anno scorso devo dire che ha fatto un’altra estate non felice o facile, perché è vero che abbiamo vinto uno Scudetto da imbattuti, però è altrettanto vero che nel frattempo Antonio era finito tra le grinfie dei procedimenti legati al calcioscommesse. Sono due anni che non si riposa e, secondo me, una settimana tranquillo gli farà sicuramente bene. Antonio conosce le aspettative del mondo della Juventus e sa perfettamente che vincere sembra di nuovo normale, ma non è così. Abbiamo discusso di quali sono le sue aspettative e lui voleva valutare con me quelle che erano alcune esigenze per poter continuare questo percorso, chiedendomi certezze, ma certezze non si possono dare a nessuno. Anche io vorrei le certezze di vincere la Champions League l’anno prossimo, però le certezze non le può avere nessuno. L’ho rinfrancato, l’ambizione della società, mia personale e sua, è quella di vincere. Il giorno dopo che l’ho incontrato io, c’è stato subito un incontro con Marotta, Paratici e Nedved, già in quella circostanza c’è stato un chiarimento su quelle che devono essere le strategie per il mercato della Juventus. Antonio ha sempre detto che non è una questione di soldi e così non è, lui vuole avere e continuare ad avere la certezza che ci siano i presupposti per continuare a vincere, e mi sembra che questi ci siano. Il lavoro sarà un lavoro congiunto, un lavoro del tecnico, un lavoro dello staff, un lavoro di valutazione su quali sono gli elementi da aggiungere per poter continuare a vincere. Quello che mi preme sottolineare è che i meriti e i risultati che abbiamo ottenuto fino ad oggi vanno divisi tra la squadra, tutti quanti ricordiamo Buffon, Chiellini, Barzagli che è eccezionale, Vidal, ma credo che questo sia anche lo scudetto dei Padoin, dei Peluso, dei Giaccherini, dei Matri, dei Quagliarella, un gruppo di persone che per tutta la stagione aveva un unico obiettivo in testa, che era vincere. Credo che vada dato il giusto merito alla squadra. L’allenatore è un allenatore che ha funzionato da acceleratore ed è sicuramente un grandissimo allenatore. Ma la società non è stata da meno, noi abbiamo fatto sembrare normale fare quattro mesi in panchina senza allenatore, mi sembra che oggi nessuno ne parli più, vuol dire che i senatori hanno avuto il loro ruolo, vuol dire che lo staff tecnico ha avuto il suo ruolo, vuol dire che chi ha preso il posto di Antonio al suo posto in panchina ha avuto il suo ruolo, Paratici poi un giorno racconterà come sono stati quei quattro mesi nello Sky Box. Oggi ci sono tutte le componenti al loro posto, credo che tutte le componenti vogliano continuare a vincere, in Italia e anche in Europa. È difficile, perché l’anno prossimo abbiamo un appuntamento con la storia, perché la Juventus, tranne quella del quinquennio negli anni ’30, non ha mai vinto tre scudetti di fila, quindi bisogna che la mente sia focalizzata all’anno prossimo perché abbiamo un appuntamento con la storia: diventare la prima Juventus a vincere tre scudetti di fila. In Europa, andare il più lontano possibile. Abbiamo esempi che ci dicono che le certezze non esistono. Il Real Madrid sono circa dieci anni che non vince la Coppa dei Campioni, eppure è la squadra che fattura di più e quindi ha il budget superiori a tutti. Il Manchester United l’anno scorso è uscito contro il Basilea, quest’anno agli ottavi di finale. Le certezze non le ha nessuno. Ci vuole entusiasmo, passione, forza di volontà, dedizione, tanto lavoro e tutti insieme possiamo porci gli obiettivi che auspicabilmente raggiungeremo».
Le riserve sul futuro di Conte sono sciolte?
«Da parte mia sono completamente sciolte, non ho mai avuto riserve, lui aveva bisogno di una carezza e di una conferma che il programma va avanti e quello che gli ho detto è che può star tranquillo perché finché ci sono io, a me la fame di vittorie non passerà mai».
Abbiamo visto dare un bacio a Conte prima di salire sul pullman. Sinceramente non la vedo come uno che dà delle carezze, diciamo che era in senso figurato, no?
«Esatto».
È un modello applicabile in Italia quello dell’allenatore a lungo termine, come Ferguson al Manchester United?
