domenica, maggio 04, 2014

TRENTADUE SCUDETTI - TRE CONSECUTIVI - TRE STELLE + DUE SCUDETTI NEL CAMMINO VERSO LA QUARTA STELLA! SALUTATE LA VECCHIA, "SEMPRE GIOVANE" SIGNORA-JUVENTUS... SEMPRE SULLA CIMA, TUTTE LE ALTRE AI SUOI PIEDI!!! ------------ E' PER RICORDARE A TUTTI QUELLI CHE HANNO DETTO E CONTINUANO A DIRE CHE IL CAMPIONATO 1997-1998 LA JUVE LO RUBÒ ALL’INTER

Edoardo Agnelli 1924-1935 - 6 scudetti
 Gianni Agnelli....1947-1954 - 2 scudetti
 Umberto Agnelli 1955-1962 - 3 scudetti
 Andrea Agnelli...2010-2014 - 3 scudetti
and counting...
I GIOCATORI FESTEGGIANO IL TRENTADUESIMO SCUDETTO
GLI ARTEFICI DELLA JUVENTUS DEI RECORD - A.AGNELLI-G.MAROTTA-A.CONTE
JUVENTUS SEMPRE SULLA CIMA, TUTTE LE ALTRE AI SUOI PIEDI!
***********************************
-------------------------
CAMPIONATO 1997-1998 - JUVENTUS SQUADRA PIU' FORTE DEL MONDO!

Il campionato dei piagnoni: anno di grazia 1997. La Juventus lippiana all'apice dei suoi successi: in tre anni due scudetti, una Coppa dei Campioni, una Intercontinentale, tre finali europee su tre partecipazioni. Nonostante l'esito sfortunato dell'ultima finale persa con il Borussia Dortmund degli ex Kohler, Reuter e Paulo Sousa, la squadra bianconera è quasi unanimemente considerata la più forte del mondo per continuità di risultati e gioco espresso e riceve le lodi degli addetti ai lavori in tutta Europa, facendo inchinare anche un maestro come Alex Ferguson.

Le voci contrarie sono poche e provengono tutte dalla penisola dei campanili, in particolare dall'ambiente romano, frizzante e pieno di aspettative per due squadre in crescita e su cui i nuovi presidenti, Cragnotti e Sensi, stanno investendo molto. E' il neoallenatore della Roma, di fresco esonero sull'altra sponda del Tevere, Zdenek Zeman, l'accusatore più accanito. Nipote di Cestmir Vycpalek, ex allenatore della Juve, sostiene che, con l'avvento della Triade e dell'allenatore viareggino, lo stile Juve può considerarsi definitivamente sepolto e, impartendo una lezione del suddetto stile, definisce le vittorie juventine frutto del "culo".

Il tecnico bohemienne (per ius soli e velleità artistiche) trova subito una preziosa sponda per le proprie dichiarazioni antijuventine nel quotidiano romano "Il Messaggero", di proprietà del potente costruttore Franco Caltagirone e allora diretto da Pietro Calabrese (antijuventino per interesse), poi successore di Cannavò alla guida della Gazzetta.

La stampa romana compie il salto di qualità: da una faziosità tutto sommato folkloristica all'aperta diffamazione. La penna più velenosa è quella di Roberto Renga, tra le altre cose ospite fisso del celeberrimo Processo di Biscardi. I continui attacchi alla Juventus portati dalle colonne del Messaggero esauriscono però presto la pazienza della dirigenza juventina, che citerà in giudizio il giornalista romano e la testata, presentando una querela con annessa richiesta di risarcimento danni milionaria.

Non è però il solo Messaggero ad alzare i toni: il settembre juventino è condito da numerosi attacchi della stampa nazionale che, dopo avere aspramente criticato il mercato bianconero, non perde occasione per punzecchiare la Vecchia Signora ogni qual volta se ne presenti l'occasione. Le ragioni sono probabilmente da ricercare in un atteggiamento corporativo, in seguito a un fatto di qualche tempo prima, in procinto di approdare in tribunale. Il protagonista è l'allora misconosciuto giornalista torinese Marco Travaglio, che si autodefinisce politicamente conservatore e sportivamente juventino, con tutta una carriera davanti per smentirsi (e smerdarsi!).

Il riccioluto fustigatore era infatti stato estromesso dagli accrediti stampa del Delle Alpi in seguito a una serie di articoli velenosi nei confronti di Luciano Moggi per cui, sin dai tempi del Torino, aveva maturato una particolare ossessione, collezionando multe stradali e ogni genere di questione legale che lo riguardasse, noncurante delle archiviazioni e dei proscioglimenti a suo carico.

I colleghi giornalisti si erano quindi schierati dalla parte di Travaglio e Giraudo si era prodigato per organizzare una cena riparatoria che mettesse qualche pezza dal punto di vista comunicativo all'atteggiamento apertamente ostile dei giornalisti nei confronti della Juventus. La poca diplomazia di Giraudo però determinò un'escalation del conflitto: definendo, infatti, Travaglio un giornalista "alla Pecorelli" alla presenza dei suoi colleghi, che riferirono il fatto all'interessato, fu querelato dallo stesso Travaglio.

La querelle finì per riguardare anche il povero Lucianone, indagato per favoreggiamento, per avere sostenuto di non avere sentito il riferimento a Pecorelli, cosa per altro perfettamente plausibile in una cena di 15 persone.

La trafila giudiziaria si concluderà comunque il 2 ottobre 1998, con il proscioglimento di entrambi gli imputati da ogni addebito.
Travaglio, sempre rispettoso delle sentenze, commenterà con astio la decisione del giudice di ritenere la frase di Giraudo non diffamatoria, di fatto offrendo una riabilitazione storica dello scomparso Pecorelli.

La nostra posizione è un po' diversa. Non crediamo che Giraudo volesse di fatto complimentarsi con Travaglio ma nemmeno che gli volesse dare del ricattatore. Probabilmente intendeva riferirsi al suo lavoro come, di fatto, totalmente dipendente da fonti giudiziarie e istituzionali, di cui Travaglio era ed è un astuto collagista, che spesso piega le sentenze ai propri teoremi.La battaglia giudiziaria con Travaglio aveva ad ogni modo decisamente inquinato il rapporto con la stampa.

La Juventus che si presenta ai ranghi di partenza è comunque una squadra effettivamente stellare con una difesa rocciosa imperniata sui centrali Montero e Ferrara, i favoriti di Sir Ferguson, un centrocampo solido comandato dal fosforo di Deschamps, giocatore dall'intelligenza tattica ineguagliata, e due campioni assoluti a guidare la fase offensiva: Zinedine Zidane e Alessandro Del Piero.

Ma è una Juve indebolita, si legge su quasi tutti i giornali. Le cessioni di Vieri, Boksic e Jugovic non sono state adeguatamente compensate dagli acquisti, dicono i critici, che tendono a svalutare il neojuventino Filippo Inzaghi come uomo da una sola stagione, sgraziato, inadeguato tecnicamente e assistito dalla fortuna e dagli assist di Morfeo e Lentini, motivo del suo titolo di capocannoniere nella passata stagione in maglia orobica.

Lo stesso Vieri, per altro, arrivato solo la stagione precedente sempre dall'Atalanta, era stato accolto con mille perplessità, definito come statico e grezzo tecnicamente, ma, complice un finale di stagione alla grande, culminato nell'ottima prestazione nello storico 6-1 a San Siro contro il Milan, aveva visto salire la sua quotazione vertiginosamente. E in quell'estate Moggi coglie la palla al balzo per cederlo a un prezzo allora mostruoso all'Atletico Madrid, mettendo in scena la querelle più seguita dell'estate.

Rimane nella storia la presunta bugia del ds toscano all'Avvocato, cui aveva assicurato la sicura permanenza del giocatore in bianconero, al punto da indurre Agnelli a esprimersi con convinzione alla stampa: "Vieri è come Brigitte Nielsen. Non si vende.", facendo riferimento a un gossip estivo riguardante la proposta indecente di uno sceicco arabo all'attrice danese. Il giorno dopo Vieri vola a Madrid. Moggi si era addirittura permesso di mentire all'Avvocato. Tra i più attenti esegeti dell'ironia di Gianni Agnelli si insinua però il dubbio: la bugia era quella di Moggi o quella della Nielsen, secondo l'Avvocato? Ai posteri l'ardua sentenza.

La campagna acquisti juventini era comunque stata all'insegna della moderazione, badando a mantenere l'attivo in bilancio con cessioni importanti, e acquistando con raziocinio solo laddove ce ne fosse bisogno, e fornendo a Lippi una squadra che gli permettesse di variare modulo di gioco, garantendo quindi imprevedibilità ma anche la necessaria compattezza. Un "camaleonte solido" ante litteram, si potrebbe dire. E ben riuscito. Le perplessità su un attacco unanimente definito dalla stampa come "troppo leggero" si diraderanno infatti subito grazie alle superprestazioni del neoacquisto Inzaghi affiancato da un Del Piero probabilmente alla sua miglior stagione.

Oltre al giovane Pippo vengono acquistati Birindelli, terzino di rendimento e dalla gran corsa, reduce da due promozioni consecutive con l'Empoli di Spalletti, Fabio Pecchia, pupillo di Lippi che lo aveva avuto a Napoli, e Daniel Fonseca, giocatore dalla lunga militanza nel campionato italiano che va ad arricchire il reparto d'attacco, i cui soli reduci dalla passata stagione sono Del Piero e il giovane Amoruso, su cui la dirigenza punta molto. La cessione di Jugovic è probabilmente la più difficile da somatizzare per la squadra: il contributo del due volte campione d'Europa in termini di sostanza e qualità non si presta facilmente ad essere sostituito, e nonostante la costante crescita di Tacchinardi, alla Juve viene a mancare qualcosa.

Tassello poi rimesso a posto nel migliore dei modi a gennaio quando Moggi acquista Edgar Davids, bizzoso centrocampista del Milan, che da campione d'Europa con l'Ajax aveva subito una brusca involuzione fino a diventare, secondo le parole dei senatori rossoneri, la "mela marcia" del gruppo. Si rivelerà probabilmente l'acquisto più fortunato della lunga serie della Triade conquistando brevemente gli onori della cronaca per le sue prestazioni eccellenti. Insieme a lui, giunge a Torino il giovanissimo uruguayano Zalayeta.

Nel complesso una squadra di grande livello e ben rodata che abbina ai grandi campioni gregari tra i migliori del panorama internazionale e dalla assoluta dedizione alla causa, tra cui spiccano il capitano Antonio Conte, gli infaticabili Di Livio e Torricelli e l'irreprensibile Pessotto. E, perchè no, il giocatore che diventerà, suo malgrado, il simbolo di questa stagione per gli interisti: Mark Iuliano.
 -
Note:
[1] Riconoscere la superiorità altrui non è soltanto uso inglese, dato che anche noi riconosciamo che il Manchester United fu poi effettivamente il successore della Juventus come squadra più forte del mondo, conquistandone l'eredità sul campo al Delle Alpi. Ancora di più, fa piacere ricordare i tributi dei protagonisti dello squadrone dei Fergie Babies, alla grandezza della squadra di Marcello Lippi.

Alex Ferguson, allenatore tra i più celebrati degli ultimi 20 anni: "La mia squadra ideale? La Juve di Lippi.
http://www.tuttomercatoweb.com/altre-notizie/alex-ferguson-la-juve-di-lippi-e-del-piero-squadra-perfetta-105012
Era una squadra di vertice con giocatori come Boksic, Davids, Del Piero… Avevano talento ed erano anche unasquadra che lavorava duro”.
-----------------
Roy Keane, ovvero il leader indiscusso di quella squadra: "A couple of years ago I nearly went to Juve. People spoke to me about Turin, and said it is this and it is that, but Milan would be nicer. I said 'I'm not going for the bloody shops; I'm going because it's Juventus."
http://www.tribalfootball.com/articles/man-utd-legend-keane-i-came-close-juventus-move-142987
----------------
Gary Neville, l'uomo dietro David Beckham, è invece senza parole:
http://it.youtube.com/watch?v=AZk1y7UNZzY

E ancora : La Juventus è stata un esempio per il mio Man­chester United. Facevo vedere ai miei giocatori le videocas­sette della squadra di Lippi e dicevo: non guardate la tatti­ca o la tecnica, quelle ce l'ab­biamo anche noi, voi dovete imparare ad avere quella vo­glia di vincere. (Alex Ferguson)
-
ALL'ANNUNCIO DEL SUO RITIRO, SUL SITO UFFICIALE IL SALUTO DELLA JUVE 
«Quando questa mattina è stata ufficializzata la sua decisione di lasciare a fine stagione, quelle parole sulla Juve sono subito tornate alla mente. Perché, evidentemente, nella recente vittoria della sua 13° Premier League, la 20° dello United, nei 38 trofei, tra cui due Champions, conquistati nei 26 anni a Manchester, c’è anche un po’ di Juve: quella voglia di vincere dei bianconeri di cui parlava, Ferguson è riuscito a trasferirla alla sua squadra, portandola ai vertici del calcio mondiale. Allo stesso modo, per la Juventus, Sir Alex è sempre stato un punto di riferimento per la perseveranza e la professionalità che hanno contraddistinto la sua carriera. Una personalità enorme, ma mai ingombrante. Un modello di sportività, di lealtà, di fedeltà al suo club. Semplicemente, un esempio da seguire. Con il suo United, la Juve ha dato vita a partite memorabili e, quando le due squadre si troveranno ancora di fronte, sarà tremendamente strano non vederlo seduto in panchina a guidare i suoi uomini, ma sarà bello ricordare insieme quelle sfide del passato. In bocca al lupo Sir Alex, è stato un onore aver diviso il campo con Lei». 
--------
Durante la direzione di Pietro Calabrese la Gazzetta dello Sport inaugurerà, nel settembre del 2004, alla vigilia del torneo più intercettato di sempre, una speciale rubrica del lunedì: la moviola arbitrale commentata dai due designatori Bergamo e Pairetto. In una telefonata intercettata intercorsa tra Bergamo e Pairetto, i due attribuiscono questa scelta a Carraro, considerandola un'imposizione dall'alto. Bergamo aggiunge di essersi informato sulle relazioni tra Carraro e Calabrese e di avere ricevuto come risposta dal suo interlocutore: "sono entrambi massoni".

[3] Per altro nel corso della sua carriera Travaglio avrà ampiamente modo, lui stesso, di insultare gratuitamente colleghi e non, con epiteti dal suono gentile come "lombrico", "si dovrebbe sputare allo specchio", "m**da", conquistando numerose querele per diffamazione.

[4] Nel suo libro "Un calcio nel cuore" Moggi offrirà una spiegazione leggermente diversa dell'accaduto: il ripensamento sarebbe stato dovuto a una scenata dell'ultim'ora di Vieri che pretendeva un ingaggio pari a quello offertogli dall'Atletico Madrid, ossia cinque miliardi delle vecchie lire.
 -
La squadra più forte d'estate
"Più la sua vita è infame, più l'uomo ce l'ha a cuore; essa diventa allora una protesta, ogni suo istante una vendetta." Honore' de Balzac
Il campionato dei piagnoni - Il 1997 segna anche, nelle fantasie dei giornalisti, il ritorno della grande Inter. Nove anni dalla vittoria dell'ultimo campionato con lo juventino Trap sono decisamente troppi e dopo tre anni di insuccessi il patron Moratti è deciso a tutto per portare la squadra al vertice.

Nonostante notevoli investimenti anche l'ultima stagione si è conclusa in modo amaro: terzo posto (allora piazzamento Uefa) senza mai lottare per il titolo e finale di Coppa Uefa persa in modo tragicomico ai rigori con lo Schalke 04, con conseguente abbandono dell'allenatore Hodgson, dopo una memorabile circense scenata a bordo campo con il giovane Javier Zanetti che perde le staffe dopo una sostituzione e gli si avventa contro, trattenuto a forza dai componenti della panchina.

L'inglese lascia con un settimo e un terzo posto, l'umiliazione tremenda dell'eliminazione europea ad opera del Lugano e la cessione di Roberto Carlos da lui avallata in favore dell'utilizzo di Pistone. Poi prontamente ceduto durante l'estate. Sarà questa una costante della presidenza Moratti: una forte carenza in fase progettuale che porta ad un continuo andirivieni di calciatori. Il giornalista Franco Rossi parlerà con ironia di squadra trotzkista, in rivoluzione permanente.

La stampa lo dipinge come un presidente passionale, forse un po' inesperto e ingenuo nella fase gestionale, soggetto ad innamoramenti brevi e continui, ma tutto sommato il volto buono e signorile di un calcio sempre più cinico, disinteressato filantropo e mecenate dell'ars pedatoria. Il giusto contraltare nell'ambiente milanese del rivale Berlusconi, seppur dal punto di vista gestionale l'avvento del petroliere nel calcio italiano risulterà similmente a quello del passato (e futuro) Presidente del Consiglio in un'impennata clamorosa dei prezzi di mercato e degli oneri della gestione finanziaria.

E nell'applicazione all'etica dello sport di un concetto chiaro e che non si presta ad interpretazioni: "chi ha più soldi vince". La legittimità di questo assioma in ambito calcistico era fortemente in discussione ai tempi del Milan pigliatutto, il cui strapotere economico unito alla sapiente gestione tecnica di Capello aveva portato a un incontrastato dominio rossonero a cavallo tra '80 e '90. Il volto politicamente corretto di Moratti ha il pregio di risolvere la contraddizione: l'Inter è la squadra che spende di più, ma nondimeno è la più simpatica, gode di ottima stampa e rappresenta una risorsa per il bene collettivo del calcio italiano.

La politica oculata di bilancio dei dirigenti juventini, che aveva conciliato negli anni precedenti grandi successi sportivi e gestione finanziaria sana, appare ora non più come un esempio virtuoso, ma come cinico affarismo. Le cessioni in rapida sequenza di Roberto Baggio, Paulo Sousa, Gianluca Vialli e Fabrizio Ravanelli, idoli della tifoseria juventina, si contrappongono ora alla visione romantica del calcio impersonata da Moratti, il presidente-tifoso che dei bilanci se ne frega. Misteri della fede calcistica.

In realtà il presidente naif, quello dai grandi valori morali, dipinto come inadatto alla logica spietata del business, si dimostra piuttosto spregiudicato nel condurre gli affari della sua squadra del cuore e inaugura la stagione 1997/98 con un'estate impegnativa sotto tutti i punti di vista. La conduzione tecnica della squadra è affidata a Gigi Simoni, ex allenatore del Napoli.

Scelta avvenuta non in estate, ma in primavera se non in inverno, con il risultato di sfiduciare il proprio tecnico e di interferire scorrettamente con la società partenopea a stagione ancora pienamente in corso. Anche qui si può parlare di una costante, che si ripeterà pari pari qualche anno dopo, con Zaccheroni preso in giro, mentre esisteva già un accordo con l'allenatore della Lazio Mancini.

Poco importa perché anche Gigi Simoni è considerato nell'ambiente un signore, nonostante dopo essersi accordato con l'Inter forse non ripaghi con professionalità l'ambiente napoletano, inanellando 12 partite senza vittorie prima dell'esonero con il Napoli in zona retrocessione. E' in realtà un allenatore vecchia maniera, epigono di Trapattoni, specializzato in promozioni dal campionato cadetto. E, nonostante i proclami da amante del calcio offensivo del presidente Moratti, viene allestita una squadra vecchia maniera.

