lunedì, febbraio 12, 2007

NEL FANGO DEL MONDO ULTRAS: IMPUNITA' E' LA LEGGE ULTRA' DELLE SQUADRE DI MILANO

I capi dei tifosi invitati dal club rossonero alla cena di gala per lo scudetto nel 2004 
Patto nerazzurro per il controllo della curva: una chiamata e sparisce la croce celtica

MILANO - Il capo dei Commandos, qualche anno prima, nonpoteva entrare allo stadio. Però alla festa del Milan campione d’Italia, nel 2004, aveva un tavolo accanto a quello del presidente Berlusconi.

«Noi siamo soliti festeggiare con la nostra famiglia allargata», dice la società. Una definizione che comprende sia il presidente della Regione Formigoni e l’allora sindaco di Milano Albertini, sia una quindicina di ultrà esponenti dei Commandos, delle Brigate Rossonere, e della (oggi sciolta) Fossa dei leoni.

Un frammento dei rapporti pericolosi che Inter e Milan intrattengono con i «cattivi» delle curve. Rapporti leciti,ma alla base di un giro d’affari da milioni di euro, della gestione di un potere su migliaia di ultrà, e di un meccanismo di ricatto più o meno latente verso i club. Che negli ultimi mesi è sfociato in una tentata estorsione ai danni dei rossoneri. Concolpi di pistola e un pestaggio.

*Equilibrio sottile
Rapporti a rischio. I capi ultrà viaggiano spesso sugli stessi charter che portano i giocatori e i dirigenti. «Ma volano a loro spese», fanno sapere da Milan e Inter. Entrano negli spogliatoi di San Siro e nelle aree vip.

Perché i leader della curva possiedono pass nominali, con tanto di foto per «muoversi liberamente in ogni settore dello stadio, compresi gli spogliatoi dei giocatori » (deposizione di un dirigente del Milan).

Lostesso succede per l’Inter.Avolte, i legami diventano lavorativi. Come per un esponente di Alternativa rossonera, impiegato in un ufficialissimo Milan point. Infine, sul sito delle Brigate rossonere Gilardino, Inzaghi, Kakà e Gattuso mettono gratuitamente a disposizione la loro (costosa) immagine per pubblicizzare magliette, cappellini e felpe del gruppo. Fin qui, niente di illecito.

Solo la prova di una certa contiguità tra le società e i gruppi di tifosi più estremi. Di contatti che vengono considerati inevitabili. E da coltivare: servono a «responsabilizzare» i capi dei tifosi, con il risultato «di essere una delle squadre meno sanzionate in Europa e in Italia», come chiarisce un responsabile del Milan in un verbale della Digos. Il fatto è che l’equilibrio è fragile. E il confine tra rapporto corretto e complicità sottile.

*Il patto nerazzurro
Quindici maggio 2005, a San Siro si gioca la partita Inter-Livorno. In curva Nord, quella nerazzurra, compare una croce celtica. Sventola per pochi minuti, poi viene ritirata.

Cosa è accaduto? Un responsabile della polizia ha avvertito un referente della curva, che ha girato immediatamente l’ordine: «Fate levare quella roba». Il magistrato che ha indagato sugli ultrà interisti parla di collaborazione «efficace».

È il sistema nerazzurro, per come è stato ricostruito dagli investigatori. Funziona così: concessione di benefici «limitati» ai capi-curva in cambio di una sorta di «servizio d’ordine». Il tutto sotto la supervisione della polizia, che però non compare mai sugli spalti.

L’Inter assicura cinquanta biglietti omaggio «consegnati a Franco Caravita (leader della curva Nord, ndr) e da questi gestiti con successiva distribuzione » ad altri esponenti degli ultrà.

La contropartita, per l’immagine e per le casse di una società di calcio, è enorme: una curva calma, niente guerriglia urbana (rarissima fuori da San Siro negli ultimi anni), poche multe per incidenti e lancio di fumogeni.

Ma come: si tratta con i «cattivi»? Ci si affida a loro per il servizio d’ordine, anche se alcuni hanno precedenti penali? E qual è il limite di questi accordi?

La risposta l’ha data il pm Fabio Roia chiedendo l’archiviazione dell’indagine sul lancio di fumogeni che portò all’interruzione del derby di Champions del 12 aprile 2005:

«È evidente come questa intesa possa suscitare qualche perplessità sotto il profilo etico e della eventuale prospettiva investigativa, ma la gestione dell’ordine pubblico in situazioni di particolare complessità comporta una visione ampia e flessibile del problema».