«Quando uno ha tutti gli elementi tali per cui si sta bene assieme, l’auspicio è che sia così. Io lo scrissi appena arrivò Conte, auspicai che lui potesse diventare il nostro Ferguson. Sarà solo il tempo a giudicare se anche in Italia saremo in grado di avere un Ferguson».
Però, l’obiettivo c’è ancora, dal momento che resterà.
«L’auspicio è questo, si».
Dal punto di vista dei rinforzi, fino a quanto può ambire la Juventus a livello di qualità di giocatori, d’importanza di giocatori, si è parlato spesso di top player; la Juve può ambire a questi giocatori?
«Il calcio italiano, in questo momento, è sicuramente un calcio che è in difficoltà. Mi è capitato di recente di definire la Serie A ormai come un campionato di transito, una lega di transito, e non una destinazione finale. Quindi, questa è una riflessione che va fatta su tutto il sistema, perché se noi diventiamo una lega di transito, faremo sempre fatica ad acquistare dei giocatori che costano, diciamo, 30, 40, 50. Ci piace dare questa definizione di top player, cioè i tutto per, e il top player costa tanto, non se è buono poi in campo. Llorente aveva una clausola rescissoria di 37 milioni, se l’avessimo preso l’anno scorso sarebbe stato un top player, se viene a parametro zero, non so, voglio dire, è solo una questione anche di come si fanno. Se io guardo ai migliori acquisti che abbiamo fatto, Vidal, Pogba, Barzagli e Pirlo, l’investimento complessivo è stato di circa 14 milioni, Vidal era sui 12, avevamo qualche commissione sugli altri. Quindi, vuol dire che il valore medio dei quattro migliori giocatori che scendono in campo è stato di 3 milioni. Se noi diciamo, dobbiamo spendere a tutti i costi, no. Noi dobbiamo anche essere capaci di trovare queste situazioni. Poi, è chiaro che nel rifondare una squadra, come dicevo prima, abbiamo 21, 22 giocatori su 25 diversi rispetto al 2010, qualcosa di sbagliato si fa per forza, questo è un dato di fatto oggettivo. Ma credo che tutto sommato, io non posso far altro che elogiare il lavoro di Marotta, il lavoro di Paratici, il lavoro di Nedved e spero di poter a breve elogiare il lavoro di Gianni Rossi e Pessotto sul settore giovanile, perché lì stiamo investendo molto, lo si passa sempre in secondo piano, ma voglio dire, a Vinovo oggi abbiamo il J College, quindi, abbiamo la scuola per i ragazzi. Quando ci trasferiremo alla Continassa, tutto Vinovo verrà destinato all’attività di sviluppo dei giovani, con tanto di stanze e refettorio. Quindi, diventa un vero e proprio collegio».
Ibrahimovic è un obiettivo possibile per la Juventus? Lei lo rivorrebbe?
«No».
Punto?
«Punto».
Higuain?
«Devo dire che la parte di mercato, io ho sempre sostenuto che c’è quella che chiamo io la capacità di fuoco. La capacità di fuoco sono il costo del personale tesserato più gli ammortamenti. Quest’anno saremo vicino ai 200 milioni tra queste due voci, e questo ci mette tra il sesto, settimo, ottavo, nono posto in Europa. Quindi, se vale il discorso del budget, noi dovremmo raggiungere tutti gli anni, come minimo, i quarti di finale di Champions League. Ora, sappiamo perfettamente che l’equazione budget uguale risultato sportivo, non c’è. Bisogna avere la capacità di gestirlo al meglio, bisogna avere la capacità di gestire i giocatori al meglio, perché le motivazioni, il lavoro e la volontà, danno sempre quel qualcosa in più. Però, il budget che noi mettiamo a disposizione dell’area sportiva è un budget sicuramente importante. Dal mio punto di vista, ho sempre sostenuto questo e sono decisioni che vengono delegate, in primis a Marotta, che poi ne discute con Paratici, con Nedved, con Conte stesso, perché è parte integrante di queste decisioni. Loro devono stare entro questa cifra. Quindi, per me possono smontarla e rimontarla, l’importante è che il costo totale, tra ammortamenti e retribuzione del personale tesserato, faccia quello che gli viene messo a disposizione».
Ci saranno cessioni eccellenti, tipo Vidal, Marchisio?