Vengono acquistati ben 4 difensori, a sommarsi ai 5 già presenti in rosa, più un decimo nel mercato di riparazione. Sono Colonnese e Milanese, favoriti di Simoni al Napoli, Mezzano dal Torino, Sartor dal Vicenza e il nigeriano Taribo West dall'Auxerre, quest'ultimo al centro di una querelle internazionale per una storia di firma doppia: avrebbe infatti siglato un precontratto con gli spagnoli del Siviglia prima di approdare in nerazzurro. La Uefa ad ogni modo non ritiene il caso di far partire un'indagine.

Gli italiani in questa lista sono 4: presto Moratti esaurirà questo genere di fiducia nei giocatori nostrani, e tra i giornalisti di area interista la sua scelta esterofila alimenterà la vulgata di un presunto dominio di Moggi sul mercato dei calciatori italiani. In realtà si può apprezzare come gli operatori di mercato nerazzurri non fossero propriamente dei talent-scout: tutti questi giocatori, come del resto i già presenti in rosa Fresi e Galante e i futuri Cirillo, Ferrari e compagnia bella, saranno infatti destinati a carriere mediocri, tra provincia e panchina, non rivelandosi certo scelte lungimiranti.

Simoni porta con sè anche il difensore brasiliano Andrè Cruz che subito finisce scambiato con i cugini milanisti, per ottenere l'aletta leccese Moriero, in un caso più unico che raro di giocatori scambiati immediatamente dopo il loro acquisto. Non ci potevano pensare prima? Altro esempio di lungimiranza e capacità progettuale.Il centrocampo viene rinforzato con altri innesti: il francese Cauet, il brasiliano Zè Elias e l'argentino Simeone.

Fatta eccezione per quest'ultimo, si tratta di giocatori di scarso spessore che dopo le stagioni in nerazzurro navigheranno in campionati minori, da Cipro alla Bulgaria alla B italiana. Ma che, nonostante un rendimento quantomeno alterno, godono di grandissima considerazione all'interno dell'ambiente nerazzurro, particolarmente propenso all'idolatria nei momenti felici per poi abbattere una feroce rabbia sugli eroi di giornata nei momenti di magra.Il centrocampo è quindi farcito di interditori, e gli uomini di qualità tecniche presenti non sembrano essere funzionali al gioco della squadra: in fase calante l'olandese Winter, mentre il franco-armeno Djorkaeff, che gli interisti bontà loro preferiscono a Zidane, è troppo "mangiapalloni" e rallenta il gioco, che si esprime quasi unicamente attraverso contropiedi che sfruttano le eccezionali doti nel dribbling del grande acquisto stagionale di Moratti: il "Fenomeno" Ronaldo.

Che di diritto guida l'attacco nerazzurro, affiancato dal cileno (con passaporto spagnolo) Zamorano, che, tanto per chiarire il rispetto delle gerarchie in casa Inter, si rifiuta di cedergli la maglia numero 9, soprassedendo al suo orgoglio soltanto un anno dopo, per vestire una bizzarra maglia "1+8", tutt'ora indimenticata pagina dello stupidario calcistico. Bomber di razza nei suoi anni al Real Madrid, l'andino non aveva certo impressionato per feeling con il goal nel suo primo anno di campionato: 7 centri in tutto. Tuttavia anche lui godeva di grande stima da parte della stampa, che ne apprezzava la generosità e l'abilità in elevazione.

Se Del Piero e Inzaghi sono ritenuti una coppia leggerina, probabilmente inadatta a garantire un numero importante di goal, i due sudamericani invece vengono considerati complementari.Fatto sta che se Del Piero e Ronaldo finiscono col rivaleggiare per la classifica cannonieri, Inzaghi ne mette dentro ben 18 e Zamorano 2. E qualcosa vorrà pur dire.Roy Hodgson amava dire che "con lui si gioca in 12": probabilmente nessuno dei due Zamorano faceva più l'attaccante da un pezzo.A completare la rosa offensiva ci sono Nwankwo Kanu, reduce da un'operazione al cuore, che proietta Moratti alla candidatura per la beatificazione (senza che poi finisca nel girone degli ignavi quando lascia il povero Brunelli al suo destino, rifiutandogli le cure) e il giovanissimo uruguayano dai tratti orientali, Alvaro Recoba, punta dal sinistro al fulmicotone ma con un desolante passaporto da extracomunitario. Gli italiani Maurizio Ganz e il futuro ds Marco Branca vengono invece scaricati a gennaio, insieme alla "bandiera" Nicola Berti, dopo essere stati scarsamente impiegati. Insomma, all in all, non proprio uno "squadrone che tremare il mondo fa", ma pur sempre nobilitato da un Fenomeno vero. Anzi due. Andiamo a vedere.

Il fenomeno che, come di consueto, regala all'Inter il titolo di campione d'estate è questa volta degno del soprannome, conquistato addirittura per antonomasia. Di fresco upgrade da Ronaldinho a Ronaldo, l'attaccante brasiliano è un centravanti spettacolare, dal dribbling micidiale e dalla progressione inarrestabile. E' indiscutibilmente un fuoriclasse che deve però dimostrare, in quello che è ancora il campionato più difficile al mondo, le qualità interiori e di leadership del campione vero e del vincente. La sua storia pregressa - seppur, va detto, Ronaldo arrivi in nerazzurro a soli 21 anni - non dice molto di positivo a riguardo. Nei suoi primi 3 anni in Europa, con due squadre di grande spessore nei rispettivi campionati, Psv Eindhoven e Barcelona, il titolo di campione gli sfugge sempre, in favore dell'Ajax di Van Gaal e del Real di Capello. E, ironia della sorte, la sua cessione sembrerebbe benedetta dalla fortuna, se è vero che sia il Psv che il Barcelona (e in futuro il Real), appena abbandonati dal Fenomeno, sono riusciti a vincere il campionato.

(1) Il Ronaldo uomo ci viene in realtà descritto come un bambino. Una passionaccia per il lecca-lecca, il vizio di rasarsi il cranio quotidianamente, una fidanzatina a lui speculare battezzata Ronaldinha, che non regala fremiti erotici ma record di palleggi, e il fantasma dell'incontinenza. Dentoni da cartone animato, nello sguardo una certa fissità, Ronaldo ispira la tenerezza di un Forrest Gump. Comincia così la favola del ragazzotto un po' ingenuo, con il candore di chi è senza malizie, che quando parla è la voce dell'innocenza, dell'infanzia non corrotta dalle becere logiche del calcio italiano. Insomma un Moratti, ma ambidestro. E Cannavò un Pascoli, ma con qualche esperienza in più nel fottère.

Per farla breve, dopo un anno di frignate televisive al grido di "se protesta anche uno come Ronaldo...", si scoprirà che l'ingenuissimo brasiliano combatteva la saudade con rimedi decisamente importanti. A seguito di un'indagine dei carabinieri su un giro di prostituzione incentrato sulla maitresse brasiliana Lara, esce il nome di Ronaldo come frequentatore della piccante compagnia. Ronaldo si difende all'italiana: "faccio foto con migliaia di persone", la maitresse ricorda le reciproche presentazioni condotte dal buon Nicola Berti, alcune prostitute del giro lo ricordano altrettanto bene.

(2) Se da un lato è necessario dire che per un ragazzo di 21 anni entrare nell'ambiente tritatutto dell'Inter, non proprio un modello di gestione dello spogliatoio e dei rapporti con l'esterno, non sia proprio una passeggiata - e infatti dopo essersi caricato la squadra sulle spalle per un girone, bastarono 3 giornate senza goal a far chiedere a qualche intelligentone se il fenomeno vero non fosse Moriero - dall'altro va da sè che Ronaldo si allineò senza particolari problemi allo stile di vita del calciatore medio in Italia, mantenendo però tutta la sacrale innocenza del fanciullino.

Che non fosse proprio uno sprovveduto lo si era già potuto apprezzare durante la trattativa che lo portò dalla capitale catalana a Milano, una trattativa tutta da ricordare. Con protagonista un altro fenomeno, il Ronaldo degli avvocati d'affari, il dottor Guido Rossi. Che a differenza del centravanti brasileiro, non soltanto dispone di un'ottima tecnica di base, ma ha anche meritatissima fama di vincente. Una fama dura a morire che lo iscriverà negli annali della storia nerazzurra come bomber prolifico e dispensatore di scudetti, il cui unico pari può forse essere considerato il "moggiano" Ibrahimovic.

Siamo ancora nel 1997 comunque, e i tempi sono prematuri per un suo coinvolgimento diretto nell'assegnazione dello scudetto. Moratti gli affida dunque la fase propedeutica, investendolo di due compiti particolarmente importanti per il futuro dell'ex Ambrosiana: la quotazione dell'FC Internazionale in borsa e la soluzione del caso Ronaldo, che il Barcelona, guarda un po', non vuole lasciar libero. Il "traghettatore" porta a casa due vittorie. La prima particolarmente importante: dopo aver speso un paio d'anni ad attizzare la stampa con proclami fiduciosi sugli ingenti futuri ricavi dell'Inter, consiglierà a

Moratti la cosa più saggia. Meglio lasciar perdere. Le voragini di bilancio che il presidente nerazzurro sta già instancabilmente scavando mal si conciliano, infatti, con la trasparenza e l'ordine dei conti che la quotazione in Borsa richiede. L'Inter, a differenza della Saras, non farà mai il suo ingresso in listino. E, d'altronde, se il mercato del petrolio è soggetto alle turbolenze della politica mondiale, il mercato dell'Inter è ancora più turbolento e misterioso: probabilmente il risparmiatore medio reputerebbe più saggio puntare sulla pace in Medio Oriente che sul rendimento dei vari Vampeta e Gresko.

La questione Ronaldo è altrettanto spinosa: certo non si tratta della scalata a Antonveneta o di mandare la Juve in B, ma presenta le sue belle insidie, come ogni volta che vuoi comprare quando il legittimo possessore non ha alcuna intenzione di vendere. Il caso giurisprudenziale, ancora tutt'oggi discusso, riguarda la clausola di rescissione in vigore in Spagna. Il Barcelona, affiancato nelle sue ragioni dalla Federcalcio spagnola e da una circolare FIFA che si esprime al riguardo, ritiene la clausola valida soltanto sul territorio nazionale: non essendoci reciprocità all'interno degli altri ordinamenti nazionali, la regola, se applicata per i trasferimenti internazionali, sarebbe di grave detrimento per gli interessi del calcio spagnolo, esposto a un pesante svantaggio competitivo. L'Inter ritiene invece che versare la quota della clausola di rescissione sia bastante ad assicurarsi le prestazioni del giocatore, anche se il trasferimento è di natura internazionale e di fatto non ci sia alcun precedente a riguardo.

(3) Con la legge Bosman infatti, da poco in vigore, una volta che il giocatore esaurisce o rescinde il contratto, è sostanzialmente libero da vincoli con la società che detiene il cartellino, che non può più vantare ulteriori crediti sulla sua cessione. Ma rimane il problema di armonizzare i differenti assetti legislativi nazionali, per non creare disequilibri e migrazioni di massa, in questo caso da un paese che mantiene una regola specificatamente pensata per il mercato nazionale.

Al proposito, la circolare FIFA a cui si rifanno gli spagnoli, sostiene le ragioni delle squadre iberiche, esposte, in altro modo, a condizioni concorrenziali sfavorevoli. Moratti fa la parte dell'indignato: senza vergogna dichiara che i 48 miliardi della clausola di rescissione sono già fin troppi, come se il calciatore gli appartenesse per diritto divino. Dichiarazione arrogante certo, che al solito passa in carrozza come stramba romanticheria di un signore fuori dal tempo, ma che si accompagna a decisione meditata: affidare la questione legale al suddetto Guidorrossi.

Ronaldo è già dalla sua, vuole l'Inter e la otterrà. Anche se il Barcelona fa ulteriore appello all'art. 13 per cui non si può trattare con un giocatore sotto contratto con un'altra squadra, senza prima avere ottenuto il permesso della stessa. Le cose per l'Inter si mettono male quando il vicesegretario FIFA e capo del dipartimento legale Zen Ruffinen in una dichiarazione tra l'ufficioso e l'ufficiale di fatto si esprime per la validità della circolare FIFA e la legittimità della posizione dei catalani: "La rescissione è una legge strettamente valida in Spagna, non si applica in campo internazionale", e contesta all'Inter il mancato rispetto dell'art. 13. Guido Rossi, immediatamente, rompe gli indugi.

Immediatamente minaccia di uscire dall'ordinamento sportivo e di rivolgersi alle competenti sede europee, per vedere riconosciuti i propri diritti. Quoque tu, Guido. Che in Farsopoli userai la clausola compromissoria come una mannaia, paventando terribili sanzioni per chiunque ricorra alla giustizia ordinaria. Le sue ultime parole famose, in risposta a Zen Ruffinen: "Le dichiarazioni dell'esponente Fifa sono in contrasto con le norme imperative e gerarchicamente superiori del diritto comune".

Dieci anni dopo lo negherà con decisione, appoggiando senza remore l'intransigenza di Blatter, e cercando in ogni modo di scongiurare un ricorso della Juve agli organi "gerarchicamente superiori del diritto comune". Guido Rossi e l'avvocato belga Dupont subito si rivolgono alla Commissione Europea, investendo della questione i commissari Van Miert e Flynn. La risposta è celere, quanto ufficiosa, e sostiene le ragioni di Guido Rossi, pur perplimendo gli esperti di diritto comunitario: "Il caso Ronaldo non riguarda il trasferimento di un calciatore da un club a un altro, ma la rottura di un contratto".

Questo sebbene gli avvocati del Barcelona obiettino: "Il contratto di Ronaldo non dipende dalla clausola di rescissione. Quel documento è stato costruito in modo da non sottostare al regio decreto del 1985 che ha introdotto in Spagna la regola della rescissione". Anche la FIGC sostiene l'Inter, nella persona del presidente Nizzola: "Legalmente, la posizione dell' Inter è inattaccabile. Ma nel calcio di oggi anche le questioni giuridiche più raffinate si risolvono soltanto con i soldi".

Già i soldi. Il Barcelona pretende l'indennizzo di formazione come da regolamento, e, provoca l'Inter, "almeno ci paghi l'Iva". Moratti propone di spartirsi l'incasso di qualche amichevole. La cifra che balla, oltre ai 48 miliardi di clausola, è ancora di 20 miliardi. Ma la FIFA non ha intenzione di esporsi a una censura europea, data la delicata situazione politica tra le due istituzioni, e sotto il decisivo impulso di Blatter, dichiara ufficiale il passaggio di Ronaldo a Milano, ma chiede all'Inter di pagare gli indennizzi di formazione e promozione.

L'operazione va quindi in porto, con grande soddisfazione dell'ambiente nerazzurro che si porta a casa uno dei giocatori più forti del pianeta, seppur avendo sborsato una cifra monstre per il mercato di allora, cifra che farà schizzare alle stelle i costi dei trasferimenti negli anni successivi. Il moralismo che di solito accompagna queste operazioni è accantonato per salutare l'avvento del Fenomeno e soltanto il vecchio Trap parla di assurdità.

Le parole di un vecchio appunto, perchè il bel guaglione della new economy Marco Tronchetti Provera e il classico immortale Guido Rossi parlano invece di operazione economicamente assai conveniente: l'Inter recupererà presto la cifra spesa con un ritorno di immagine spaventoso e un indotto conseguente.

E chissà poi quando sarà quotata in Borsa. Come abbiamo detto, non succederà mai. E anche Ronaldo non sarà abbastanza per tappare i buchi del bilancio.  Marco Tronchetti Provera ha però in mente di farne anche l'uomo immagine di Pirelli per il mercato brasiliano, un mercato che negli anni successivi sarà al centro del suo interesse anche per Telecom.

A parte uno spot televisivo tacciato di oscenità, Ronaldo non compierà il miracolo di resuscitare nemmeno la Pirelli. In Spagna intanto masticano amaro e i club si precipitano preoccupati a fissare nuove clausole di rescissione a prezzi fuori mercato per non rischiare il saccheggiamento da italiani e inglesi. Il serbo Pregrad Mijatovic, centravanti del Real Madrid, centrerà il record, venendo "protetto" con una penale da 150 miliardi. Cifra assurda ma che, purtroppo per noi, troverà una sua logica alla resa dei conti finale.

NOTE:
(1) Ovviamente farà eccezione l'Inter. Mentre Ronaldo, ulteriore ironia, vincerà il suo primo e unico campionato proprio nell'anno della cessione da parte dei nerazzurri. Insomma quella sfiga di cui piace tanto raccontare a Severgnini, Bertolino e comici da Smemoranda vari. O forse qualcosa di diverso.

(2) Non venga in mente di accusarci di falso moralismo. L'intero reparto difensivo della Juve frequentava con grande successo le sale del Viva Lain. Ma almeno erano dipinti dalla stampa come spietati killer.

(3) Contemporaneamente al caso Ronaldo, la questione viene sollevata anche per il trasferimento di Bixente Lizarazu dall'Athletic Bilbao al Bayern Monaco e per la trattativa che avrebbe dovuto portare Pep Guardiola dallo stesso Barca al Parma, trattativa poi saltata.

Come nelle due stagioni precedenti, l'obbiettivo principale della Juve mondiale è la Champions League, il cui bis è appena sfumato a Monaco di Baviera. La competizione inizierà il 17 settembre, l'avversario sarà il Feyenoord; poi Manchester United e Kosice. Nell'attesa, il 31 agosto parte il campionato, e la Juve regola subito il Lecce con i gol del nuovo bomber Inzaghi e di Conte. I gol arrivano nel finale, dopo l'uscita di un Del Piero opaco (rilevato da Amoruso), condizionato da un infortunio in Coppa Italia col Brescello. Tutta la squadra però appare ancora in rodaggio, e sullo 0-0 Peruzzi ha salvato in un paio di occasioni la porta dai contropiedi dei salentini.

Ma l'evento della prima giornata si svolge a Milano, dove un San Siro parato a festa celebra l'esordio nel campionato italiano del debuttante "Ronaldinho" contro la matricola Brescia. In realtà, la partita risulterà la consacrazione di un trentenne italiano che di esotico ha solo il cognome, un autentico sconosciuto il cui esordio in serie A è il culmine di una lunga e onesta gavetta fatta di Pievigina, Pergocrema, Fano e 5 stagioni in B al Cesena: Dario Hubner, detto "Il bisonte".

Già nel primo tempo, terminato a reti bianche, Hubner aveva propiziato un fallo da rigore, venendo vistosamente trattenuto in area da Galante, ma Rodomonti aveva fatto proseguire per una regola del vantaggio non concretizzata da Bonazzoli. Strano, perché la Fifa ha appena modificato la regola introducendo la possibilità, da parte dell'arbitro, di tornare sulle proprie decisioni nel caso il vantaggio non si concretizzi.

Ma è nella ripresa che Hubner delizia la platea milanese con un saggio di gran classe: pescato in area spalle alla porta, stoppa di coscia, si gira e mette la palla agli incroci, con Pagliuca che può solo stare a guardare. A salvare la truppa di Simoni, artefice di una prestazione confusionaria che lascia già intravedere quei limiti tattici e organizzativi di cui soffrirà per tutta la stagione, ci pensa l'altro nuovo sudamericano, quello piccolo, col viso da cartone animato.