Un pragmatismo efficace da un lato, ma che dall’altro rappresenta una sorta di resa del sistema calcio: le società sono i «soggetti deboli» per il principio della responsabilità oggettiva (le intemperanze dei tifosi si pagano con multe e squalifiche del campo); polizia e carabinieri non entrano mai nelle curve di San Siro per evitare «possibili provocazioni», e un anello chiave della sicurezza sono gli ultrà stessi.

Viene da pensare: ma cosa succede negli stadi italiani se questo modello, come accertato dopo mesi di indagine, è il risultato della «bonifica culturale» del presidente Moratti? Se il calcio è una macchina da soldi, 3 per cento del Pil, le curve tentano di ritagliarsi la propria fetta. Il tifo che diventa mestiere.
Il giro d’affari

Primo: i biglietti per le trasferte. Di solito le società li vendono ai rappresentanti della curva. Niente di illecito. Ma questo cosa comporta? Uno dei capi ultrà del Milan ha ammesso di rivenderli a 2-3 euro in più. Ed è il primo ricarico.

Sui biglietti si fonda poi l’organizzazione dei viaggi: pullman e treni per le trasferte più vicine, aereo per quelle distanti. I curvaioli comprano il pacchetto completo. Che comprende, ovviamente, altri ri carichi.

 Moltiplicando per le 18 trasferte di campionato, più quelle di coppa Italia e di Champions, alle quali partecipano in media, per le squadre milanesi, tra le mille e le 4 mila persone, si scopre che una stagione calcistica può fruttare 5-600 mila euro.

Sottobanco poi, è un’altra storia: biglietti regalati, venduti sottocosto o pagati in modo dilazionato.
Per l’Inter la magistratura ha escluso questa prassi, sul Milan (come parte lesa in un tentativo di estorsione da parte di gruppi ultrà) c’è un’indagine in corso.

«Ma per società molto importanti - spiega Maurizio Marinelli, direttore del Centro studi sulla sicurezza pubblica - l’omaggio può arrivare anche a un migliaio di biglietti». I

In questo caso gli introiti per gli ultrà-affaristi si moltiplicano. «I capitifoseria hanno un potere enorme - aggiunge il procuratore capo di Monza, Antonio Pizzi, che ha condotto l’inchiesta oggi passata a Milano -. Ricattano le società che forniscono loro biglietti sottocosto o in omaggio.

Il giro d’affari per una curva è nell’ordine di milioni di euro».A questo fiume di soldi bisogna aggiungere gli aiuti per le coreografie (negati dalle società) e la vendita dei gadget: cappelli, felpe, magliette.

Questa è la montagna di soldi da spartire. Che non arriva a tutta la curva, ma nelle tasche dei pochi che comandano. Conseguenza: i capi degli ultrà milanesi pensano più agli affari che alla violenza.

Ma appena gli equilibri si spostano, c’è qualcuno che per entrare nel business è pronto sparare. È quel che sta succedendo intorno a San Siro.

*La tentata estorsione
Nell’autunno 2005 si scioglie, dopo 37 anni, la Fossa dei Leoni. È un gruppo storico del tifo rossonero, ma ha due macchie: è l’unico rimasto di sinistra e non risparmia le critiche alla società. La ragione dello scioglimento sembra tutta da cercarsi dentro il codice d’onore ultrà: i Viking juventini hanno rubato lo striscione alla Fossa, che per la restituzione ha chiesto la collaborazione con la Digos. Questa storia è anche un pretesto. In realtà, c’è già un nuovo gruppo, di destra, che sgomita per la leadership: i Guerrieri ultras.

I Guerrieri si sarebbero alleati con le Brigate Rossonere. I Commandos vanno in minoranza. E pagano.«I nuovi cominciano a sgomitare. In duedirezione: per guadagnare spazio nella curva e per ottenere il riconoscimento dalla società.

Che consente di partecipare al giro d’affari» spiega un investigatore. Così, l’ottobre scorso, due uomini in moto sparano alle gambe di A. L., 32 anni, esponente dei Commandos, davanti a un supermercato di Sesto San Giovanni.

Il 25 gennaio, un altro leader dello stesso gruppo viene picchiato fuori da San Siro da sette persone (due sono state arrestate e stanno per andare a processo). È conciato così male che ancora oggi non si sa se ce la farà.

