LA GANG DEL PREGIUDICATO CARLO DE BENEDETTO
IL BOSS E I SUOI SICARI
di Claudio Patrizio
Caro (si fa per dire) Marco,
ti ringrazio dell’opportunità che mi offri di scrivere liberamente
sulla tua bacheca. Spero che mi pubblicherai, anzi, ne sono certo, ma
veniamo al dunque.
Non me ne frega nulla
se Berlusconi ha detto il vero o il falso l'altra sera. Io non sono
nessuno, ma credo di essere un sincero democratico, incidentalmente non
fesso. Ascolto Silvio Berlusconi da trent'anni e quindi, per me, egli
dice sempre il falso. Non so se questo può tranquillizzarti, ma sappi
che non tranquillizza me, specialmente dopo aver letto il tuo
lacrimevole articolo qui sotto.
Di quello che tu abbia fatto o
detto dopo aver incontrato Arpino sul treno Torino-Milano mentre andavi
da Montanelli, non me ne può fregare di meno. Cosa vuoi che me ne
importi di chi ci fosse a pranzo con te quel giorno o cosa facesti nel
pomeriggio! Cosa mi cambia se sei stato assunto per una raccomandazione o
meno? Ma come ragioni? Pensi che i lettori siano tutti così sprovveduti
da dare peso a queste stronzate?
Vedi, caro Marco, il semplice
fatto che tu ci venga a raccontare queste cose attesta che sai di averla
fatta fuori dal vaso. Ci vieni a raccontare la tua biografia come se
noi dovessimo credere a quello che dici per il solo fatto che l‘hai
scritto tu. Calma, non sto dicendo che non sia vero, ma semplicemente
che più cose ci racconti della tua vita e più ti arrampichi sugli
specchi. O credi (e ti vanti) di essere stato l’unico che, per lavorare,
non ha mai avuto bisogno di raccomandazioni?
Il punto non è se
siano o meno idioti quelli che credono alle balle di Berlusconi né se
sia più opportuno, come tu suggerisci per loro, scrivere sui cessi
pubblici piuttosto che sulla tua bacheca. Il punto è che, per te, è
idiota anche chi crede alle balle di Moggi, di Marchionnne, di Colombo,
di Previti o di chiunque altro, purché vadano contro a quello che dici
tu, cioé all’unica verità assoluta. Se non venisti assunto a La Stampa
(io credo) ciò non fu perché sei uno che non dice la verità, bensì per
come la dici, facendo sempre passare per delinquente chi la pensa
diversamente da te e, per questo, affidandoti principalmente alle carte
dei PM senza considerare le questioni con il dovuto equilibrio e
dimostrando una scarsissima capacità d'immedesimazione.
Ti lamenti,
nemmeno troppo sottopelle, di essere rimasto disoccupato per quattro
anni, ma dicendo così ti autoattribuisci la patente di martire, se non
di raccomandato, e non te ne accorgi nemmeno. Vivi la tua professione
come una crociata, una denuncia dei poteri forti, dei cattivi, dei
manigoldi, ma non sei mai riuscito a dimostrare nulla di veramente
rilevante, né contro Berlusconi né contro Moggi. Vivacchi sui rinvii a
giudizio (che per te equivalgono a una condanna passata in giudicato),
sulle sentenze di primo grado e sulle piccole contraddizioni,
trascurando l’obbiettivo principale della tua missione giornalistica,
che è quello di informare e fare in modo che la gente si faccia una
propria idea. Quanto sei maledettamente diverso dai Montanelli, dai
Biagi, dai Bocca in questo versante. Nell'ascoltare loro, la mente si
apriva a ricevere le sollecitazioni, nell'ascoltare te, viene solo
voglia di prendere le difese della tua vittima sacrificale, com'è
disgraziatamente avvenuto l'altra sera.
Ti vanti di aver vinto le
cause contro lo psiconano che ha tentato in tutti i modi di troncarti la
carriera. Ti pare un motivo del quale vantarsi? Ti sembra che siano
necessarie le decorazioni sul petto per esercitare il mestiere di
giornalista? Hai subito anche tu decine di condanne per diffamazione
sulle quali non mi soffermo, ma che ritengo del tutto normali per un
diffamatore di professione quale sei senza sapere di esserlo.
Tu non
devi niente a Berlusconi, ma qui nessuno ti vuole dare lezioni di
antiberlusconismo senza aver sentito (o capito) quello che gli hai
detto. Sei ridicolo quando adombri la possibilità che chi viene a
scrivere sulla tua bacheca ti voglia dare lezioni di giornalismo. Non
siamo tutti come te e non abbiamo nessuna verità in tasca. Tuttavia,
abbiamo un culo, e ci fa male quando ce lo sfondano, perché non siamo
abituati, come altri, a questo tipo di effrazioni. Possiamo, però, dire
quello che giovedì sera è sembrato ben oltre le parole, e cioè che tu
grattassi con le unghie una montagna nella speranza di sbriciolarla. Ma,
quel che è peggio, è che quella montagna l’hai assisa tu al suo posto,
piegandoti alla logica prevedibile e volutamente bastarda del piazzista
di Arcore e dimostrando di non aver ancora capito nulla di come lo si
può e lo si deve battere usando le sue stesse armi. Al tuo posto, il
nostro amico comune Beppe Grillo avrebbe tuonato un ben più efficace
“vaffanculo”, con risultati immensamente più favorevoli per chi vuole
vedere l’ex palazzinaro al suo posto, cioè fuori dalle palle!
In
definitiva, caro Marco, possiamo dire che Silvio Berlusconi era e rimane
una grandissima testa da cazzo, ma tu e Santoro siete stati i suoi
degni coglioni. Te lo scrivo qui, sulla tua bacheca, perché oggi, con la
rabbia che ancora mi preme, è come se lo facessi sul muro del cesso
pubblico. 13 Gennaio 2013
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Dio s'è fatto uomo. Il diavolo s'è Marco Travaglio
Francesco Calabrone
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