Subentrato nel secondo tempo al posto di uno spento Ganz, negli ultimi minuti "el Chino" Recoba, che segnerà 3 gol in tutto il campionato, si gioca subito due Jolly con un tiro da 30 metri e su punizione. I brancaleoni di Simoni portano in trionfo il Chino e incamerano i primi 3 punti, ma il calcio italiano, anche se colpevolmente in ritardo, scopre un bomber di razza che il 5 maggio 2002 vincerà anche la classifica dei marcatori in coabitazione col grande David Trezeguet. Il 14 settembre '97, alla seconda giornata, la prima gara in trasferta riserva subito alla Juve un brutto cliente: la Roma di Zeman.

La settimana prima c'era stata la sosta per le Nazionali, e la gara venne preceduta da polemiche causate dal mancato impiego di Totti e Del Piero. Entrambi acciaccati, avevano marcato visita. Entrambi però erano tornati disponibili per l'impegno dei rispettivi club. Con una differenza: Totti può giocare, Del Piero no. Motivo? Totti era andato a Coverciano a farsi visitare, Del Piero era rimasto a Torino. In realtà la normativa non è chiara, ma le polemiche, al solito, sono polarizzate sul fuoriclasse della Juve. "Perché si parla solo di Del Piero e non di Totti?" aveva chiesto Lippi ai cronisti il giorno prima della gara.

Fatto sta che per non rischiare la sconfitta a tavolino, bisogna rinunciare a convocarlo. Strano per una società che annovera nel suo organigramma uno come Moggi, etichettato come grande burattinaio del potere federale. La partita finirà 0-0, con Totti che sfiora il gol al 22' e Inzaghi a cui viene impedita la conclusione a botta sicura per uno scontro tra Petruzzi e Aldair a cui è in realtà completamente estraneo; le moviole cercheranno di bilanciare l'episodio con un fuorigioco inesistente fischiato a Balbo.

L'Inter invece espugna Bologna 2-4, capitalizzando al massimo le 5 conclusioni totali. Gol del vantaggio interista di Galante su azione di calcio d'angolo, poi pressione del Bologna che crea diverse occasioni per pareggiare, protestando anche per un fallo di mani in area dello stesso Galante, non sanzionato dall'arbitro. Al primo contropiede, Ganz raddoppia. Il Bologna accorcia le distanze con un magistrale calcio di punizione di Baggio. La ripresa inizia col Bologna alla ricerca del pareggio, prestando il fianco ai contropiede nerazzurri. Ronaldo porta così l'Inter a 3 con un bel dribbling sull'ex Paganin. Baggio accorcia ancora le distanze su rigore (dubbio, in effetti), ma Djorkaeff chiude la partita con contropiede concluso da uno spettacolare pallonetto. L'Inter resta a punteggio pieno e Moratti stavolta incensa Simoni, criticato 15 giorni prima.

Il 17 settembre la Juve esordisce in Champions League travolgendo a Torino in Feyenoord con un eloquente 5-1, con una doppietta di Del Piero, Zidane, Inzaghi e Birindelli. A un simile destino va incontro il 21 settembre il Brescia, nella terza giornata di campionato. A differenza dell'Inter di 2 giornate prima, i bianconeri regolano senza particolari difficoltà le Rondinelle di Hubner: autorete di Filippini al 7', gol di Conte al 36', di Inzaghi al 38' e di Del Piero al 11' del secondo tempo. Quest'ultimo si concede anche il lusso di sbagliare un rigore 12 minuti dopo.

L'Inter, invece, riesce a rimediare 3 punti con la Fiorentina al termine di una partita dominata dai viola che colpiscono 3 legni e falliscono diverse occasioni, lamentandosi molto per la direzione di gara di Cesari. Gli ospiti partono subito alla grande e sullo 0-0 Batistuta colpisce una clamorosa traversa. Poi anche Lulù Oliveira e M. Serena falliscono il vantaggio. La pressione dei viola manda in tilt West, che al 36' fa un'entrata assassina su Kanchelskis lanciato sulla fascia destra: l'interista, in ritardo sul pallone, entra in scivolata a piedi alti sulle gambe dell'avversario, gliele stringe a forbice e lo rovescia a terra.

Trasportato via in barella, il russo ne avrà per 4 mesi. Un intervento grave, di fronte al quale il rosso avrebbe dovuto scattare automaticamente, ma Cesari si limita ad ammonirlo. Ma anche più tardi il direttore di gara si dimostrerà magnanimo: sempre West ferma Oliveira lanciato a rete con una dura ostruzione, Cesari si porta la mano al taschino, ma ci ripensa. Così, alla prima e unica palla gol del primo tempo, l'Inter va in vantaggio con Ronaldo, a cui però risponde alla grande M. Serena, e il primo tempo si chiude in parità. La ripresa si apre con una Fiorentina sontuosa: gol del vantaggio di Batistuta, che poi colpisce una (seconda) clamorosa traversa. Poco dopo è Oliveira a colpire il palo. A quel punto Simoni imbrocca la mossa giusta: Ganz lascia il posto a Zamorano che, appena entrato, difende bene un rinvio di Pagliuca, liberando Moriero in area per il pareggio. I viola, sull'onda del dominio dimostrato sul campo fino a quel momento, non ci stanno. Oliveira, dopo essersi bevuto mezza difesa dell'Inter, sfiora il vantaggio sparando su Pagliuca un tiro praticamente a colpo sicuro. Ma proprio nel momento migliore, gli ospiti vengono colpiti nel modo più rocambolesco: la difesa viola sale per la tattica del fuorigioco, lasciandosi alle spalle ben tre giocatori nerazzurri. Fresi tocca in avanti, il guardalinee Nicoletti sbandiera, ma interviene Batistuta con uno sciagurato passaggio all'indietro nella zona di uno dei tre interisti rimasti oltre le linee viola, Djorkaeff, che riceve palla e indisturbato e va a segnare il gol del vantaggio. I viola protestano vivacemente, sostenendo di essersi fermati dopo lo sbandieramento dell'assistente. L'assalto finale dei beffati sarà sterile e così l'Inter incamera i 3 punti, restando in testa a punteggio pieno. Nel dopopartita, Moratti dovrà complimentarsi con i viola, mentre Simoni ammette: "Non meritavamo di vincere". E aggiunge: "Ci è andata bene. invece di gioire pensiamo a correggerci. E' chiaro che se giochiamo sempre così non possiamo pensare di vincere spesso". Il commento più azzeccato risulterà proprio quello del match-winner, Djorkaeff: "Oggi si discute sulla nostra prova opaca e sui meriti della Fiorentina, ma domani resterà solo la classifica a ricordare questa partita".

La quarta giornata (27 settembre) trova una Juve impegnata nell'anticipo del sabato a Genova con la Sampdoria, ma con la testa al turno infrasettimanale della Champions in programma a Manchester, dove si giocherà una partita fondamentale: infatti, solo la prima qualificata del girone sarà sicura di passare il turno, la seconda dovrà sperare nel ripescaggio. I bianconeri lasciano così il primo tempo ai blucerchiati, che passano in vantaggio con Morales. Nella ripresa, nonostante l'espulsione di Montero, la Juve riesce ad agguantare il pareggio grazie all'opportunismo di Superpippo in pieno recupero (92’).

Il giorno dopo, l'Inter espugna Lecce con un rotondo 1-5 e stacca la Juve di 4 punti, ma il risultato è fortemente condizionato dalla severità dell'arbitro Farina, che espelle due giocatori salentini. Particolarmente pesante la prima espulsione, quella di Rossi, giunta nel primo tempo, proprio mentre il Lecce stava cercando di recuperare lo svantaggio ad opera di Djiorkaeff (giunto al 32’). Nel giro di due minuti, Farina ammonisce due volte l'attaccante giallorosso, ma la prima ingiustamente, perché ferma Rossi (lanciato a rete) per un fallo di mano che in realtà era uno stop di petto. Fino a quel momento la partita è stata soporifera ed equilibrata, e le uniche 2 occasioni (doppio palo di Ronaldo e gol) sono giunte da calci piazzati o conclusioni da lontano. E infatti in piena zona recupero del primo tempo, giunge il raddoppio su punizione da 25 metri del "Fenomeno". Nella ripresa, dopo una sfuriata nerazzurra, il Lecce si butta in avanti e, seppure in 10, accorcia le distanze su rigore, concesso per atterramento di Conticchio da parte di Zanetti. La partita si incattivisce e viene espulso anche Sakic, sempre per doppia ammonizione. A quel punto l'Inter dilaga. A parte l'entusiasmo per le giocate di Ronaldo, lo stesso Moratti esprime perplessità per i rischi corsi sul 2-1 e in superiorità numerica: "La squadra si è rilassata e questo mi ha dato fastidio. Ha giocato come se fosse un allenamento, sbagliando, perché non bisogna sottovalutare nessuno. E' troppo pericoloso".

La quinta giornata arriva il 5 ottobre, pochi giorni dopo il turno di Champions che ha visto la Juve sconfitta per 3-2 a Manchester. Dopo il vantaggio di Del Piero al 1' e il pareggio di Sheringham al 37', nel secondo tempo i Reds, approfittando dell'espulsione di Deschamps, ingiusta e con annesso rigore, avevano preso il largo con Scholes e Giggs, con Zidane che aveva limitato i danni nel recupero.

Anche in campionato i bianconeri sono attesi da un brutto cliente, quella Fiorentina che aveva messo alle corde l'Inter, seppure alla fine lasciando ingiustamente 3 punti a Milano. Le ultime 2 uscite sono state deludenti, ma l'ambiente bianconero fa quadrato: giocatori e allenatore preparano la gara chiudendosi nel silenzio stampa, i massimi dirigenti, Umberto Agnelli compreso, fanno visita alla squadra per caricarla, e la reazione è di quelle giuste. I viola passano al 24' con Oliveira, ma dura poco, perché nel giro di pochi minuti Inzaghi (33') e Del Piero (35') ribaltano il risultato. Nella ripresa, una Juve in via di miglioramento, ma non ancora al top, contiene il ritorno dei viola, che colpiscono una traversa con Oliveira e all'89' rimangono in 10 per un fallo da ultimo uomo di Falcone su Inzaghi lanciato a rete (viene applicata l'ultima versione della norma sul vantaggio: nonostante la trattenuta, Inzaghi riesce a concludere a rete; dato che non segna, l'arbitro Bazzoli innesta la "retromarcia", assegna punizione alla Juve ed espelle il viola. Tutte le moviole concordano sul fatto che si tratti di una decisione impeccabile, a norma di regolamento. Vedremo come cambieranno idea qualche settimana dopo).

Tre punti importanti, che consentono di ridurre a 2 punti il distacco dall'Inter. I nerazzurri, infatti, vengono bloccati sul pareggio dalla Lazio, anzi, è l'Inter che blocca la Lazio, grazie a un rigore inesistente. Il primo tempo è tutto di marca biancazzurra. Dopo aver sfiorato il gol in diverse occasioni con Nedved, Mancini e Signori, è proprio il ceco a portare meritatamente in vantaggio gli ospiti. Poco prima della fine della frazione, Marcheggiani esce per neutralizzare in tuffo un'avanzata di Ronaldo; sulla ribattuta, arriva Moriero che dopo averlo scavalcato con un pallonetto, invece di saltarlo per tentare la conclusione a rete, forse notando con la coda dell'occhio i 3 difensori laziali nel frattempo posizionatisi per ostacolare la sua conclusione, esegue un tuffo spettacolare, simulando il fallo del portiere. Treossi abbocca e concede la massima punizione, Ronaldo trasforma. Il regalo ringalluzzisce l'Inter e nella ripresa si sveglia il "Fenomeno", che crea praticamente da solo 3-4 occasioni da rete, con la Lazio a tentare di pungere in contropiede, ma il risultato resta bloccato sul pareggio. Treossi risparmia anche Bergomi, che dopo aver subito un fallo da Almeyda sanzionato dall'arbitro, lo strattona, lo fa girare e gli tira i capelli.

In casa Inter, il risultato è salutato con soddisfazione da Simoni, che però si lascia andare a una polemica sibillina: "Certo, problemi e difetti ne abbiamo anche noi. Ma dopo tutto siamo primi in classifica, e questo significa essere i migliori di tutti. E più che fare meglio di tutti non si può. E aggiungo che io i consigli li accetto solo da chi ha vinto i campionati. Da chi non ne ha mai vinti, no". Ma non chiarisce a chi si rivolga. Secondo la Gazzetta dal volto del presidente Massimo Moratti trasparirebbe "una certa delusione", ma a parole si dichiara soddisfatto anche lui: "Un pari contro una grande. Uno stop relativo. Tutto sommato un punto ci sta bene".

Tra i laziali c'è invece grande rammarico, e non solo per il rigore inesistente, ma per com'è andata tutta la gara. Eriksson smaltisce un po' d'amarezza con una battuta: "Cosa dovrei fare? Ammazzare l'arbitro? Non è facile per il direttore di gara giudicare un episodio del genere. E ancora una volta (quinto gol) è risultato decisivo Pavel Nedved". Dopo la sosta per la Nazionale, il 19 ottobre si gioca la sesta giornata che vede impegnate entrambe le contendenti in trasferta. La Juve fa cinquina a Bari grazie a una doppietta di Zidane, un gol di Del Piero e due autoreti, di Ingesson e Garzya.

L'Inter, nell'anticipo del sabato, espugna il San Paolo grazie a un gol di Galante e a un'autorete di Turrini. Ancora una volta, per definire la squadra di Simoni, i commentatori devono ricorrere ad aggettivi come "cinica", "smaliziata", mentre la gara dei nerazzurri viene diplomaticamente definita "non esaltante". A essere decisivo è ancora un difensore, che sblocca il risultato in trasferta per la seconda volta dall'inizio del campionato. Lo stesso Ronaldo ammette: "Abbiamo giocato male, ma contava proseguire la marcia". Winter, dal cui piede (ma soprattutto dalla decisiva deviazione di Turrini che ha spiazzato il portiere partenopeo) è scaturito il raddoppio,: "L'importante è vincere, anche senza il bel gioco, anche facendo due tiri e due gol, perché in questa fase non bisogna perdere punti". Un po' tutti i giocatori dell'Inter riconoscono di non aver meritato. Sempre Ronaldo: "Abbiamo giocato un po' male, ma quel che contava era continuare la nostra marcia". Lo afferma ancor più chiaramente Pagliuca, autore di un paio di parate straordinarie: "Sul 2-0 abbiamo lasciato troppi spazi al Napoli, così due volte mi sono trovato i loro attaccanti davanti. Di tutte le nostre trasferte, questa è stata sicuramente la peggiore dal punto di vista del gioco. Non è una critica, ma un dato di fatto". Simoni: "Stavolta la squadra non mi è piaciuta. Dopo il gol di Galante abbiamo giocato con troppa sufficienza: dovevamo chiudere la gara e invece il Napoli è andato vicino al gol. E dopo il 2-0 i miei passeggiavano: la più brutta gara dell'Inter in trasferta".

La settima giornata, che viene dopo un terzo turno di Champions che ha visto la Juve espugnare di misura (0-1, Del Piero) il campo del modesto Kosice, è il primo momento chiave per i piagnoni matricolati: è la giornata de "al gol dal tudesc".

Ma andiamo con ordine. E' Ognissanti e finalmente l'Inter gioca abbastanza bene. Batte al Meazza una delle dirette concorrenti alla vittoria finale, il Parma, grazie a una splendida punizione dal limite di Ronaldo al quarto d'ora del primo tempo (verranno poi espulsi Chiesa e Winter). Ma, soprattutto, offre finalmente una prestazione convincente.

Nelle interviste post partita Simoni si toglie qualche sassolino dalla scarpa: "E' la partita che abbiamo giocato meglio, la mia miglior Inter. Ma non abbiamo mai giocato così male come si dice. Non si è primi in classifica, non si ha il miglior attacco per caso. Io sono molto soddisfatto". Più che altro, l'Inter ha impressionato per la prima mezz'ora, nella quale è andata in vantaggio e ha creato qualche altra occasione. Poi però è calata e la partita è stata equilibrata, anche se il Parma, nel cercare il pareggio, non ha mai creato grandi problemi alla difesa nerazzurra.

Però c'è un dettaglio: a sentire Ancelotti, che ammette la prestazione sotto tono del Parma, nel gol dell'Inter c'è qualcosa che non va: "La punizione del gol era inesistente", afferma, e accusa l'arbitro. Chi? Un certo Ceccarini da Livorno: "Ci sono state alcune decisioni dell'arbitro abbastanza discutibili, qualche ammonizione di troppo e soprattutto la punizione da cui è nato il gol di Ronaldo non c'era assolutamente. Tutte queste cose messe insieme ci hanno condizionato. Parliamoci chiaro: la partita è stata decisa da un episodio che secondo me è dubbio. Se su quella palla ci va Ancelotti, sbaglia sicuramente, se ci va Ronaldo, fa gol. Ecco il motivo del risultato". Anche Zé Maria recrimina: "Inesistente il fallo di Baggio su Zé Elias: io l'ho detto all'arbitro che Zé Elias si butta sempre ma non mi ha creduto". Cannavaro: "Ci ha innervosito più l'arbitro di Ronaldo. E' assurdo punire un intervento come quello di Baggio con una punizione. Un'occasione per il brasiliano, che da solo ha risolto la partita".

Per la Gazzetta le proteste dei parmigiani sarebbero ingiustificate, ma il filmato di quel fallo è oggi sparito dalla circolazione: a questo punto ci piacerebbe rivederlo. A Torino, invece, la Juve vince con ben altro margine, e contro un avversario che alla fine del campionato risulterà la terza forza: l'Udinese, a cui rifila un sonoro 4-1.

Ma invece dell'eloquentissimo risultato, quella partita verrà da tutti ricordata per un errore arbitrale: Cesari non concede alla Juve, quando già conduce 3-1, un rigore per intervento di Calori su Inzaghi. Non stiamo inventando, ci fu anche quello, ma ovviamente ci riferiamo a un altro errore, quello dell'assistente Ivaldi (Cesari non poteva vedere), che sull'1-1 non si accorge che una conclusione di Bierhoff, in anticipo su Rampulla in uscita, era stata respinta da Ferrara oltre la linea di porta. Al di là dell'errore arbitrale, al difensore napoletano bisogna riconoscere il merito del prodigioso intervento, così come all'attaccante tedesco rimarrà il rimpianto di non aver proseguito la sua corsa assieme a lui per scortare il pallone verso la rete. Si era sull'1-1 (vantaggio ospite con Locatelli al 14', pareggio di capitan Conte al 36'), e le immagini rallentate della moviola verranno ripetute allo sfinimento sia nelle trasmissioni sportive di quel giorno, sia negli anni a venire.

Poi la Juve segnerà ben 3 reti, con Inzaghi al 23' della ripresa, Del Piero al 27' su rigore (netto: Calori tocca Del Piero sul piede d'appoggio; inoltre, come abbiam detto, ce ne stava un altro, ingiustamente non concesso dall'arbitro) e Amoruso al 44'. Poco conta se nell'arco della partita la Juve ha ampiamente legittimato la propria supremazia con 4 reti e col bel gioco, per le maliziose emittenti italiane l'unica sequenza interessante della partita è il fermo immagine del piede di Ferrara che calcia la palla al di là della linea di porta. Intanto,

Inter e Juve restano sole in testa, distanziate di 2 punti. Il primo snodo della grande crisi isterica nazionale che fu il Campionato dei Piagnoni si verifica il 6 dicembre, giorno del pareggio dell'Inter in casa della Sampdoria. Un rigore per i blucerchiati scatena una sequela di sproloqui che arriva a mettere in dubbio la legittimità della contemporanea vittoria della Juve sulla Lazio, giunta al termina di una sontuosa prestazione dei bianconeri a cui, seppur privi di Zidane e Deschamps, il 2-1 finale va strettissimo.