Intanto, i Guerrieri chiedono biglietti alla società. Forse anche abbonamenti. Ma il Milan, per due volte, rifiuta. E, combinazione, subito dopo per due volte dalla curva piovono fumogeni: Milan - Lilla, 6 dicembre, e Milan -Torino, 10 dicembre 2006.

Il Milan annuncia una linea più dura: taglia i pass. Galliani va in procura a Monza, che nel frattempo ha indagato dieci ultrà:«Ma non sono io che mi occupo di queste cose». Non c’è stata nessuna denuncia.

La procura è arrivata alla tentata estorsione indagando sulla sparatoria. «Nei nuovi gruppi di ultrà-rivela un investigatore - ci sono molti delinquenti comuni, con precedenti per spaccio e rapine». Sicuri che valga la pena tenerli in famiglia?
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Assolutamente si! Tronchetti (e "moratti") volle fortissimamente volle, il BOSS impose lo Stop, la Procura ubbidì!


 SPEDITA  ALLE  ISTITUZIONI DEL CALCIO, ALLE PROCURE DELLA REPUBLICA DI:  MILANO, TORINO E ROMA; A TESTATE NAZIONALI E INTERNAZIONALI, IL 12 FEBBRAIO  2007 AGLI INDIRIZZI E'MAIL SOTTO ESPOSTI. 
SERVIRA' A QUALCOSA? CERTO CHE NO. MA A ME, NULLA TOGLIE!
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 Tribunale di Milano, la piu' potente Loggia Massonica in Italia Milan squadra del Pduista & Inter squadra della CASTA e' tutti i delitti perpetrati da Adriano Galliani-Tronchetti Provera & Massimo moratti, vengono insabbiat1! 
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Bombe e petardi. Svastiche e cori razzisti. Coltelli e spranghe. Un nemico comune: il poliziotto. E una certezza: quella di farla sempre franca
 Costa troppo poco il tiro a bersaglio contro il poliziotto. Filippo Raciti, l'ispettore ucciso da un colpo al fegato venerdì 2 febbraio durante gli scontri con gli ultras del Catania, lo diceva spesso ai suoi colleghi: "Uno rischia la vita per prendere questi pazzi che ti tirano le bombe, li porta dal giudice e quello che fa? Li scarcera il giorno dopo". Nella sua lunga carriera Raciti aveva visto troppi ultras uscire di galera e troppi colleghi entrare in ospedale. Eppure, a 38 anni, con moglie e due figli, non si era mai tirato indietro. Tanti arresti, tante testimonianze, i suoi colleghi ora si chiedono se ne valesse la pena: "Tutti gli ultras che Filippo ha arrestato, oggi sono in libertà". L'ultima volta è accaduto il 10 dicembre del 2006. Un tifoso catanese individuato dopo la partita con l'Udinese è stato processato per direttissima per resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Raciti con la sua testimonianza era stato decisivo, ma il tifoso ha patteggiato ed è uscito dall'aula libero con un sorriso di scherno sul volto.

"Lo Stato", accusa il segretario dell'Associazione funzionari di polizia Giovanni Aliquò, "ci lascia soli. Il poliziotto è in prima linea, esegue gli arresti e testimonia al processo. Gli altri scarcerano, concedono i domiciliari e i patteggiamenti con larghezza. Così il poliziotto diventa l'unico nemico da abbattere. Non c'è certezza della pena e il sacrificio dei miei colleghi è vano". Se si guarda l'esito dei casi più celebri è difficile dargli torto.

Prendete la vicenda che più impressionò l'opinione pubblica, quella di Vincenzo Spagnolo, il tifoso genoano morto nel 1995 davanti allo stadio di Marassi. Spagnolo si accasciò in una pozza di sangue dopo essere stato colpito al cuore da una coltellata di un ultrà milanista, Simone Barbaglia, condannato a 14 anni. Barbaglia sarebbe dovuto uscire nel 2010, ma grazie all'indulto è già fuori. Oggi ha 29 anni, allora era appena maggiorenne. Secondo i pm, fu influenzato dal leader del suo gruppo, Carlo Giacominelli, 31 anni, detto 'il chirurgo' per l'abilità nel maneggiare il coltello. Barbaglia al processo spiegò: "Avevo paura, ma l'idea di scappare davanti a Giacominelli mi era insopportabile. Se avessi estratto il coltello, come ho fatto, gli avrei dato invece una dimostrazione di coraggio. E io all'opinione di Carlo ci tenevo". Giacominelli ha patteggiato due anni per rissa: ha scontato tre mesi e si è rifatto una vita. Oggi è un affermato commercialista, consulente fiscale per la Lega Nord. Il 18 novembre scorso era sul palco di un convegno organizzato dall'associazione delle donne padane accanto a Michela Brambilla, il presidente dei giovani di Confcommercio tanto amata da Berlusconi. 'La Padania', il giorno dopo pubblicava le sue riflessioni sulla manovra fiscale del centrosinistra. "Non li perdonerò mai", ha detto il padre di Vincenzo Spagnolo, "perché non si sono pentiti". Ma lo Stato ha la memoria più corta dei familiari.