«Ripeto, queste sono scelte che competono all’area tecnica, discutono tra di loro, io con loro partecipo. Per me, l’importante è tenere a mente quello che è l’obiettivo, che è vincere, tenere a mente quello che è il rispetto di questa capacità di fuoco, che oggi si aggira intorno ai 200 milioni. Da questo punto di vista per me, e viene messo in mano tecnica, devono gestirlo al meglio, consapevoli che l’ambizione nostra è quella di vincere ogni competizione a cui partecipiamo, ma siamo altrettanto consapevoli, come ho detto in passato, che ci sono, comunque, altre squadre che hanno le stesse legittime ambizioni nostre e, quindi, anno su anno è difficile. Ripeto, vincere l’anno prossimo vorrebbe dire entrare nella storia. Quindi, non è una questione evidente, bisogna essere concentrati dal giorno uno e dire dobbiamo entrare nella storia tre volte di fila».
Bisogna essere affamati come dice Conte?
«Bisogna essere affamati. Non bisogna mai perdere la fame ed è un qualcosa che io non perdo neanche al giovedì quando gioco con i miei amici, quindi figuriamoci se perdo la fame nel gestire la Juventus».
C’è sempre anche Nedved quando gioca?
«Quasi sempre».
Con lei o contro?
«Sono a estrazione le squadre, quindi dipende dalle volte».
La Juventus in questo momento è all’opposizione in Lega Calcio e non è filogovernativa nemmeno per quanto riguarda la Figc. E questo va un po’ contro una tradizione della Juventus che è sempre stata vicina al governo del palazzo. È cambiato qualcosa radicalmente o potrebbe evolversi in modo diverso?
«Sì certo che è cambiato qualcosa. Il 2006 è stato un terremoto in casa Juventus e quindi tutta una serie di scelte che non sono state condivise allora hanno sicuramente lasciato il segno. Da parte nostra c’è grande consapevolezza di aver rispettato la giustizia sportiva, così come rispettiamo le decisioni che oggi avvengono in Lega. C’è stata un’assemblea, con 14 voti favorevoli e 6 contrari, che ha dato un governo. Le vicende del 2006 hanno chiaramente lasciato degli strascichi e ci sono tutta una serie di azioni giudiziarie che sono in corso e che per noi sono assolutamente importanti. Detto questo, noi dobbiamo valutare quello che è l’aspetto legato al 2006 in un’ottica retrospettiva, ma di continua richiesta di parità di trattamento, perché i fatti che sono emersi successivamente sono stati fatti comunque che hanno portato alla luce elementi nuovi. Dall’altra parte però dobbiamo essere consapevoli che il governo e l’opposizione nel calcio non esistono, siamo un’unica associazione che vive nella sua collettività per migliorare e riportare il calcio italiano in posizioni più prestigiose di quelle che occupa oggi. Lo stesso discorso si può dire della Federazione: credo che l’intervista del vice presidente Albertini sia stata assolutamente eloquente l’altro giorno, quando dice “noi oggi in seno al consiglio federale abbiamo una serie di componenti che hanno le loro posizioni e i loro punti di vista, mentre invece bisognerebbe avere un punto di vista della Federazione che prende decisioni nell’interesse del gioco calcio, non delle varie componenti. Possiamo maturare, possiamo migliorare, ma non è il momento di criticare questa o quella azione, questa persona o quella persona. Io da quando sono nel calcio sento solo criticare la gente e anche a me è capitato di criticare. Credo che questo sia il momento di fare un passo indietro e lavorare tutti quanti, tutti uniti per riaffermare quella che è la posizione del calcio italiano in Europa».
Nelle prossime maglie non ci saranno le stelle, né la scritta “31 sul campo”. È una scelta soltanto estetica o di contenuto?
«C’è lo scudetto sulle maglie però che è importante».
Quindi non ci sono ripensamenti?
«No. Da questo punto di vista, credo che la gente ne fa un discorso di contabilità. Gli Scudetti per noi sono 31, sappiamo perfettamente che l’albo ufficiale ne dà 29. Arrivati a questo punto a me magari piace ricordare un altro numero, tra l’altro domani inaugureremo la mostra “Il lunedì si parlava di calcio”, che è la storia della mia famiglia, della Juventus, e sono 90 anni e questo ci rende la proprietà più longeva di qualsiasi marchio sportivo al mondo. Bene, dal ’23 a oggi noi come famiglia abbiamo vinto 30 scudetti in 90 anni, il che vuol dire uno scudetto ogni 3 anni. Come media statistica su 90 anni fa media e quindi di questo siamo molto orgogliosi, sono trenta. Negli ultimi 3 anni abbiamo fatto anche un po’ meglio, perché abbiamo fatto due su tre. Quindi non ci resta che proseguire».