Le due prime della classe giocano nell'anticipo del sabato, perché l'Europa le attende per lo scontro decisivo. A Genova, dopo l'iniziale vantaggio del solito Ronaldo, la Sampdoria crea diverse occasioni da gol, ma riesce a pareggiare solo su un calcio di rigore concesso per un contatto molto dubbio tra Signori e Colonnese. Comunque, poi sono di nuovo i padroni di casa a sfiorare il vantaggio, mentre l'Inter si limita a contenere. Paradossalmente, le cose migliorano per gli ospiti dopo l'ineccepibile espulsione di Simeone (doppia ammonizione), giunta poco prima dell'intervallo.

La ripresa infatti è più equilibrata, con occasioni da entrambe le parti, e il pareggio finale è sostanzialmente giusto. Al massimo, per come si erano messe le cose, può andare stretto agli uomini di Boskov, che al termine della partita rimpiangerà di non aver tentato la carta delle tre punte dopo l'uscita di Simeone. Eppure, i piagnoni nerazzurri danno vita a uno show imbarazzante. E' il presidente Moratti a menare le danze. Al termine della gara, parla di "quinto rigore inesistente che ci danno contro" e arriva a contestare anche "certi falli fischiati a centrocampo". Inoltre, le cronache da Genova raccontano di reazioni scomposte del patron nerazzurre ad ogni decisione avversa arbitrale, che sia un'ammonizione a Sartor o un fallo di mano fischiato a Ronaldo.

Già nell'intervallo, richiesto di un parere dai cronisti, Moratti aveva addirittura recriminato sul rigore subito nell'ultimo derby, dove semmai i dubbi riguardavano quello concesso all'Inter. Come un bambino capriccioso, sentenzia che i 5 rigori subiti fino a quel momento dall'Inter sono inesistenti e parla di arbitri che "patiscono un complesso d'inferiorità quando arbitrano l'Inter".  A chi tenta di giustificare l'operato del direttore di gara, risponde facendo la vittima: "C'è sempre qualche avversario da difendere. Invece l'Inter non la difende mai nessuno, tantomeno io che sono troppo buono".

Con un presidente così, è ovvio che i dipendenti seguano a ruota. Simoni, tra l'altro criticato per il gioco della sua squadra dal ct della Nazionale Maldini presente a Marassi ("l'Inter si è chiusa troppo"), dichiara: "Non è possibile che per vincere dobbiamo segnare 3 o 4 gol". Addirittura, la giusta espulsione di Simone (ammessa anche da Moratti) viene da lui contestata indicandone la causa nell'episodio del rigore.

Signori, nel dopopartita, parla di contatto di coscia, e rilancia ricordando un altro episodio: "Il fallo c'era, e pure netto, anche se forse ancora più evidente era quello in un'azione precedente di Pagliuca. Sul rigore fischiato, invece, non so se l'intervento sia stato volontario o no, ma il contatto con Colonnese è avvenuto, coscia contro coscia. In 7 anni di A avrò procurato sì e no 3 - 4 rigori alla mia squadra. Pochi, insomma, ma è normale che poi in campo uno non ci stia e protesti".

In realtà, dalle immagini sembra davvero che Signori accentui troppo l'eventuale contatto, ma ciò non giustifica tutti questi piagnistei, questo clima da assedio che sfocia nelle dichiarazioni più gravi, quelle dell'uomo immagine della squadra, che rincara la dose accusando la Juve: "L'Inter gioca contro 12 avversari, ma è forte da vincere lo stesso. Signori? Bravo, s'è buttato bene. Il rigore alla Juve? Doveva vincere. Tuffarmi? Bisogna che anche io cominci ad approfittare di questa situazione".

E' evidente che le parole di Ronaldo rispecchiano il pensiero dell'ambiente Inter, che soffre nei confronti dei bianconeri di quel "complesso di inferiorità" che Moratti attribuisce agli arbitri. A Torino la Juve aveva vinto con merito e ben al di là di quanto lasciasse intendere il 2-1 finale. Vantaggio di Del Piero dopo un quarto d'ora, pareggio della Lazio su rigore. Poi la Juve stringe d'assedio la Lazio, che nel secondo tempo rimane in 10 per l'ineccepibile espulsione di Chamot che fa fallo su Inzaghi lanciato a rete. Alla fine si conteranno due pali di Inzaghi (di cui uno giunto al termine di un'azione altamente spettacolare), due miracoli di Marchegiani su Del Piero e un gol fantasma non concesso ad Alex nonostante il salvataggio oltre la linea della porta del biancoceleste Pavel Nedved.

Eppure parte il can can moviolistico sul gol decisivo della Juve, giunto su un rigore concesso in seguito all'applicazione della nuova regola sul vantaggio della Fifa. Del Piero era stato steso in area da Marchegiani, ma siccome la palla era giunta a Inzaghi l'arbitro aveva atteso la sua conclusione, finita sul palo. Per l'arbitro, dunque, il vantaggio non si era "concretizzato" e aveva concesso il rigore. La decisione viene bollata come una sorta di "eccesso di zelo" e criticata duramente, ma è indicativo che a distanza di tempo di quella partita sia rimasto solo quest'episodio, mentre nessuno si ricorda ad esempio del gol fantasma di Del Piero.

Il "fenomenale" veleno nerazzurro anti-juve suscita la risposta di Deschamps: "Ha detto che gli arbitri ci avvantaggiano e questo ci ha amareggiati, ma sono convinto che sia stato spinto a dire certe cose. Lui è un grande campione, ma certi commenti ci hanno amareggiati e non possiamo accettarli. Sabato Ronaldo stava giocando a Genova con l'Inter: non capisco come faccia a sapere quel che è successo a Torino. Noi cerchiamo di pensare a noi stessi e di vincere. Lui farebbe bene a pensare all'Inter. Io replico nell'interesse di tutti. Se l'Inter meriterà di vincere il campionato saremo i primi a dirle "brava". Ma gli errori arbitrali oggi capitano a noi, domani a loro".

In realtà il campione di Bayonne è già concentrato sullo scontro decisivo a cui la Juve è attesa in Champions: "La nostra situazione è difficile perché dobbiamo vincere ed aspettare gli altri risultati. Sono ottimista, contro la Lazio ho visto una grande Juve. Giocando così possiamo battere il Manchester. Essendo qualificati, potrebbero non battersi al massimo. L'anno scorso, pur essendo già nei quarti, favorimmo la loro qualificazione battendo il Fenerbache. Ma penso che, se batteremo il Manchester, ci qualificheremo: confido nei miei amici del Monaco e nell'Olympiakos, mentre non credo che il Psg faccia la goleada che gli serve per superarci". E la Juve ce la farà, e con i fuochi d’artificio. A 10 minuti dalla fine è eliminata, e non solo perché a Torino la partita è inchiodata sullo 0-0 (nonostante un palo di Ferrara e quattro occasioni fallite), ma anche perché ad Atene l'Olympiakos sta soccombendo in casa contro il Rosenborg.

Poi, all’83' Inzaghi trasforma di testa un grande assist di Zidane e all’88' arriva la notizia da Atene: una punizione di tal Djordjevic ha portato l’Olympiakos in parità: esplode il Delle Alpi, Ferrara salva su Cole e la Juve è nei quarti di Champions. Dirà Lippi nel dopopartita: "La mia felicità, da uno a dieci, vale dieci. Ma la felicità più grande è allenare una squadra come questa. Dalle qualità umane e professionali difficilmente riscontrabili in altri posti, presso altri organici".

In casa Juve, però, l’euforia per la Champions deve subito lasciare il posto alle lacrime per la perdita di Giovannino Agnelli, che il 13 dicembre pone fine alla sua breve avventura terrena. Il 14 la Juve gioca a Piacenza dove campeggiano diversi striscioni in memoria, sia da parte degli Juventini che da parte degli sportivi emiliani. La Juve gioca col lutto al braccio e un vuoto dentro. In debito di brillantezza e tensione dopo l’impresa di mercoledì, pur tenendo quasi costantemente il controllo della partita, i bianconeri producono poco, mentre in contropiede i padroni di casa sfiorano il vantaggio in un paio di occasioni. E quando al 78’ Fonseca, che aveva sostituito Davids solo 4’ prima, trova il vantaggio con una prodezza individuale (controllo di destro e bellissimo sinistro agli incroci), la festa dura solo 3 minuti, e cioè fino al buco difensivo che libera Stroppa al tiro, per la corta respinta di Peruzzi e la ribattuta a rete di Piovani.

Così l’Inter allunga di nuovo a +4, grazie al 3-0 interno con la Roma zemaniana, condannata da papere ed espulsioni. Mancava Ronaldo, e la larghezza del risultato dà il via alle solite bausciate dei commentatori nerazzurri, che si crogiolano nell’illusione di aver trovato una squadra compiuta al di là delle individualità, comunque esaltate oltremisura, come nel caso di Sartor descritto come un novello Rivelinho. In realtà per quaranta minuti, pur senza creare grandi occasioni, la partita l’hanno fatta gli ospiti, poi è arrivato il rigore trasformato da Djorkaeff, scaturito da una clamorosa svirgolata di Petruzzi che lanciaSimeone a rete e costringe il portiere Konsel all’atterramento. Nella ripresa, dopo il raddoppio di Branca al 4’, in pochi minuti vengono espulsi Pivotto e Totti, così i padroni di casa rischiano di dilagare, anche oltre il 3-0 finale, siglato da Zamorano a 20’ dalla fine, ma sbagliano diverse occasioni, anche perché s'incaponiscono nel tentare di far segnare a Moriero un avvelenatissimo gol dell'ex.

La Juve si rifarà sotto nell’ultima giornata dell’anno, quella pre-natalizia e soprattutto pre-scontro diretto di San Siro. 5-2 all’Empoli con tripletta di Del Piero che raggiunge quota 10 in classifica marcatori, mai toccata nemmeno al termine delle stagioni precedenti. In coppia con Inzaghi (anche lui in gol), tra campionato e coppe i gol sono già a 27, alla faccia di chi li criticava per la loro “leggerezza”: la Juve ha infatti l’attacco più forte del campionato, dove, dopo la vittoria con l’Empoli, è ancora imbattuta.

I toscani devono cedere le armi alla svelta: dopo un quarto d’ora e nel giro di un minuto, grazie a una ribattuta di Inzaghi a rete su respinta del portiere Roccati e a una conclusione al volo di Alex su lancio di Zidane, la Juve sta già 2-0. Al 26’ il terzo sigillo su rigore che Del Piero prima ottiene per un fallo subito da Tonetto, poi difende da Zidane che voleva tirarlo al suo posto e infine ribatte a rete nonostante la provvisoria respinta di Roccati. L’Empoli accorcia al 41’ con una punizione di Florijancic, ma nella ripresa ecco un'altra magia di Alex che, pescato da Zidane, fa sdraiare il portiere, lo aggira e deposita in rete.

Poi un rigore per l’Empoli e un’autorete di Tonetto, su tiro di Davids, fissano il 5-2. L’Inter, impegnata a Udine e priva, oltre a Ronaldo, degli squalificati Simeone e Moriero, fondamentali nelle ultime gare, gioca meglio di altre volte in cui aveva portato a casa i 3 punti, ma va incontro alla prima sconfitta del campionato. Infatti, per tre quarti di partita la sfida è equilibrata ed entrambe le squadre creano belle azioni e occasioni da rete (tra cui un contatto sospetto tra Sartor e Amoroso in area nerazzurra). Da metà ripresa in poi, però, è l’Udinese a prendere in mano la partita. Già all’84 Bierhoff aveva sfiorato il vantaggio schiacciando di testa un ponte di Amoroso imbeccato dal cross di Bachini, finché al 91’ il bomber tedesco, su cross del solito Bachini, vince il duello aereo contro Galante: stacco imperioso, perfetta torsione del busto e Pagliuca è battuto.

Al Delle Alpi, in tribuna, il volto impietrito di Umberto Agnelli accoglie il boato dello stadio per le notizie dal Friuli. L'ultima volta che era stato alla partita, il giorno della qualificazione contro il Manchester, era assieme a Giovannino e aveva gioito con lui per il gol di Inzaghi. Quanto alla qualificazione, ricorda, "Abbiamo saputo del gol fatale al Rosenborg quando eravamo già in auto e ci stavamo dirigendo verso casa: per poco non finivamo fuori strada".

Stavolta il Dottore resta allo stadio fino alla fine, accanto a Donna Allegra e Andrea, mentre la Juve si porta a un punto dall'Inter e festeggia il Natale ancora imbattuta in campionato. Il 9 novembre, per l'ottava giornata, le due contendenti dello scudetto, separate da due soli punti, sono attese da trasferte insidiose: l'Inter a Bergamo, dove non vince da anni, la Juve a Napoli. Per entrambe, il risultato finale sarà una rocambolesca e risicata vittoria. L'Inter si porta in vantaggio fortunosamente con Djorkaeff, mentre l'Atalanta è in 10 a causa di un infortunio a Sottil, che si è scontrato col proprio portiere nel tentativo riuscito di recuperare Ronaldo.

Con l'Atalanta protesa a cercare il pareggio, il brasiliano colpirà anche un palo in contropiede. Ma quanto a legni, nel solo primo tempo, i bergamaschi ne colpiscono ben tre: i pali con Carbone e Foglio e una clamorosa traversa su tiro da fuori. Inoltre, prima del riposo, Moriero compie un miracoloso salvataggio sulla linea. Insomma, si va all'intervallo con i padroni di casa all'assalto, e allo stesso modo si apre la ripresa, con Pagliuca che compie un miracolo su Sgrò.

Come sempre, è il solo Ronaldo a costituire l'unico, per quanto potente, strumento di offesa degli ospiti: prima fa espellere Sottil costringendolo alla doppia ammonizione, poi ingaggia una lotta con Rustico che provoca due episodi controversi: un "quasi rigore" per l'Inter, allorché il difensore sbilancia con mestiere Ronaldo che stava per concludere a rete, e soprattutto una gomitata al volto che il brasiliano rifila impunito a Rustico. La doppia ammonizione (ineccepibile) di Djorkaeff ristabilirà la parità numerica, e a 10 minuti dalla fine Caccia, grazie anche a una dormita di Bergomi, riuscirà a conseguire il meritato pareggio. Ma a due minuti dalla fine, West, smarcato da un triangolo di Ronaldo davanti al portiere, riuscirà a regalare la vittoria per Inter. Raggiante per aver finalmente sfatato il campo di Bergamo, al termine della gara Moratti riconosce i meriti dei locali e si compiace dei 3 punti acciuffati in extremis. L'euforia per la vittoria e per l'alta quota in campionato lo inebria: "Però l'Inter ha uno spirito e lo ha fatto vedere. Questo mi fa davvero piacere. Aver battuto un'Atalanta così determinata può voler dire che questo è davvero il nostro anno". Fino quasi al delirio: "A Bergamo ho capito che West può segnare un gol a partita". Anche Simoni, uomo ricordato per lo stile sobrio, pare contagiato: "Scudetto? In questo momento non ci manca niente".

C'è da dire che l'avversario più pericoloso, nonché inseguitore più ravvicinato, non sta attraversando un momento entusiasmante. Viene da un mercoledì di Champions in cui ha regolato a Torino gli slovacchi del Kosice per 3-2, un risultato deludente dato l'avversario e le esigenze di classifica, che vede in testa al girone un Manchester United a punteggio pieno, artefice fino a quel punto di una marcia trionfale. La Juve, dopo essere andata in vantaggio per 3-0 (Del Piero, Amoruso, Fonseca), aveva avuto un calo di tensione che aveva portato i misconosciuti ospiti ad accorciare le distanze. A Napoli, durante un primo tempo avaro di occasioni, sono i fuoriclasse bianconeri a fare la differenza, confezionando il gol del vantaggio: un'accelerazione di Del Piero sulla tre quarti al 38' si combina perfettamente col movimento di Zidane che si smarca, riceve palla in verticale e con freddezza va a segnare. La ripresa è più movimentata: il Napoli pareggia grazie a un errore difensivo della Juve che al 14' favorisce Bellucci e poi sfiora il raddoppio con Protti, anticipato alla grande da Peruzzi. A questo punto sono le mosse di Lippi a risultare decisive, con l'inserimento di Fonseca per Pessotto che porta il numero di punte in campo a 3 (con Amoruso e Del Piero) più Zidane. Il Napoli arretra progressivamente la linea di difesa e ogni situazione di superiorità creata da un uomo dribblato genera pericolo. Il gol decisivo, per quanto nell'aria, arriva però solo a 3 minuti dalla fine, grazie a un tiro da fuori area di Fonseca. Comunque, se la Juve vince è perché nel momento decisivo osa di più, a costo di esporsi al rischio di concedere all'avversario l'opportunità di colpirla di rimessa, a differenza dell'Inter tutta difesa e Ronaldo. "Abbiamo sfruttato bene la panchina e vinto con merito", dice Lippi alla fine. E a chi gli fa notare che la sua Juve decide spesso le sue partite nell'ultimo quarto d'ora, replica: "Se capita solo qualche volta, vuol dire che è questione di fortuna. Ma se capita spesso, vuol dire che c'è volontà di credere fino in fondo, c'è condizione atletica e c'è anche una buona panchina".

Dopo la pausa per la Nazionale, che ottiene contro la Russia la qualificazione per il Mondiale francese, il 23 novembre va in scena una nona giornata molto ghiotta: derby milanese e Juve che ospita la terza forza Parma. La stracittadina si gioca in realtà nell'anticipo del sabato sera, con la tribuna di San Siro in ghingheri: presenti il presidente della Fiat, Cesare Romiti, Giorgio Fossa di Confindustria e Guido Rossi, presidente di Telecom Italia e consigliere dell'Inter. Il primo tempo vede il Milan proiettato all'attacco e l'Inter, al solito, a puntare sul contropiede. Proprio su uno di questi, è Simeone a raccogliere un cross di Moriero e insaccare a porta vuota.

Il Milan continua a macinare gioco, crea diverse occasioni, finché alla mezz'ora arriva il pareggio di Weah. Tra la fine del primo tempo e la prima parte della ripresa si registrano diversi attacchi rossoneri, ma infruttuosi.  Il Milan vuol vincere, l'Inter rincula, ma torna in vantaggio grazie a un rigore molto contestato. In effetti quel che accade nell'area rossonera è poco chiaro: su azione di calcio d'angolo, si vede Ronaldo abbattersi a terra vicino a Boban. Le moviole non chiariranno, limitandosi a ipotizzare una misteriosa trattenuta del giocatore croato. Capello parla di "tuffo", ma le immagini non mostrano né il fallo, né la simulazione. Il pareggio del Milan giungerà pure su calcio di rigore, ma stavolta per un netto sgambetto di Zé Elias su Albertini.