Lo dimostra anche la storia di Luca Milione: ultrà della Salernitana, è stato arrestato il 25 gennaio scorso dopo gli scontri del derby con l'Avellino. Secondo la Digos, è lui il ragazzo a volto coperto ripreso dalle videocamere mentre apre il varco dei disabili per far passare gli ultras, lancia bottiglie e inveisce contro la polizia. Milione era già stato coinvolto nel 1999, quando aveva solo 17 anni, in uno dei fatti più gravi della storia del calcio violento: il rogo nel quale persero la vita quattro ragazzi sul treno che riportava a casa i tifosi della Salernitana da Piacenza. Nel 2003 Milione era stato condannato, ma è rimasto nel carcere minorile di Nisida solo un anno per passare poi ai servizi sociali e infine all'obbligo di firma. "Cosa deve fare un ultrà per restare in galera?", chiede un poliziotto di Salerno che vuole restare anonimo e che ricorda con sconcerto la triste storia di Francesco Lo Grande, un ispettore che faceva lo stesso lavoro di Raciti e che per un miracolo non ha fatto la sua fine. Lo Grande, nel giugno del 2005 era in servizio alla partita tra Cavese e Juve Stabia, con il compito di separare le due tifoserie indiavolate. A un certo punto il poliziotto è scivolato sulle gradinate: in un lampo un ultrà della Cavese, Geraldo D'Amore secondo la Polizia, ne ha approfittato per sferrargli un calcio sul volto. L'osso del cranio ha ceduto, Lo Grande è rimasto a terra, la visiera del casco insanguinata e la faccia schiacciata sul cemento freddo. Intanto un altro ultrà, Salvatore Apicella, gli ha sfilato lo sfollagente per colpire i poliziotti che tentavano di soccorrere il collega. Lo Grande è rimasto paralizzato, ha dovuto lasciare la polizia e resterà inabile per sempre. Apicella, detto 'Cocaina', ha patteggiato il reato di favoreggiamento mentre D'Amore, detto 'Dino lo schizzo', è indagato per lesioni gravissime, ha fatto sei mesi di arresti domiciliari, ma ora ha solo l'obbligo della firma.

Un altro caso celebre è quello del lancio del motorino dall'anello dello stadio di San Siro nel 2001 durante la partita Inter-Atalanta. Per quel gesto di follia collettiva che poteva finire in tragedia sono stati condannati in nove: oggi sono tutti liberi. Avevano ricevuto una condanna lieve e la diffida ad andare allo stadio, scaduta un anno dopo. Uno di loro, il falegname Matteo Saronni, nel 2003 è stato nuovamente condannato per lancio di oggetti durante Juventus-Inter. Nel 2005 è stato riarrestato per gli incidenti che hanno portato a interrompere il derby Inter-Milan. Era sospettato di avere lanciato il razzo che colpì il portiere Dida, ma è stato assolto con formula piena.

Resta un dato: gli ultras coinvolti in episodi gravissimi tornano con grande facilità nelle curve, circondati dall'ammirazione degli altri. Anche i tre tifosi che hanno 'convinto' il capitano della Roma Francesco Totti a non giocare il derby del 2004 (contro il parere del Questore) sono stati appena scagionati dalle accuse più gravi. I magistrati avevano ipotizzato l'associazione a delinquere, ma ora è rimasta in piedi solo una contestazione: lo scavalcamento della recinzione. Pagheranno una multa e torneranno allo stadio da eroi. 
 
IL BRACCIO ARMATO DEI POTERI OCCULTI: IL POLTRONISSIMO FRANCO CARRARO -  I CORRUTTORI: TRONCHETTI & MASSIMO-MINIMO - SILVIO & ADRIANO - 
IL FRATELLO SCARSO (giancarlo) DEL BANCHIERE MASSONE-LUIGI ABETE
 E I SICARI: PALAZZI & BORRELLI

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