I tifosi della Juventus su internet hanno votato Vidal come miglior giocatore della stagione, mvp di questo Scudetto. Lei cosa ne pensa?
«Per me è il collettivo. Questo è sicuramente lo Scudetto dei Buffon, Chiellini, Barzagli, Vidal, della novità Pogba, di Vucinic. Ma questo è lo Scudetto di Padoin, Giaccherini, Matri, Quagliarella, di tutti. Questo è stato lo Scudetto di una squadra che si è ripetuta. Lo dice sempre il mister, vincere una volta può essere un caso, ripetersi vuol dire che società, staff tecnico, allenatore e giocatori funzionano».
Qual è stato il momento più emozionante di questa stagione per lei?
«Il gol di Giaccherini contro il Catania sicuramente ha dato una gioia particolare. E poi credo che la vittoria a Bologna sia stato un momento estremamente determinante nel percorso di rivincere lo Scudetto».
C’è stato un momento in cui ha temuto di non riuscire a vincerlo quest’anno?
«Uno finché non lo vince deve sempre temere di non vincerlo. Averlo vinto con tre giornate di anticipo ci ha fatto vivere il finale di stagione più sereni. Uno non deve mai pensare di aver vinto fino a che non ha effettivamente vinto. La concentrazione è sempre stata altissima da parte di tutti, perché siamo perfettamente consapevoli che finché non si è vinto, non si è vinto. Io ne ho viste, ho visto il primo 5 maggio, quello originale e non questo qua, così come ho visto la giornata di Perugia, quando perdemmo all’ultima giornata. Bisogna arrivare, quando uno ha vinto ha vinto altrimenti deve sempre temere che qualcosa possa succedere».
Pensa mai a quello che le ha insegnato suo padre anche nella gestione e nel modo in cui in questi anni lei sta imparando a vincere?
«Uno dei grandi insegnamenti di mio padre è un insegnamento silenzioso. Una delle poche frasi che mi ha sempre detto: “Uno deve cercare di raggiungere gli obiettivi che si è prefissato”. E quindi non perdersi strada facendo nel cercare altre opportunità. Uno deve darsi degli obiettivi e cercare di raggiungerli. L’esempio di mio padre è sempre stato molto silenzioso, molto rispettoso, ma anche molto rigoroso. Parafrasando una frase inglese: “He lead by example”. Lui era leader per l’esempio che dava e gli altri lo seguivano».
A proposito di modello inglese e spagnolo. Oggi si parla di modello tedesco. Qual secondo lei è più applicabile in Italia per tornare ai vertici anche in Europa?
«Non dobbiamo ispirarci a un modello piuttosto che a un altro, perché ogni nazione ha le sue peculiarità. E quindi anche nella gestione stessa del reperimento delle risorse, la Germania è diversa dall’Inghilterra e la Spagna diversa dall’Italia. Noi dobbiamo individuare quello che è il nostro modello di riferimento in base a quello che è il nostro perimetro di riferimento. Bisognerebbe avere una guida diretta e forte da parte della federazione in modo tale che le varie componenti una insieme all’altra perseguano quello che è l’obiettivo che da’ la federazione, nella consapevolezza che la Lega Serie A debba essere il traino di questo sistema».
Dal 1986, quello di quest’anno è stato il primo Scudetto vinto dalla Juve senza Del Piero. Del Piero ha fatto i complime ti anche alla società in un messaggio recente. Sembra però che tra di voi ci sia sempre una certa freddezza. Questa freddezza finirà?
«Non è una questione di freddezza. Io sono riconoscente ad Alessandro. Abbiamo passato tante serate assieme, così come sono riconoscente a tutti i giocatori delle Juventus precedenti. Alessandro è un grande della storia della Juventus. Mi è capitato tante volte di accostarlo agli Scirea, ai Platini, ai Sivori. Alessandro sarà sempre nei nostri cuori e mi auguro presto di rivederlo nella nostra famiglia, allo stadio e in altre circostanze. Perché comunque è un pezzo di storia della Juventus e di questo ne andiamo fieri».
Qual è l’obiettivo di domani?
«Vincere».
In cosa la Juventus le assomiglia di più?
«Io sono cresciuto dentro la Juventus».
«Abbiamo un appuntamento con la storia»
juventus.com - 13 maggio 2013