Interessante piuttosto quanto accade poco prima: Collina aveva fatto ribattere una punizione del Milan perché qualcuno in barriera si era staccato prima del tempo; a norma di regolamento, aveva ammonito un giocatore dell'Inter, solo che il giallo, anziché a Zé Elias, sarebbe dovuto andare a Galante, che, già ammonito, sarebbe stato espulso. In seguito, oltre a Galante, Collina grazia pure West: infatti fischia una punizione a Ba quando il fallo (e un successivo tocco di mano del pallone) è con tutta evidenza del nigeriano. Sul prosieguo i due bisticciano: West sta davanti, Ba cerca di togliergli la palla, allora il primo tenta di rifilargli due gomitate, ma va a vuoto. Collina fischia, Ba appoggia una mano sul volto dell'interista: giallo per entrambi, ma West avrebbe dovuto essere espulso.

Nel dopogara, Moratti resta abbottonato, ma dietro il suo commento: "Il tecnico è stato indotto a schierare una formazione prudente, ma abbiamo giocato bene", si cela la delusione per un'Inter troppo sparagnina. Voci informate parlano di critiche espresse al tecnico alla vigilia. Ma Simoni si dice molto soddisfatto: "Il pareggio ci sta benone. Siamo riusciti a tenere a undici punti un rivale che ha gettato in campo tutto il suo orgoglio e la sua bravura per rosicchiarci tre punti. Ma noi li abbiamo ricacciati indietro". I milanisti, invece, il rigore su Ronaldo non riescono a mandarlo giù. Savicevic è lapidario: "Meglio il Milan", certo, lui è rossonero.

Però a San Siro ci sono anche osservatori stranieri, imparziali. Canal Plus è molto severo con l'Inter: "Meglio il Milan perché prova a giocare. L'Inter invece fa soltanto contropiedi. La si può capire, non deve vincere per forza. Per la squadra di Capello è difficile contro nove difensori."Nonostante il punticino rimediato dalla capolista, il giorno dopo la Juve ha l'occasione di balzare in testa, ma impatta con lo stesso risultato contro un ottimo Parma, dopo essere andata due volte in svantaggio.

Il primo tempo è della Juve, che fa il gioco e attacca, ma non crea occasioni particolarmente pericolose, un po' anche a causa del periodo di appannamento che sta attraversando Inzaghi. I due gol del Parma giungono da errori individuali (Ferrara e Iuliano) nell'applicazione del fuorigioco: in entrambi i casi c'è un rinvio lungo della difesa, con assist di testa di Milanese che smarca Chiesa prima e Crespo poi, che fanno secco Peruzzi. Come a Napoli, per forzare il gioco d'attacco, Lippi mette la terza punta, lasciando il solo Deschamps a fare filtro. Saranno un ottimo Del Piero prima e Amoruso poi a ristabilire la parità. Nel finale, una schiumante Juve si proietta verso la vittoria, sfiorata con Fonseca, ma anche il Parma rischia di far male in contropiede.

Al termine, Ancelotti è entusiasta per aver fermato i bianconeri: "Avevo detto che la Juve è la più grande squadra del mondo e sono soddisfatto di avere giocato alla pari con i migliori. Ci rimangono la certezza di poter competere con loro e un po' di rimpianto: siamo stati in vantaggio fino agli ultimi minuti, abbiamo subito la rete del pareggio su azione confusa da corner. Forse nella ripresa siamo indietreggiati troppo, comunque il pari è soprattutto merito dei bianconeri". Anche Lippi è contento: "Mi soddisfa la Juve vista contro il Parma. Siamo partiti alla grande, poi loro si sono chiusi rendendoci la vita difficile e hanno agito in contropiede. I gol degli emiliani - e non lo dico per sminuire il loro gioco - sono stati abbastanza casuali. Credo che nel finale, se fosse entrato il tiro di Fonseca e avessimo vinto, non avremmo rubato nulla".

Il 30 novembre si gioca una decima giornata favorevole all'Inter, ospite del Vicenza, mentre la Juve deve far visita al Milan. I bianconeri non riusciranno a riportare a Torino i 3 punti, ma si consoleranno con un acquisto che si rivelerà uno dei più azzeccati dell'intera gestione Triade. L'Inter invece riesce ad espugnare Vicenza, dove però parte malissimo e conduce una gara al solito a base di difesa e contropiede. I padroni di casa partono a mille e la schiacciano subito indietro, andando pure in gol, con Zauli, che l'arbitro annulla per un fuorigioco di Di Cara, che in posizione irregolare ha la sconsiderata idea di tentare di deviare una palla comunque diretta nell'angolino; la palla non vene nemmeno toccata da Di Cara, ma il suo è fuorigioco attivo. I biancorossi continuano ad attaccare ed ottengono anche un rigore, anche se Schenardi, toccato da West in area quando era lanciato a rete, cade con una platealità sospetta. Per la trasformazione si incarica Di Cara che angola troppo l'esecuzione, la palla colpisce il palo interno ed esce.

L'Inter crea, al solito, qualche percolo in contropiede, quando parte il Fenomeno. Stavolta però il vantaggio giunge su calcio da fermo, con Simeone che risolve in mischia. Poco dopo, l'argentino si ripete con un tiro da lontano: 0-2. Il primo tempo si conclude col Vicenza all'arrembaggio e allo stesso modo inizia la ripresa, allorché Massimo Ambrosini finalmente risolve una mischia, accorciando le distanze grazie anche a un errore di Pagliuca.

Come da copione, i padroni di casa si buttano con ancor più foga alla ricerca del pareggio, finché Ronaldo metterà al sicuro il risultato, ovviamente in contropiede, arma con la quale i nerazzurri sfiorano poi più volte anche il quarto gol.Per Simeone, reduce da un inizio di campionato in cui ha subito un'accanita contestazione da parte dei suoi tifosi, è una soddisfazione doppia: "Sarebbe facile adesso dire che questa è la mia rivincita sui fischi. Del resto, dovevo uscire da quella situazione".

Simoni invece trova il tempo di prendersela con l'arbitro: "Mi sono arrabbiato sulla punizione che ha portato il 2 - 1 perché non sono un santo: c'era un fallo su Colonnese e non ho visto il fallo su Zauli. Ma se non ho visto male, anche il fallo del loro rigore non c'era ed era giusto annullare per fuorigioco il gol che avrebbe dato l'1 - 0 al Vicenza". Se riescono a lamentarsi quando vincono, non stupiranno i piagnistei che verranno fatti, come vedremo, più avanti, quando arriveranno le sconfitte.E sì che avrebbero ben poco da lamentarsi: in dieci partite, otto vittorie e due pareggi. Primato in classifica ed en plein fuori casa: cinque su cinque. In casa Inter e sui giornali si perde ogni pudore: si parla di nascente "nuova epopea herreriana" e si evoca ad ogni piè sospinto Moratti padre.

La vittoria di Vicenza ne porterebbe il marchio inconfondibile. C'è pure chi, inebriato da posizioni di classifica a cui non era abituato da molto tempo, inizia a togliere sassolini da scarpe evidentemente ricolme. Viene pure riesumato un episodio di qualche anno prima, la sera del primo scudetto milanista della serie Capello, allorché Berlusconi disse: "Questo trionfo è dedicato alla Milano che sa vincere. Noi la rappresentiamo", con Massimo Moratti che si sarebbe lasciato sfuggire un sommesso e tagliente: "E noi dell'Inter chi siamo?". Quella domenica l'Inter aveva perso a San Siro con la Cremonese. Ora son passati più di cinque anni, e proprio quella giornata così umiliante, secondo i mitografi nerazzurri della nuova epopea Moratti, avrebbe visto la nascita dell'idea di ricostruire la "leggendaria" Inter degli anni '60.

L'euforia bauscia trae spunto dall'allungamento a 4 punti del vantaggio sulla Juve, che a San Siro strappa solo un pareggio a un Milan già molto attardato in classifica. La gara è aperta, combattuta, mai ostruzionistica, con giocate di ottima fattura. La Juve però ne esce con la perdita di Amoruso per tre mesi, uscito in barella dopo uno scontro con Costacurta nel primo tempo: frattura del perone destro. Lippi aveva schierato una squadra molto offensiva, non solo mettendo Amoruso e Del Piero di punta, ma soprattutto posizionando Zidane marcatamente a sostegno dei due attaccanti. Gli ospiti iniziano e chiudono il primo tempo all'attacco, ma il Milan, nel cuore della frazione, riesce ad andare in vantaggio grazie a una sfortunata autorete di Ferrara a seguito di una mancata deviazione di Zidane di testa.

Anche il pareggio arriva, poco dopo, in modo rocambolesco, grazie a un maldestro intervento di Taibi, che esce in presa con troppa irruenza, oltrepassando la linea dall'area e mollando poi il pallone per non essere espulso. Bravo Inzaghi, che aveva sostituito il povero Amoruso solo mezzo minuto prima, a insaccare.

Gol casuali, ma la partita come detto è bella: è evidente quanto le squadre tengano a vincere. Lippi azzecca la mossa di Pecchia per Pessotto: sarà il nuovo entrato a propiziare l'azione del gol. Sull'1-1, inoltre, sul finire del primo tempo, viene annullato ingiustamente un gol a Inzaghi: Torricelli, scattato in posizione regolare sulla sinistra, tira verso la porta, interviene Inzaghi, che al momento del tiro era arretrato rispetto al pallone e tocca in rete. Un attimo prima del tocco a rete, l'arbitro fischia in seguito alla segnalazione del guardalinee Mazzei di un inesistente fuorigioco. E' difficile immaginare che l'attaccante bianconero, senza il segnale acustico, avrebbe fallito.

Questa la gara sul campo, dove la Juve incamera solo un punto. Ma nelle retrovie dello stadio si gioca un'altra partita, che definire vincente, per quel che si vedrà negli anni a venire, è un eufemismo: una delegazione capeggiata da Giraudo trova l'accordo con lo staff rossonero: la Juve verserà 10 miliardi ai rossoneri, ricevendo in cambio la prestazioni di Edgar Davids. Per il Milan, dal punto di vista economico, è un affare, dato che poco più di un anno prima l'aveva ingaggiato a parametro zero. Ormai il giocatore, fermo da mesi in seguito a un grave infortunio (23 febbraio, Perugia - Milan, scontro con il portiere Bucci), si era inimicato Capello a causa del suo non facile carattere. La stampa sottolinea il "successo economico" del club di via Turati. Ma per la Juve, dal punto di vista tecnico, è molto di più: un ennesimo capolavoro di mercato della gestione Triade. E Davids ci metterà poco per dimostrarlo.

A San Siro va in scena una bianconera lezione di sport
"La Juve ha stradominato nel primo tempo: ha mostrato senza pudore la sua superiorità mentale, direi la sua collaudata cultura da primato. Noi le grandi sfide siamo abituati a giocarle così: attaccando, senza guardare in faccia a nessuno. Il senso della partita imposto dai bianconeri era questo. E l'Inter ne usciva male: timida, rattrappita, incapace di rovesciare quel fronte dove la Juve imperversava con la sua impressionante forza dinamico - muscolare.

Ritmo folle, aggressività stordente. Davids, Torricelli, lo stesso Conte frantumavano in partenza ogni tentativo di un'idea da parte degli avversari."  Queste parole, pubblicate il 5 gennaio 1998, e cioè il giorno dopo lo scontro diretto vinto a San Siro dall'Inter 1-0, non uscirono dalle gole degli ultras bianconeri in curva a Milano, ma le scrisse sulla Gazzetta dello Sport colui che 8 anni dopo patrocinerà l'espressione "Moggiopoli", e cioè Candido Cannavò. Stiamo parlando dunque del primo scontro diretto del campionato dei piagnoni, quello che si svolse a San Siro, la sera del 4 gennaio 1998. Prima della partita, si celebra il Pallone d'Oro assegnato da France Football a Ronaldo, che ha sbaragliato la concorrenza del "madrileno" Mijatovic e dello juventino Zidane.

Poi la parola passa al campo, dove, come descritto da Cannavò, la Juve prende subito il comando delle operazioni, con un pressing continuo guidato di un Davids che giganteggia a centrocampo e un movimento senza palla che, sia per via laterale sia centralmente, costringe l'Inter a un costante affanno. Il presunto astro nascente della fascia nerazzurra, Sartor, viene surclassato da Torricelli, che Lippi avanza a sorpresa a centrocampo, mentre il neo-Pallone d'Oro è abbandonato ai pochi palloni giocabili che arrivano: in tutto il primo tempo l'Inter produce solo un tiro da fuori di Simeone (30'), e a innescare il Fenomeno è solo un goffo tocco di testa all'indietro di Ferrara, con Ronaldo che riesce ad anticipare Peruzzi in uscita e il portiere che devia in angolo.

Per il resto, la partita è saldamente in mano a capitan Conte e compagni, che sfoggiano una condizione atletica superiore e spostano continuamente in avanti il gioco. West sciupa all' 11' la prima possibilità di andare in contropiede, ma è un fuoco fatuo, perché è la squadra di Lippi a guidare le danze, con Del Piero mobilissimo, Conte e perfino Ferrara svelti negli inserimenti. Almeno 3 le grosse occasioni della Juve: al 14' c'è un grande slalom di Torricelli sulla destra, supera un paio di uomini, serve Del Piero che apre benissimo a Davids sulla sinistra: gran tiro in corsa che Pagliuca respinge di pugno.

La partita è tutta della Juve, che al 17' confezione un'azione magnifica: Zidane allunga a Del Piero, che dalla linea di fondo calibra un millimetrico traversone sul quale Conte si avvita per una spettacolare sforbiciata; sembra gol, invece all'ultimo, a portiere ormai battuto, West riesce a ribattere, poi sulla respinta arriva per primo Ferrara che fa partire una gran botta che Pagliuca riesce a parare. Al 28' Bergomi atterra al limite della propria area un Davids scatenato, ma la conseguente punizione di Del Piero finisce in angolo; dalla bandierina batte Zidane, la palla piomba sotto porta dove Del Piero devia a colpo sicuro da posizione ravvicinatissima, ma Pagliuca fa il miracolo. Al 34' una mano un po' troppo larga di West fa cadere Del Piero in area nerazzurra, ma Braschi fa segno di continuare.

Il verdetto del primo tempo sembra lasciare l'Inter annichilita: Moriero non si è notato, Ronaldo ha toccato un paio di palloni, Djorkaeff è soverchiato dal ritmo degli avversari. In sostanza, si è giocato nella metà campo nerazzurra e si son viste solo le maglie bianconere. La Juve può solo rammaricarsi di non aver concretizzato le occasioni create.

E' stata anche una lezione di tattica da parte di Lippi, che ha schierato un dispositivo insolito, con tre difensori fissi: Birindelli, Ferrara, Montero; a centrocampo, da destra a sinistra, Torricelli, Conte, Davids e Iuliano (che segue Moriero); Zidane a fluttuare tra loro e le due punte Inzaghi e Del Piero. Nell'intervallo, Simoni risponde togliendo il disastroso Sartor per Fresi, che mette su Zidane. Mossa azzeccata, perché non solo Zidane nella ripresa sparisce, ma soprattutto, non c'è quasi il tempo di rimettere la palla al centro per la ripresa delle ostilità, che sulla fascia destra d'attacco nerazzurro Ronaldo prende palla, elude con uno scatto Iuliano e Montero, inventa un diagonale rasoterra che anticipa il rientro della difesa juventina e trova pronto Djorkaeff alla deviazione vincente.

E' il 2' e con una magia del Fenomeno la partita prende una piega a quel punto sbalorditiva. Al 5' Zidane smista di testa un'ottima palla in area a Del Piero, che però sbuccia il pallone e Pagliuca ringrazia. In realtà la Juve subisce il colpo e la squadra di Simoni si rivitalizza, procurandosi un'altra occasione per Ronaldo sventata da Ferrara. Allora Lippi corre ai ripari: Di Livio e Fonseca per Iuliano e un opaco Zidane. Il primo va a destra, con Torricelli a sinistra; il secondo surroga il francese per compiti e ruolo. Risponde Simoni, spostando Fresi libero e Bergomi su Fonseca. Poi, quando al 23' Fresi esce per infortunio, Simoni mette Bergomi libero e il nuovo entrato Colonnese su Fonseca, al che Lippi sostituisce Conte con Tacchinardi e, per meglio arginare il contropiede, decentra Montero a sinistra con Birindelli al centro della difesa.

Lo scontro si fa intenso e in un paio di casi la Juve viene fermata da discutibili decisioni arbitrali: al 25' Fonseca se ne va a destra, centro per Inzaghi che ha la meglio su Galante, dribbling e gol, che però non viene convalidato per un presunto fallo di mani in fase di controllo; in seguito alle successive veementi proteste, Superpippo viene anche ammonito. Lo stesso Inzaghi che era stato affossato in modo plateale ed evidentissimo in area da West nel tentativo di intervenire su un cross, con Braschi che aveva fatto proseguire. Il giorno dopo, sulla Gazzetta, leggiamo che Superpippo "indietreggia costringendo l'interista all'intervento scomposto".

Su youtube ci sono le immagini dei due episodi - https://www.youtube.com/watch?v=K3JGTAVndwM - ci si può fare un'idea, tenendo conto anche dei piagnistei nerazzurri nell'incontro di ritorno. Il finale è burrascoso. Simoni al 43' fa uscire Simeone e manda in campo Zé Elias. A centrocampo c'è uno scontro tra Tacchinardi e Cauet, col primo che tenta, senza riuscirci, di scalciare da terra l'avversario, il quale invece riesce a centrarlo nel basso ventre; così Braschi espelle Cauet e ammonisce Tacchinardi. I bianconeri ci provano fino alla fine del recupero di 5', ma ormai sono troppo lunghi e sfilacciati: Davids e Torricelli, i due giganti del centrocampo juventino, continuano a sorreggere la squadra, ma ormai è un assalto cieco e così la Juve perde un'imbattibilità che durava da 20 partite, iniziata la 28. giornata del campionato precedente (sconfitta interna per 3 - 0 contro l'Udinese). I bianconeri da allora avevano ottenuto 11 vittorie e 9 pareggi. L'Inter torna ad avere 4 punti di vantaggio su una Juve che viene raggiunta al secondo posto dall'Udinese. Perdere dopo una partita del genere - https://www.youtube.com/watch?v=hv7ALiFsR_M - a tratti entusiasmante, è difficile da accettare, è umano, ma nel dopopartita l'ambiente juventino mostra, oltre all'ovvio dispiacere, serenità e consapevolezza dei propri mezzi, lasciando da parte qualunque tentazione di cercare alibi o alimentare recriminazioni infantili.

Su tutte, valgano le parole di Del Piero: "Perdere dispiace sempre. Perdere così, poi, dispiace ancora di più. La sconfitta, infatti, è giunta al termine di una nostra partita buonissima. Peccato che si sia costruito tanto, ma che si sia anche sbagliato tanto. La differenza sta tutta qua: l'Inter è riuscita a concretizzare la sua occasione, noi non ne siamo stati capaci. E sì che ero quasi sicuro che il mio colpo di testa fosse entrato: invece è uscito, non so neppure io come mai. In ogni modo, l'ha spuntata l'Inter ed è questo che conta. Ora, ogni nostro discorso potrebbe apparire quasi una giustificazione". Gli chiedono se prova rammarico o rabbia: "Sì, sono sentimenti che si vivono, questi, con la consapevolezza che avremmo meritato un risultato diverso. Può sembrare una banalità, ma è solo un dato inconfutabile: il campionato è ancora lungo.

Di questa partita dobbiamo ricordare le tante cose positive che la squadra ha messo in mostra, senza dimenticare, naturalmente, che però, abbiamo perduto". Gli chiedono di Ronaldo, e anche qui Alex si dimostra un signore: "Chi l'ha vinta dovete essere voi a dirlo, mica io. Posso dire soltanto che prima della partita sono andato a complimentarmi con lui per la conquista del Pallone d'oro. Facendo un bilancio generale, direi che la partita ha mantenuto in pieno tutte le premesse di grande spettacolo e di forti emozioni. Consoliamoci, se vogliamo, con la nostra prestazione, ma diamo anche atto agli avversari di aver disputato una buona partita. Da come si erano messe le cose, era chiaro che chi sarebbe passato in vantaggio avrebbe avuto tantissime possibilità di condurre in porto la partita. Soprattutto perché avrebbe potuto giocare in contropiede".

Anche Simoni deve riconoscere i meriti degli avversari e, parrebbe strano per uno che ha appena vinto, i limiti della sua squadra: "Dobbiamo migliorare, sul piano della personalità la Juventus è ancora migliore di noi. Ha ragione Lippi nel dire che la sconfitta della Juve è immeritata. In effetti dopo quel primo tempo in cui ci hanno messo nell'angolo, posso ben comprendere il suo stato d'animo. E se qualcuno dei miei giocatori dice il contrario, sbaglia.  Nelle partite equilibrate capita spesso che decida un episodio. Lo abbiamo trovato noi con uno dei nostri tipici contropiede chiuso da quell'assist di Ronaldo a inizio ripresa e quindi non abbiamo rubato nulla. Ma trovo logico che il mio collega della Juve parli di sconfitta immeritata. Dobbiamo migliorare, ecco il verdetto di questo incontro. Sul piano tecnico ho avuto la conferma che la mia squadra vale quella bianconera, sul piano della personalità e dell'approccio alla partita invece siamo distanti. La Juve ha disputato un primo tempo di grandissimo spessore, nel quale ha confermato quanta sostanza ci sia dietro i suoi tre anni di successi. Noi invece, io per primo, non eravamo abituati a simili confronti di vertice e lo si è visto in quei primi 45' di enorme sofferenza".

PECCATO CHE, QUALCHE MESE DOPO, LA SPORTIVITÀ DIMOSTRATA DAGLI SCONFITTI DEL 4 GENNAIO VERRÀ RIPAGATA CON BEN ALTRA MONETA.

Un giornalista all’indomani della gara vinta contro la Juventus chiese a Moriero : “Non sentite di aver rubato la partita alla Juve ieri ? Non meritavate di vincere, lo abbiamo visto tutti. Cosa ne pensi vostra della vittoria ? ” Moriero rispose : “Nel calcio non sempre vince il migliore, siamo stati molto fortunati, ma non abbiamo rubato, noi abbiamo segnato e c’è andata bene”.

Quindicesima giornata. Reduce da un combattutissimo mercoledì di Coppa Italia con la Fiorentina, l'11 gennaio la Juve regola in casa il Vicenza con il minimo sforzo, senza lasciare una sola occasione da rete ad avversari in evidente soggezione. La sconfitta di San Siro non ha lasciato alcun segno.
Già in apertura la Juve va all'arrembaggio con un gioco piacevole ed aggressivo che il Vicenza fatica a contenere. Sfiorano il gol un vivacissimo Del Piero, Conte con uno dei suoi inserimenti e Ferrara che sfiora la traversa di testa su corner di Zidane. Spingono Di Livio da destra e Dimas da sinistra, e proprio il portoghese pesca Inzaghi oltre la linea della difesa vicentina. Quando Pippo cerca di accentrarsi, Dicara lo chiude con un ginocchio atterrandolo: rigore netto, che Del Piero trasforma con freddezza (27') alla destra di Brivio, realizzando il 17simo gol stagionale. Sia Alex che Inzaghi si gettano subito alla ricerca del gol della sicurezza. Il Vicenza si vede solo al 41' con una punizione di Ambrosini. La ripresa non offre grandi emozioni: la Juve controlla facilmente un Vicenza sfiduciato e cerca il raddoppio senza troppi affanni. Dopo i cambi di Lippi (Pecchia e Pessotto per Di Livio e Conte) e di Guidolin (Firmani e Ambrosetti per Baronio e l'evanescente Maspero), al 31' arriva il raddoppio con Ferrara mette dentro con una mezza girata la respinta di Brivio a una punizione di Del Piero. Il portiere vicentino, ostacolato, si arrabbia con l'arbitro, ma a torto, perché l'ostacolo era Canals, un suo compagno.

L'Inter riesce a mantenersi a + 4 grazie a un sofferto 0-1 a Piacenza, giunto grazie uno strepitoso acuto individuale di Moriero, ma il Piacenza avrebbe meritato almeno il pareggio. Nel primo tempo i nerazzurri stentano e i padroni di casa conquistano il centrocampo grazie all'ottima prova di Mazzola, Scienza e Piovani, con Bordin a fare diga per le avanzate di Simeone. L'Inter patisce il gran ritmo del Piacenza e non riesce a imporre la propria superiorità. Addirittura, si vede il vecchietto Vierchowod anticipare regolarmente Ronaldo, con le buone e a volte con le cattive. Nella ripresa l'Inter appare subito più intraprendente e Ronaldo si procura subito una punizione da ottima posizione, che poi Sereni gli para. Al 18' la prodezza di Moriero che compie uno slalom irresistibile fra quattro avversari e insacca nell'angolino. Il Piacenza non ci sta e va all'attacco: prima Vierchowod sfiora il palo di testa, poi anche Valtolina sfiora il bersaglio, ma soprattutto al 41' è Scienza ad andare vicino al pareggio, con un colpo di testa ravvicinato su cui Pagliuca compie un miracolo. Dopo un palo esterno di Moriero in contropiede e un'azione di Ronaldo che impegna Sereni, il Piacenza perde Mazzola, punito con un'espulsione un po' eccessiva per un fallo su Ronaldo.

Nonostante ciò, al 47' arriva l'occasione più grande per pareggiare: cross pericoloso da sinistra e Zanetti affossa Rastelli. Rigore netto, mentre la palla arriva a Murgita, a due passi dalla porta, che cerca di correggere a rete, ma Pagliuca compie l'ennesimo miracolo. I Piacentini protestano con veemenza, il vantaggio non è stato concretizzato, ma l'arbitro non concede il penalty.

Negli spogliatoi, Rastelli non ha dubbi: "L'arbitro ci ha detto che non ha fischiato il rigore perché ha concesso la regola del vantaggio, ma se poi non c'è il gol, che vantaggio è?". Come lui Piovani: "Certi rigori si danno, sempre". Vierchowod: "Regola del vantaggio? Non esiste. Quel rigore c'era, ho visto una spinta di Zanetti. Comunque l'Inter me l'aspettavo così: si fa attaccare perché davanti ha giocatori che possono risolvergli sempre la partita. E poi è il loro anno, ormai s'è capito. La marcatura su Ronaldo? Mi ha aiutato molto tutta la squadra e comunque, anche se ho 17 anni più di lui, un po' di velocità mi è rimasta...". Reduci da un'umiliante 0-5 nel derby di Coppa Italia, grazie a 3 punti ottenuti con molta fortuna, i nerazzurri s'illudono di essersi ripresi dallo shock infrasettimanale. In realtà, hanno sofferto molto, suscitando le solite perplessità sul piano del gioco. Tanto è vero che, oltre a Moriero, l'altro protagonista della giornata è stato Pagliuca.

Per commentare la vittoria della Juve a Bologna, la penultima giornata d'andata in programma il 18 gennaio 1998, lasciamo volentieri la parola all'inviato della Gazzetta dello Sport: "Troppo forte questa Juve, ridisegnata per l'ennesima volta da Lippi, per questo Bologna orfano di tutto, non solo della fantasia del suo uomo guida, ma anche di quelle componenti necessarie per fare una squadra di calcio. Nel primo tempo un pubblico incredulo aveva la sensazione di assistere ad un allenamento dello squadrone contro una servizievole formazione di allievi. C'è da dire, a parziale scusante del Bologna, che la Juve attuale mette paura. La sosta natalizia è come se avesse ricaricato le pile a tutti i bianconeri. Il primo tempo con l'Inter a San Siro era stato un segnale chiaro, non illusorio. Era mancato il gol, poi la prodezza di Ronaldo in combinazione con Djorkaeff aveva annacquato i progressi enormi evidenziati invece ampiamente ieri. C'è uno strapotere fisico che lascia allibiti da parte di tutti gli juventini. Persino Di Livio, che dopo l'infortunio appariva appannato, è tornato a muoversi con la sua consueta alacrità, corre anche Zidane, ma soprattutto Inzaghi e Del Piero appaiono incontenibili. Quest'ultimo ha costituito certamente la sorpresa più eclatante: ha sfornato numeri su numeri a velocità superiore. Il suo genio irrorato da scatti, guizzi e corse travolgenti. In parole povere, incontenibile." Sentiamo anche il parere del tecnico del Bologna, Renzo Ulivieri: "Juve mostruosa, troppo forte: fin dall'inizio ci ha superati sul piano fisico e tecnico. Dopo 20' non c'è stata più partita. E poi Del Piero e Inzaghi sono stati semplicemente meravigliosi. Nella ripresa ho portato l'attacco più avanti e anche noi abbiamo fatto qualcosa di buono". E infine uno dei futuri accusatori della "cupola moggiana", il presidente Gazzoni Frascara: "Abbiamo perso contro una grande Juve".

Poco da aggiungere, dunque, se non che, rileggendo queste parole, l'1-3 finale (Inzaghi al 11' e al 20', Del Piero 59', Kolyvanov 93') sembra addirittura riduttivo. A San Siro, invece, proprio nel giorno in cui si sarebbe dovuta laureare campione d'inverno con una giornata d'anticipo, l'Inter crolla in casa col Bari, confermando tutti i dubbi sulle condizioni di forma e le perplessità delle ultime uscite. A batterla è un Bari reduce da una striscia di 4 partite senza sconfitte, l'ultima delle quali proprio a San Siro contro il Milan.

E' vero che per tre quarti di gara l'Inter non rischia mai, ma più che altro per l'atteggiamento rinunciatario del Bari, dove il promettente Zambrotta non affonda e Masinga e Guerrero non creano grandi problemi alla retroguardia nerazzurra. L'apparente rassegnazione degli ospiti illude la capolista, che spreca 3 palle gol con Ronaldo nei 6' iniziali, mentre Zanetti per poco non replica la prodezza di Moriero a Piacenza. In verità, per tutto il resto della gara, l'Inter si dimostra arruffona e inconcludente, e al 77' Masinga la punisce, prima anticipando di testa West su cross di Volpi, poi ribadendo a rete la corta respinta di Pagliuca. La reazione dell'Inter è velleitaria e per poco non arriva il raddoppio degli ospiti con Volpi. Nel finale, Moriero e persino Pagliuca, salito per un calcio d'angolo, non riescono a riacciuffare il pareggio.

Così, a una giornata dalla fine dell'andata, la Juve si porta a -1, annullando gli effetti dello sfortunato scontro diretto. "Bisogna rivedere qualcosina. Non si deve puntare solo su Ronaldo", commenta Moratti. Pagliuca, invece, non resiste alla tentazione di evocare le solite risibili recriminazioni arbitrali: "Quel gol era irregolare, ma è stata più irregolare l'Inter. Avevo la mano sopra il pallone, poi Masinga ha calciato." La sua protesta non ha alcun fondamento, perché quando Masinga gli ruba la palla per spingerla in rete, non ha il possesso del pallone. Continua Pagliuca: "Inter depressa? Depressa non direi, ma sicuramente neanche su di morale. Se questa è stata e sarà una brutta botta ve lo saprò dire domenica prossima, dopo la partita di Empoli. Intanto si può già dire che è in questi momenti che si vede se e quanto una squadra è davvero una grande squadra: bisognerà essere bravi e reagire, si ricomincia un po' daccapo".

E puntualmente, la settimana dopo, la reazione non arriva. E' il 25 gennaio, si gioca l'ultima d'andata, e per laurearsi "campione d'inverno" l'Inter deve espugnare Empoli. Ricorriamo ancora a un inviato della Gazzetta: "[...] Dopo i complimenti agli uomini di Spalletti per la loro superiore velocità, con un'idea di gioco di squadra che i nerazzurri non forniscono mai e con una serie di prestazioni individuali di rilievo, da Fusco a Tonetto, da Esposito a Cappellini, diventa spiacevolmente doveroso mettere il dito nella piaga dei tanti, troppi, mali di questa irriconoscibile Inter, che chiude in grave affanno un gennaio di poche luci e molte ombre."

Infatti, l'Empoli va subito in vantaggio, al 3', con una deviazione volante di Esposito su cross di Bianconi, e l'Inter non si riprende più. "Priva di orgoglio, perché priva di forze e di brillantezza atletica, la squadra di Simoni è tutto fuorché una squadra, anche se nella circostanza il tecnico, nel lodevole tentativo di imporre la propria superiorità, corregge l'Inter sul modello della Juve. Fuori un difensore - Galante - ecco un attaccante in più - Branca - come nuova "spalla" di Ronaldo, con Djorkaeff travestito da Zidane a galleggiare tra le due punte [...] Ma, al di là del nuovo assetto tattico, l'Inter fallisce sul piano individuale, perché a parte il rientrante Winter che ingaggia un bel duello con Bonomi, tutti gli altri fanno scena muta. [...] Così mentre tutti i nerazzurri portano la palla rallentando la manovra, l'Empoli corre, gioca e spreca più volte la possibilità di raddoppiare: con Esposito che manca l'aggancio da ottima posizione; con Bonomi la cui girata finisce fuori di poco; e con Cappellini la cui deviazione di testa è troppo alta. Tutti aspettano il risveglio di Ronaldo, ma ogni volta che gli arriva la palla, come quando viene smarcato alla perfezione da Branca, il brasiliano sbaglia nel peggiore dei modi, non riuscendo neppure a tirare!".

E dopo aver sfiorato più volte il raddoppio, i toscani chiedono invano l'espulsione di Bergomi per un intervento da ultimo uomo su Cappellini. Lo stesso copione nella ripresa, dove i padroni di casa colpiscono anche un palo, finché, a pochi minuti dalla fine, l'appena entrato Recoba pesca un jolly incredibile, sorprendendo da 50 metri il portiere empolese Roccati. L'Inter conquista immeritatamente un punto, ma perde la testa della classifica in virtù del concomitante successo casalingo della Juve con l'Atalanta. Nonostante un terreno in pessime condizioni, e malgrado un Atalanta molto combattiva, che non concede un metro, soprattutto nella propria metà campo, riuscendo a limitare i pericoli nel primo tempo (la prima occasione arriva solo al 45', con una bellissima girata al volo di Inzaghi), nella ripresa la Juve stringe letteralmente d'assedio gli ospiti. Gli Orobici resistono 10 minuti, poi Mirkovic abbatte in area Inzaghi che sta deviando a rete un traversone di Del Piero: rigore netto, che però Alex si fa deviare in angolo da Fontana. Fa nulla, l'assedio continua, e al 20' Davids s'incunea in un nugolo di avversari, libera Del Piero che, invece di concludere, serve per l'accorrente Conte, che dal dischetto del rigore spedisce in rete, superando anche l'opposizione di Inzaghi, la cui posizione di fuorigioco passivo suscita proteste negli ospiti. I quali però in seguito, nell'unica azione d'attacco di tutta la gara, riacciuffano il pareggio con Caccia, a 20 minuti dalla fine. Nuovo assedio della Juve, diretto da un magistrale Zidane, che già poco dopo il pareggio ristabilisce le distanze deviando di testa un traversone di Di Livio e nel recupero trafigge Fontana con un bolide dei suoi, per il 3-1 finale. "A questo punto tutti s'inchinavano, Atalanta compresa, a tanta Juve", conclude il suo pezzo l'inviato della Rosea.

A questo proposito, così celebra i campioni d'inverno Candido Cannavò, il futuro fustigatore di "Moggiopoli": "Il Fenomeno? Adesso è Lippi Se si potessero vedere in parallelo, come avviene nel replay di certi slalom, la Juve e l'Inter di ieri, si realizzerebbe la rappresentazione teatrale del sorpasso sul traguardo d'inverno. Da una parte una vera squadra, dall'altra una vera pena attorno al tenero, irriconoscibile Ronaldo. La Juve ha macinato un'Atalanta tutt'altro che remissiva, l'Inter a Empoli (complimenti ai poveri) macinava le proprie ambizioni lanciando vacui palloni verso l'uomo della provvidenza, diventato di colpo un oggetto misterioso. Al cospetto di questa doppia immagine, il sorpasso della Juve trova logica, senso di giustizia e ovazioni. Zidane firma per tutti, con due gol, l'operazione che cambia faccia a un campionato tutto da godere. Pur incantati da Ronaldo, siamo stati tra i primi a segnalarne la vulnerabilità tecnica e umana. La straordinaria frenesia atletica del suo gioco, con quelle immagini che scappano via in una scia di stupore, si basa su una magica "freschezza perenne" che poco si concilia con gli straimpegni e le tentazioni cui il ragazzo è sottoposto. Ronaldo è tipico individualista naturale. Se i muscoli pompano, è capace di tutto. Se le fibre muscolari sono in affanno, anche la mente si spegne. Si può puntare una stagione di vertice soltanto su un ragazzo di 21 anni, fenomenale per quanto sia? L'Inter è dinanzi a questo inquietante interrogativo. "Buttate la palla avanti, tanto ci pensa lui". Lo slogan tramonta. Simoni ci ha provato, ma il gioco dell'Inter non è cambiato. Il benedetto "più Ronaldo" è diventato un deprimente "meno". Nell'abissale distanza piomba la Juve: squadra dalla testa ai piedi. Il Fenomeno? Lippi. L'Inter da primato non finisce a Empoli. E' bello immaginare che ricominci con gli strilli di Moratti e con il gol "mostruoso" di Recoba: nuovo confine alle meraviglie del calcio."
Ma nel girone di ritorno Recoba non si ripeterà più. Tutt'altro discorso, invece, per gli strilli evocati dal profetico Candido. Anche se non nel senso che intendeva lui.

L’inizio del girone di ritorno si apre per la Juve a Lecce con la quarta vittoria consecutiva, oscurata però da un grave infortunio a Ferrara, una doppia frattura a tibia e perone al 20’ del primo tempo in seguito a uno scontro con Conticchio, che gli precluderà il seguito della stagione. Il sostituto del difensore bianconero, Mark Iuliano, sbloccherà anche il risultato, ma l’assenza di Ferrara si farà sentire nel seguito del campionato.
I salentini in tutta la partita tirano solo una volta in porta, all'8' del primo tempo, su punizione di Giannini respinta da Peruzzi. Comunque, i bianconeri nel primo tempo creano poco, con Zidane e Del Piero a bassi giri e Inzaghi che riesce a calciare solo un paio di volte verso Lorieri, mancando la porta. Si svegliano solo allo scadere del tempo: prima con Di Livio che da fuori costringe Lorieri alla deviazione in angolo, finché, in pieno recupero, Inzaghi smarca Iuliano che insacca da due passi. Nella ripresa, il Lecce non dà segni di reazione (mai un tiro, neppure fuori dello specchio della porta, né particolari sussulti), e quando al quarto d’ora resta in 10 per l’ineccepibile espulsione di Giannini, si capisce che è la resa definitiva.
Così la Juve la fa da padrona fino alla fine, si sveglia anche Zidane, che offre a Inzaghi un’occasione d’oro miracolosamente neutralizzata da Lorieri. Poi Conte e ancora Inzaghi falliscono il raddoppio, finché allo scadere è Del Piero, su assist di Inzaghi, a chiudere la partita.
La partita ha anche una coda sgradevole: all’uscita dallo stadio, la macchina del DG Moggi guidata da Armando Aubry (autista di fiducia che finirà intercettato nel 2006-2007 in Calciopoli 2), subisce l’assalto di teppisti locali che distruggono i vetri (l’osservatore Galletti, seduto dietro, ne sarà leggermente ferito) e rubano un telefonino.

Per il momento, l’Inter riesce a tenere il passo della nuova capolista vincendo a Brescia, con l'esordio dell'acquisto di gennaio Paulo Sousa, reduce della Juve del primo scudetto dell'era Triade e vendicativo ex nella finale di Monaco, che si rende protagonista di una discreta prestazione che illude i nerazzurri di aver trovato il bandolo della matassa a centrocampo. Partita non bellissima, ma sempre viva. Primo tempo equilibrato, con un Brescia vivace che tenta di prendere d'infilata gli ospiti, Hubner in versione gladiatore, attivo sia in attacco, quando sfiora il vantaggio con un pallonetto da posizione molto angolata, sia in ripiegamento, quando salva sulla linea di porta da una girata di Ronaldo. Oltre a lui, si distinguono tra le rondinelle Banin e il giovane Pirlo, che mettono in costante apprensione la difesa ospite. Nella ripresa il Brescia cala e l’Inter comincia a farsi più pericolosa, anche se, secondo copione, solo in azioni di contropiede, come nel caso del gol della vittoria, allorché Simeone ruba palla a centrocampo, dà a Cauet (subentrato a Sousa) che allunga a Recoba sulla sinistra che pennella un cross che scavalca Cervone e consente a Ronaldo di appoggiare di testa nella rete sguarnita. I padroni di casa hanno una reazione veemente, anche grazie all’ingresso di Diana e Bonazzoli, oltre che grazie all'espulsione di Moriero (doppia ammonizione in 3'), con l'Inter che si affida al contropiede. Il finale è incandescente, sempre in bilico, ma di occasioni davvero clamorose i padroni di casa non riescono a crearne.

Alla seconda di ritorno, in programma l’8-2-98, c’è Juve – Roma, e la vigilia viene preceduta dai soliti veleni provenienti dalla capitale. Sebbene non subito brillante come nelle gare precedenti, la Juve risulta molto più incisiva in attacco degli ospiti indottrinati dal verbo zemaniano, e tranne qualche incursione di Paulo Sergio, i giallorossi non si fanno mai vedere dalle parti di Peruzzi, tranne nell’occasione in cui è costretto a bloccare un colpo di testa di Di Biagio. I bianconeri sfiorano invece ripetutamente il gol con Inzaghi; in due casi neutralizzato da Konsel, mentre nell'altro è Superpippo a sparare malamente fuori un tiro più facile da segnare che da sbagliare. Insomma, la Juve gioca molto meglio della Roma, esibisce una netta superiorità di gioco e di ritmo, finché al 47’ una percussione di Torricelli, perfezionata dai Conte prima e Inzaghi poi, viene trasformata in gol da un onnipresente Zidane. La ripresa inizia col raddoppio di Del Piero al 4’, che sancisce al differenza di valore espressa dalle due contendenti. A quel punto i padroni di casa hanno un improvviso rilassamento e la Roma un’impennata d’orgoglio, così al 12’ Paulo Sergio dimezza lo svantaggio. 3’ minuti dopo gli ospiti reclamano anche il calcio di rigore per un fallo in area di Deschamps su Gautieri. Nessuno si accorge che il romanista viene lanciato in posizione di fuorigioco, come documentato solo tempo dopo da una misconosciuta trasmissione locale, ed esplode la rabbia degli ospiti, per altro, come detto, fomentata in settimana dai soliti veleni anti-Juve del tam tam romano. Per 5 minuti l’arbitro Messina non riesce a tenere a bada gli eccessi in campo: prima risparmia Zidane e Petruzzi da una possibile espulsione per reazione l’uno e pesante scorrettezza l’altro, poi sempre Petrucci, non sazio, commette un’ennesima entrataccia da dietro e viene cacciato. Al 20’, Davids chiude la partita con un bellissimo rasoterra, consacrando per altro la sua strepitosa rinascita come giocatore, una rigenerazione che ha del prodigioso dopo la fallimentare esperienza milanista. Sul 3-1, con gli avversari in 10, la partita praticamente è chiusa. La Roma reclamerà molto per quel rigore non dato, nato da un fuorigioco non rilevato; comunque, al di là degli episodi, si è dimostrata troppo prudente, poco incisiva senza Totti, e non ha mai dato l'impressione di essere in grado di creare veri grattacapi alla difesa bianconera. Intanto, a Milano, si consuma un nuovo dramma nerazzurro. L’Inter cade in casa col Bologna ed esce tra i fischi del pubblico, pesantemente contestata, dimostrando che la vittoria di Brescia era solo un fuoco di paglia. La vittoria rossoblù è ineccepibile, anzi, il risultato appare striminzito per i meriti emiliani, che per qualità di gioco e occasioni create sono gli unici a poter recriminare, volendo. Prima del gol del successo, il Bologna colpisce due traverse e nel finale sfiora anche il raddoppio. L’Inter, invece, crea il primo tiro in porta solo al 21’ della ripresa, 9’ minuti dopo il primo calcio d’angolo conquistato. Si salva solo Pagliuca, che compie vari interventi importanti. Per giunta, nell’ultima mezz’ora i padroni di casa non riescono nemmeno a sfruttare la superiorità numerica, dopo l’espulsione di Tarantino per doppia ammonizione, dopo un fallo su Sousa. L’Inter si dimostra priva di grinta, velocità, spenta sul piano atletico. Galante soffre Andersson, Sartor e West faticano a contenere Kolyvanov e Baggio; a centrocampo, Sousa e Winter balbettano, e sulle fasce Zanetti e Recoba sono privi di accelerazione e fantasia; Djorkaeff e Ronaldo ricevono poche palle, e le poche le sbagliano regolarmente.  Già al 20’ del primo tempo l’Inter era stata graziata da Andersson che colpisce la traversa. Allo scadere del primo tempo il Bologna sfiora il vantaggio prima con un gran colpo di testa di Andersson di poco a lato, poi con una deviazione aerea di Kolyvanov, che costringe Pagliuca al miracolo. Nell’intervallo l’Inter non si sveglia e Andersson colpisce in avvio di ripresa il secondo palo. Al 7’, finalmente, il sacrosanto vantaggio ospite, grazie a Baggio che imbecca da destra Paramatti che infila Pagliuca da pochi passi. Nel restanti 38’, tranne una bella girata di Cauet che impegna Sterchele, l’Inter non combina nulla, mentre il Bologna sfiora il raddoppio con un assist di Nervo per Andersson che non concretizza per un soffio. Al fischio finale, i tifosi nerazzurri sono inferociti, cantano “a lavorare” e “Moratti, non li pagare”, più altri inviti di varia natura. Così commenta la Gazzetta: “E l'Inter di Ronaldo, l'Inter del Fenomeno, l'Inter dell'anno buono esce a testa bassa, trascinando i piedi, insultata, offesa, sbertucciata: spettacolo desolante. Inter sgonfiata, intontita e triste, come la nuova classifica, come la faccia di Gigi Simoni.” In casa Inter, i commenti vengono di conseguenza. L'avvocato Prisco, scuotendo la testa e con un filo di voce: "Moratti non dovrebbe pagarli per davvero". Moratti: "Non c'è stata un'azione”. E su Ronaldo: "E' l'ultimo che deve toccare il pallone. Ci sono tutti gli altri prima di lui, eppure non gli arriva una palla neanche a morire". Pagliuca: "Non abbiamo fatto un tiro, e quando non tiri in porta vincere è molto difficile. Di solito i portieri avversari da San Siro escono o con caterve di gol o con voti altissimi: oggi Sterchele non ha avuto nulla da fare. E' la prima volta che vedo una cosa del genere. Ma questa è stata la peggiore Inter della stagione. Una gara bruttissima, non possiamo attaccarci a niente.” La Juve è ora a +4, e per la differenza che si è vista ultimamente sono ancora pochi.

Terza giornata del girone di ritorno, 11 febbraio 1998, turno infrasettimanale: dopo 5 vittorie consecutive, la Juve ha una mezza battuta d’arresto a Brescia, costretta dai locali sul 1-1. La partita è bella e combattuta e la Juve, priva di Peruzzi e Conte (sostituiti da Rampulla e Di Livio) si conferma comunque squadra solida e in salute, frenata da un Brescia mai domo, lanciato verso una meritata salvezza. I padroni di casa danno il via alle danze con un ritmo frenetico, creando un paio di occasioni sciupate da Antonio Filippini, a cui risponde Montero con un colpo di testa di poco fuori bersaglio. E in finale di frazione Cervone compie un miracolo neutralizzando un colpo di testa ravvicinato di Inzaghi, servito da Torricelli. Al 7’ della ripresa la Juve passa grazie al solito Inzaghi, che trova il varco giusto sfruttando una punizione dalla destra di Del Piero. Un minuto dopo, l’arbitro Bettin non punisce un dubbio intervento in area di Montero su Hubner, riscaldando gli animi, tanto che Javorcic si rende responsabile di un brutto fallo su Davids, passibile di espulsione, ma anche qui il direttore di gara si dimostra clemente. Comunque, i padroni di casa continuano a cercare il pareggio e vengono meritatamente premiati al 28’, grazie a una punizione da destra di A. Filippini per la deviazione di testa di Savino. La Juve non ci sta e al 33’ Zidane inventa un’azione personale che si infrange sulla linea di porta, grazie al salvataggio disperato di Emanuele Filippini. L’ultima grande occasione per gli ospiti capita a Inzaghi, che gira a bene rete, ma Cervone riesce a salvare il pareggio. Negli ultimi minuti la Juve è sempre in attacco, ma non riesce più a pungere, così arriva il pareggio che accontenta entrambi.

Infatti, anche l’Inter pareggia a Firenze una trasferta molto temuta, anche per il momento negativo che sta attraversando. Simoni compie una piccola rivoluzione interna, accantonando il neo-arrivato Paulo Sousa e impostando la partita, ancor più del solito, secondo gli antichi dettami del catenaccio. West, Bergomi, Colonnese, Cauet, Milanese, Winter e Simeone s’incollano ai rispettivi avversari, Batistuta, Oliveira, Morfeo, Serena, Kanchelskis, Rui Costa e Schwarz. Insomma, alla Fiorentina il compito di fare gioco, all’Inter quello di neutralizzarlo e di cercare di sfruttare al meglio il solito contropiede, l'unica arma offensiva della stagione. I viola partono forte e si rendono pericolosi con Morfeo prima e Oliveira poi. Dopo i primi 20’ la spinta dei padroni di casa si affievolisce e l’Inter con Ronaldo si fa viva nella metà campo avversaria. Al 27’, grazie a una ripartenza di Cauet interrotta fallosamente al limite dell’area, sulla conseguente punizione Ronaldo fa secco Toldo. La Fiorentina si butta in avanti, gli ospiti cercando di punzecchiare in contropiede. Il pareggio arriva al 42’ con Batistuta, che devia in rete un lungo cross di Oliveira a scavalcare la difesa. Sull’onda dell’entusiasmo, Rui Costa rischia di raddoppiare prima dell’intervallo con una bordata da lontano, ma Pagliuca salva.

La ripresa comincia con i Viola protesi alla ricerca della vittoria. Batistuta ci prova al 3’ su punizione; un minuto dopo sfiora il gol M. Serena, che gira a rete una palla avvelenata grazie anche alla deviazione di un difensore nerazzurro. L’Inter fatica a uscire dal guscio, ci prova al 12’ con Ronaldo, che si procura un’altra punizione dal limite, che stavolta però finisce sulla barriera. I viola continuano ad attaccare, ma cominciano a sentire una certa stanchezza, e in contropiede l’Inter crea qualche pericolo, come al 26’, quando 3 nerazzurri si trovano ad affrontare solo 2 difensori viola, uno dei quali, Falcone, compie un salvataggio alla disperata. A 10’ dalla fine Malesani prova la carta Robbiati, che subito crea una clamorosa occasione, liberando Firicano a rete, ma il difensore spara alto sulla traversa. Al 40’, rilevando Djorkaeff, fa il suo esordio nel campionato italiano Kanu, ennesima pedina messa a disposizione di Simoni. Al 42’ l’ultima emozione: Ronaldo crossa lungo per Simeone defilato in area che viene ostacolato da Firicano, che poi, a palla lontana, gli dà una gomitata che l’arbitro Boggi non vede. C’è anche da dire che all’inizio della gara l’arbitro, sempre in area di rigore, non aveva visto nemmeno un calcio di Colonnese a Morfeo. Il commento finale di Moratti è amaro: "Abbiamo giocato per il pareggio, abbiamo avuto il pareggio. Del resto, un solo tiro in porta non può consentire di più, Formazione troppo rinunciataria? Questa cosa non dovete chiederla a me: io non faccio l'allenatore". Simoni, da parte sua, spiega che "il risultato è giusto" e che ritiene di aver mandato in campo "la formazione ideale per affrontare la Fiorentina, soprattutto perché era importante bloccarli sulle fasce".

Insomma, le ultime deludenti prestazioni hanno fortemente disilluso il presidente interista e, soprattutto, dopo aver accarezzato il sogno della fuga scudetto, deve prendere atto che una Juve bella e determinata sta prendendo il largo. Mentre l'Inter giocava male e pensava solo a difendersi, la Juve volava a + 4 in classifica praticando un bel gioco aggressivo e d'attacco.

I tifosi interisti che alla quarta di campionato (15-02-98) assistono a S. Siro al 5-0 dei propri beniamini con il Lecce, invece di festeggiare la rotonda vittoria, si dedicano alle prove generali dei piagnistei da inscenare per una sconfitta finale che da settimane leggono nelle deludenti prestazioni della Beneamata. Imbeccati da Roma, dove in settimana, dopo la sconfitta di Torino, la stampa giallorossa scatena la solita gazzarra immonda per il contatto Deschamps-Gautieri (ricordiamo che quest’ultimo era partito in fuorigioco). Al solito, nessuno minimamente considera l’aspetto tecnico di quella partita, altrimenti bisogna parlare della netta supremazia che la Juve ha dimostrato sul campo, e ciò non fa notizia. Un mese dopo, la Juve arriverà anche a chiedere i danni al Messaggero, nei panni dell’editore, del direttore responsabile Pietro Calabrese e del redattore sportivo Roberto Renga. Dunque, a Milano i tifosi nerazzurri, dopo aver contestato nelle ultime settimane le scadenti prestazioni dei loro beniamini, non esitano a raccogliere il testimone romano spostando le loro invettive contro la marcia sicura della Juve. In curva Nord campeggiano tre eloquenti striscioni: "Gli arbitri hanno dato il verdetto: alla Juve lo scudetto"; "Giraudo, Bettega, Moggi, dai fischietti solo appoggi"; "Juve, senza fischietto niente scudetto". Quando, dopo 3 minuti dall’inizio della partita, Djorkaeff cade in area per un banale contatto con Sakic e l’arbitro non fischia, San Siro esplode in bordate di fischi e cori anti-Juve. Fa niente se il Lecce è davvero poca cosa e ben presto arrivano i gol di Ronaldo, Milanese e Cauet, anzi, ridicolmente, una volta messo al sicuro il risultato, la curva comincia a cantare al ritmo di Guantanamera: "Senza rubare, vinciamo senza rubare". Il resto dello stadio applaude. Nel secondo tempo, altri due gol di Ronaldo, l’esordio a San Siro di Kanu, e un ennesimo striscione: "Juventopoli".

D’altronde, nel posticipo serale di Torino, dove è di scena la Sampdoria, la Juve fornisce l’ennesima prova di forza, carattere e classe, di fronte alla quale la pancia del tifoso piangina ha difficoltà a relazionarsi con sportività. La pratica viene chiusa nei primi 10 minuti grazie a una fantastica azione personale di Del Piero al 5’ e alla realizzazione di Inzaghi al 11’, su assist di Conte e precedente azione del solito Del Piero. La Juve, che crea anche altre occasione da gol, da quel momento in poi tiene facilmente in pugno la partita e la Samp non riesce mai a rendersi pericolosa. Da segnalare anche due espulsioni un po’ affrettate, quella del blucerchiato Laigle e quella di Iuliano (propiziata da una furbata di Signori), che creerà problemi per la trasferta di Firenze. Nella ripresa Fonseca arrotonderà il risultato, ma la Juve spreca molte altre occasioni in contropiede. 3-0 e tutti a casa. La settimana successiva l’Inter avrebbe una grande occasione per accorciare il distacco, perché una Juve rimaneggiata e acciaccata cade fragorosamente a Firenze, ma non sa approfittarne.

Per la quinta di ritorno in programma il 22 febbraio, Lippi si trova costretto a sopperire ad assenze importanti in difesa, così prova a mandare in campo una formazione imbottita di centrocampisti (Torricelli, Conte acciaccato e Davids, più Zidane e Pecchia a supporto dell’attacco) con solo Del Piero di punta, mentre Inzaghi viene tenuto in panchina. Dall’altra parte, Morfeo, Oliveira e Batistuta partono forte e mettono in difficoltà la linea difensiva costituita da Dimas, Montero, Tacchinardi e Birindelli, finché al 31’ Firicano a sblocca il risultato su pennellata di Morfeo. Passano 3’ e i viola raddoppiano, grazie a un’azione di Morfeo, bravo a liberare Oliveira che, dopo uno scambio con Batistuta, infila Peruzzi. I cambi dell’intervallo di Lippi (Deschamps per Conte e Inzaghi per Pecchia) scuotono la Juve, che sfiora ripetutamente il gol che riaprirebbe la partita con Inzaghi e Zidane e colpisce un palo con Del Piero. Ma fatalmente si espone al contropiede viola, che colpisce al 34’ con Robbiati, chiudendo la partita. Come detto però l’Inter non ne approfitta, e non per colpa degli arbitri, ma di una Lazio in gran forma, che dopo aver battuto pochi giorni prima in Coppa Italia la Juve, annichilisce i nerazzurri all’Olimpico, raggiungendoli anche al secondo posto. Molti i meriti di Eriksson, che è riuscito a trasmettere ai biancocelesti una filosofia di gioco più proficua di quella che tramite Zeman aveva caratterizzato le tre stagioni precedenti. Gli aquilotti impiegano meno di mezz’ora per sbarazzarsi dell’Inter, annichilita sia sul piano fisico che su quello tecnico. Il K.O., come nel caso della Juve a Firenze, arriva nel giro di pochi minuti: al 25’ con Fuser, che appoggia in rete un assist di testa di Boksic, su cross di Jugovic, e al 29’ con Boksic, che schiaccia di testa a rete una punizione di Fuser da destra.  L’Inter, in preda a una pochezza d’idee disarmante, non riesce a reagire. Tutto viene lasciato sulle spalle di un Paulo Sousa che, per nulla supportato dai compagni, riesce solo a tentare la carta della verticalizzazione per un Ronaldo marcatissimo e poco brillante. Un po’ meglio gli ospiti vanno nella ripresa, con Kanu per Djorkaeff, ma la traversa colpita da Moriero è un eccezione, perché per il resto non combinano nulla. La Lazio si limita ad amministrare la gara, finché nel finale Casiraghi triplica approfittando di un errore di disimpegno di Fresi.

La sesta di campionato è segnata da nuovi piagnistei, ma curiosamente stavolta sono gli interisti a subirli. La capolista e le inseguitrici giocano l’anticipo di sabato 28 febbraio, perché le attende il ritorno delle Coppe Europee. La Juve ospita il Bari, ma è già proiettata al confronto del Delle Alpi contro la pericolosa Dinamo Kiev dell’astro nascente Andriy Shevchenko, per i quarti di Champions League. Decide un tocco di Neqrouz al 19’, che devia nella propria porta un tiro di Inzaghi, poi i bianconeri amministrano il risultato, sprecando anche diverse occasioni per il raddoppio, in particolare due con lo stesso Inzaghi a tu per tu col portiere Mancini. Il Bari, benché combattivo, non riuscirà mai a impensierire Peruzzi, e quando al 10’ del secondo tempo resta in dieci per una doppia ammonizione di De Ascentis, per Lippi è il segnale che è l’ora di far riposare Deschamps, Del Piero e Dimas (sostituiti rispettivamente da Tacchinardi, Pessotto e Fonseca) in vista della Dinamo Kiev. A San Siro l’Inter riesce a mantenere il passo grazie a una vittoria (2-0) molto contestata dagli ospiti (il Napoli) per un poco edificante episodio capitato in occasione della rete dello svantaggio. Fino al 63’, minuto del fattaccio, l’Inter era stata ripetutamente contestata dal proprio stesso pubblico, poi succede che Galante interviene su Goretti che cade battendo la testa e rimane a terra. La palla inizialmente resta al Napoli, l’arbitro dà la regola del vantaggio, ma l’Inter se ne impadronisce e Moriero, mentre gli ospiti chiedono di mettere fuori per far intervenire i sanitari, scende sulla destra e crossa basso per Zamorano che con un bel colpo di tacco insacca. Mentre San Siro esulta, la panchina napoletana e gli azzurri in campo insorgono contro l’arbitro, che nella baraonda finirà anche per lasciarli in 10, espellendo Ayala. La partita, in pratica finisce lì: 10 minuti dopo arriva il raddoppio di Ronaldo su rigore e per il resto l’Inter potrà comodamente gestire il vantaggio, sfiorando anche il terzo gol. Così commenta, al termine del match, il DG del Napoli Antonio Juliano: "Hanno avuto poco fair play, quelli dell'Inter. Avrebbero potuto mettere la palla fuori per consentire ai sanitari di soccorrere il nostro giocatore. Invece, l'azione è proseguita. L'unica consolazione è che siamo riusciti a tenere testa a Ronaldo e compagni per più di un'ora. Nel primo tempo, non dimentichiamolo, è esistito soltanto il Napoli. Abbiamo creato anche un paio di opportunità come l'acrobazia di Stojak che ha sfiorato il palo. Peccato, avremmo meritato di uscire imbattuti da San Siro e di conquistare almeno un punto". Le recriminazioni dei napoletani, trasmesse domenica sera in TV, provocheranno il silenzio stampa dell’Inter.

Pochi giorni prima della settima di ritorno, il 4 marzo 1998 a Torino è prevista l’andata dei quarti di finale di Champions League, dove la temutissima Dinamo Kiev del nascente astro Andriy Shevchenko riesce a strappare un insidioso 1-1 alla Juve (che interrompe così una serie di 10 vittorie europee interne consecutive). In realtà quella sera Sheva manco si vede, perché gli ucraini del colonnello Lobanovsky ricorrono a un catenaccio d’altri tempi e la partita è giocata solo dai bianconeri, che sbagliano diverse occasioni, reclamano 2 rigori, ma, sul rovesciamento di fronte seguito a una traversa di Del Piero, vanno in svantaggio nell’unica occasione degli ospiti (che poi reclamano un rigore pure loro), riacciuffando in extremis il pareggio con Inzaghi (che poi sfiora il raddoppio). La partita di Champions frena la marcia in campionato, che prevede, per la settima giornata in programma l'8 marzo, la difficile trasferta di Udine, che si rivelerà una gara molto tattica e avara di occasioni da rete. Nel primo tempo, per la Juve una sola di Del Piero su punizione, mentre l’Udinese ne crea due, fallite da Bierhoff. Nel secondo un gol per parte e il forcing finale della Juve dopo lo svantaggio giunto alla mezz'ora grazie a un cross di Bachini sfiorato con fortuna da Bierhoff; il pareggio di Del Piero arriva all'89', su assist di Fonseca, al termine di un forcing che aveva già portato Conte a fallire un occasionissima solo davanti a Turci. Un punto importante, considerata la contemporanea sconfitta dell’Inter a Parma, dove al 22’ della ripresa Ronaldo, sullo 0-0, spreca un autentico regalo dell’arbitro Rodomonti, che concede ai nerazzurri un tiro dal dischetto per un chiaro anticipo sulla palla di Zé Maria su Ronaldo; dagli 11 metri il Fenomeno è tutt’altro che fenomenale (ricordatevene quando scriverò di Juve-Inter 1-0) e Buffon respinge. La partita, comunque, è molto piacevole e combattuta, con occasioni da entrambe le parti. Dopo l’errore degli ospiti, il Parma prende in mano la partita, e dopo un salvataggio sulla linea di Zanetti su conclusione di Thuram, arriva al 33’ il gol di Crespo su azione di calcio d’angolo. Significativo che ciò avvenga poco dopo il vantaggio di Bierhoff a Udine, quasi a sancire la resa nerazzurra che finisce a -5 e viene scavalcata al secondo posto dalla Lazio.

Ma la settimana dopo, ottava di campionato, la Juve ha un'inattesa battuta d’arresto interna col pericolante Napoli. Un interista si attaccherebbe alle attenuanti, come l’imminente e complicato ritorno di Champions a Kiev che distrae i fantasmatici Zidane (sostituito per la disperazione da Pecchia nell’intervallo), Inzaghi e mezzo centrocampo, o la difesa raffazzonata oltremisura (oltre Ferrara, mancano Iuliano e Torricelli). La realtà è che, nonostante tutto, la vittoria, seppur di misura, al 90’ la Juve ce l’aveva in pugno, solo che, per un'imperdonabile calo di tensione, si è fatta raggiungere in pieno recupero e con gli avversari in 10. L’unico bianconero in giornata è Del Piero, che allo scadere di un primo tempo a basso ritmo segna il gol del vantaggio con una splendida azione personale. Inzaghi manca più volte il colpo del KO, finché al 24’ della ripresa arriva il pareggio di Turrini. Allora entra Zalayeta che dopo 4’ riporta la Juve in vantaggio, deviando di testa un cross di Di Livio. Un minuto dopo il libero azzurro Goretti viene cacciato per doppia ammonizione e la storia sembra finita, ma nel recupero arriva la beffa di Protti, bravo ad aggiustarsi il pallone di destro e a superare Peruzzi con uno splendido sinistro a effetto. Nello stesso momento, San Siro si festeggia il novantesimo compleanno dell’Inter con una netta vittoria sull’Atalanta, un 4-0 che però non racconta compiutamente la partita, che per un’ora, secondo la gazzetta, è stata: “1) assonnata a volerne parlar bene; 2) insulsa a essere obiettivi; 3) tragica se Simoni vi sta sull'anima. Statica e lenta, l'Inter annaspa finché Rustico, con un intervento alla Bruce Lee su Ronaldo, le regala la superiorità numerica.” Dopo l'espulsione di Rustico, Simoni mette Kanu per Colonnese, mentre dall’altra parte Mondonico fa arretrare il baricentro degli ospiti al limite dell’area, ciò nonostante al 19’ è l’Atalanta a sfiorare il vantaggio con un vertiginoso contropiede di Cappioli che, solo davanti a Pagliuca, gli passa ignobilmente il pallone. Sarà Moriero a sbloccare il risultato poco dopo, e a quel punto la gara diventa un tiro al bersaglio a cui partecipano Kanu, Ronaldo e Cauet. Dopo il terzo gol, segnato dal Fenomeno, anche Dundjerski si fa espellere per proteste verso l’arbitro De Santis, quello della presunta cupola Moggiana e anti-Inter, che però chissà perché per quella partita venne descritto dalla Gazzetta come “veramente casalingo”. Grazie al pareggio interno della Juve, Lazio e Inter si portano rispettivamente a 2 e 3 lunghezze dalla capolista.

Nel difficile ritorno dei quarti di Champions in programma a Kiev il 18 marzo dopo il beffardo 1-1 di Torino, la Juve domina ancora nel gioco e stavolta anche nel risultato, passando in vantaggio al 28' con un gol straordinario, frutto di un'azione Del Piero-Zidane che smarca Inzaghi solo davanti alla porta. Raggiunta da un gol di Rebrov, la Juve si scatena: segna altre due volte con Inzaghi e poi del Piero firma il 4-1 che spalanca le porte della semifinale col Monaco. Il 22 marzo, in campionato, per la nona di ritorno è attesa da una trasferta insidiosa a Parma, dove le fatiche di coppa si fanno sentire. Il primo tempo è disastroso, la Juve va sotto di due gol, ma riuscirà a raddrizzare il risultato nella ripresa. Così l'inviato della Gazzetta dello Sport: “Ci vogliono doti speciali per tirarsi fuori dal baratro nel quale era precipitata e la Juve le ha esibite ancora una volta. Sono doti di carattere e di esperienza che il complesso ha acquisito da tempo e che fanno la vera differenza con le rivali”. Il doppio vantaggio parmense arriva su azioni di calcio da fermo, con Stanic (punizione al 36’) e Crippa (40’, su azione di calcio d’angolo); il doppio pareggio della Juve, pur nel giro di pochi minuti, attorno al quarto d’ora della ripresa, con Tacchinardi (al 10’, correggendo in gol una respinta di Buffon a Inzaghi, che già aveva fallito solo davanti al portiere poco prima) e Inzaghi (al 15’, con un imprendibile diagonale, dopo essere stato liberato da Tacchinardi). Raggiunto il pareggio, la Juve bada più che altro a controllare, mentre il Parma non si rende più pericoloso. Intanto, vincendo il derby, l’Inter approfitta della flessione bianconera e si riporta a -1 dalla vetta, scavalcando la Lazio bloccata in casa dal Piacenza. Il Milan quest’anno è poca cosa, e lo dimostra anche in questa partita, nella quale, partito all’attacco alla ricerca dei 3 punti, riesce solo a palesare la propria impotenza. Dunque, un avversario congeniale per l’Inter catenacciara di Simoni, che dopo aver controllato facilmente il primo tempo, colpisce in chiusura di frazione con Simeone su azione di calcio d’angolo. Nella ripresa, la reazione dei rossoneri è molle e nel finale arrivano i sigilli di Ronaldo e ancora Simeone. 3-0 e il campionato è riaperto.

Che il Milan quest’anno sia poca cosa, lo dimostra la settimana dopo la Juve, rifilandogli un eloquente 4-1 a Torino. Nel primo tempo i bianconeri creano ripetute occasioni da gol, ma dopo il vantaggio di Del Piero su ineccepibile rigore al 12’, la Juve sbaglia più volte il raddoppio e viene punita al 33’ da un generoso penalty concesso a Weah e trasformato da Boban. Le distanze vengono ristabilite 6 minuti dopo sempre da Del Piero, stavolta con una delle sue magistrali punizioni dal limite. Poco prima dell’intervallo, il Milan resta in 10 per l’espulsione di Boban, autore di un fallaccio da dietro sul solito straripante Davids, che si prende così la sua rivincita nei confronti di Capello (espulso nel secondo tempo per proteste), che qualche mese prima, quando l'olandese ancora militava nel Milan, l’aveva definito “mela marcia”. Nella ripresa la Juve controlla agevolmente la partita, colpendo ancora due volte con Inzaghi: al 15’ quando batte Rossi dopo essere stato lanciato oltre la difesa rossonera da Deschamps e al 38’, sempre dopo un lancio che lo libera davanti al portiere avversario. Da segnalare, una frettolosa ammonizione comminata a Deschamps nel finale, che lo costringerà a saltare la delicatissima trasferta di Roma con la Lazio, terza in classifica staccata di soli 2 punti.

A un solo punto di distacco, invece, riesce a restare l’Inter, e ci riesce grazie a un generoso rigore, concesso al 94’ dall’arbitro Messina, che le consente di battere un Vicenza che fino a quel momento stava portandosi a casa un meritato pareggio, pur ridotto in 10.

Ebbene sì, l’Inter vince grazie a un rigore al 94’, senza il quale sarebbe stata staccata di nuovo, ma questo eloquente episodio cadrà presto nel dimenticatoio. Il Vicenza, atteso a San Siro come vittima sacrificale, si difende senza affanni per oltre un’ora, contro un’Inter al solito senza gioco, tenuta insieme dagli attributi di Simeone e dal senso della posizione di Winter, e che più volte rischia addirittura di andare sotto per i contropiedi di Ambrosetti e Luiso. Quando al 22’ della ripresa, grazie a un colpo di testa di Simeone su cross di Moriero, l’Inter sblocca il risultato, e soprattutto, 7’ minuti dopo, il Vicenza resta in dieci per l’espulsione di Dicara, la gara ormai sembra segnata; ma a meno di 10 minuti dalla fine una magia di Zauli (37’) rimette le cose a posto. Se non che, come detto, ormai allo scadere di un interminabile recupero, è l’arbitro Messina a mettere il sigillo sui 3 punti nerazzurri, punendo con la massima punizione una comica pedata nel sedere di un Ronaldo che, lontanissimo dalla porta, stramazza al suolo come colpito da una fucilata.
Nel dopopartita, il Vicenza è in silenzio stampa, tranne il DS Gasparin: "L'arbitraggio del signor Messina di Bergamo, e sottolineo di Bergamo (sembra evidente il riferimento indiretto all'Atalanta, concorrente del Vicenza nella lotta - salvezza, ndr), nel secondo tempo ci ha lasciato molti dubbi, con particolare riferimento a due episodi, da cui è dipesa la nostra sconfitta. Uno: l'espulsione di Dicara. Avrei voluto vedere se la decisione sarebbe stata la stessa nel caso in cui lo stesso fallo fosse stato commesso da un giocatore con la maglia a strisce nerazzurre e non biancorosse. Due: il rigore su Ronaldo, concesso al 94' per un impercettibile contatto, un soffio di vento (e qui Gasparin esagera, ndr), con il brasiliano spalle alla porta".

Bianconi è più telegenico di Pineda e il piagnisteo è apparecchiato
La sera del 1° aprile del 1998, battendo 4-1 a Torino il Monaco di Henry e Trezeguet, la Juventus mette una serissima ipoteca sulla terza finale di Champions League consecutiva. Nel primo tempo gli ospiti resistono per mezz’ora agli assalti bianconeri, cedendo solo alla punizione di Del Piero per fallo su Zidane, e riescono a raddrizzare il risultato allo scadere della frazione, ma nella ripresa naufragano sempre grazie al binomio Zizou-Alex, col primo che procura, per la realizzazione del secondo, anche 2 rigori, prima di imprimere personalmente il quarto sigillo.

Il giorno dopo, sulla Gazzetta dello Sport, così Candido Cannavò celebra la tripletta di Del Piero, che gli vale il primo posto nella classifica marcatori stagionali di Champions e il superamento di Platini e Van Basten fra quelli di tutti i tempi: "Bisognerebbe convocare tutte le moviole del pianeta per centellinare, goccia dopo goccia, come un bicchiere di rosolio, il calcio di Alessandro il Grande, capocannoniere d'Europa e stella del prossimo mondiale. Anziché cercare le pulci negli stinchi dei giocatori, nei centimetri del campo e nel fischietto, sarebbe utile realizzare saggi di cultura sportiva."
Dalle parole del direttore della Gazzetta traspare il surriscaldamento del clima campionato, dove da settimane le partite dei bianconeri vengono vivisezionate per amplificare ogni possibile decisione arbitrale discutibile. Il 5 aprile, la Juve è attesa in casa della terza forza del campionato, la Lazio, staccata di soli cinque punti. La partita si svolge nel posticipo serale, con l’Inter che ha provvisoriamente ripreso il comando della classifica, incamerando 3 punti grazie alla vittoria interna con la Samp. I nerazzurri avevano penato in Coppa Uefa con lo Spartak a San Siro e Djorkaeff era stato subissato dai fischi. Il primo tempo è deludente sulla falsariga della partita di Coppa, con Ronaldo ingabbiato dagli uomini di Boskov, poco gioco e nessuna emozione, tranne un quasi gol di Boghossian (o autogol di Sartor) allo scadere della frazione. Nella ripresa, finalmente, si sveglia il Fenomeno, che porge a Cauet l’assist per il gol del vantaggio (in realtà, sfortunato autogol di Hugo) e, dopo il raddoppio di Sartor e un’incredibile doppia parata di Pagliuca su Montella, sigla il definitivo 3-0.

Nel posticipo serale di Roma, la straordinaria concretezza della Juve riesce a piegare una Lazio che si giocava all’Olimpico tutta una stagione, e i valori in testa alla classifica rimangono immutati. La partita, come spesso capita nei big-match, non è spettacolare, con le difese che neutralizzano spesso i reparti offensivi, dove Mancini, Boksic, Zidane e Del Piero vengono controllati agevolmente. La Juve parte aggressiva e spavalda, attacca, ma non crea occasioni eclatanti. Verso la metà del tempo esce la Lazio, a folate, ma la prima frazione si chiude a reti involate. La ripresa vede una Lazio inizialmente più determinata, ma al 15’, l’equilibrio si rompe su azione di calcio d’angolo: batte Zidane, Nesta salta a vuoto: è il suo unico errore della serata, ma Inzaghi lo punisce di testa. Al 25’ occasione per il subentrato Casiraghi, che colpisce di testa a porta vuota dopo una respinta di Peruzzi, ma Birindelli riesce a respingere. Pochi minuti dopo, Nedved si fa espellere per le offensive proteste a Collina seguite a un’ammonizione, e per la Juve la gara si fa in discesa. Nei minuti finali la Juve spadroneggia, sfiorando un paio di volte il raddoppio. La Lazio ha una fiammata solo nel recupero, quando un colpo di testa di Casiraghi sbatte su un braccio di Iuliano: è involontario, e Collina decide di conseguenza, ma ovviamente l’episodio alimenterà nuovi piagnistei. Juve 60, Inter 59, Lazio eliminata dai giochi. La 29esima giornata dell’11 aprile, preludio alle semifinali di ritorno delle coppe europee, la Juve tifa Roma, che ospita i nerazzurri, e intanto regola in casa il Piacenza con un classico 2-0. Gli emiliani sono un avversario tutt’altro che comodo, nelle ultime 10 trasferte hanno subito solo 2 sconfitte, e infatti il primo tempo si chiude a reti inviolate, con la Juve vicina al gol solo con un palo di Zidane a porta vuota. Nella ripresa i bianconeri continuano a spingere, con determinazione ferrea e rabbiosa, e finalmente colpiscono, prima con Zidane che fulmina Sereni intervenendo su un angolo battuto da Del Piero, e a dieci minuti dalla fine con un capolavoro dello stesso Alex, che chiude una partita che ha visto 12 tiri (tra cui un palo) dei bianconeri opposti al triste zero delle conclusioni a rete dei giocatori del Piacenza.

A Roma l’Inter espugna l’Olimpico alla sua maniera, e cioè difesa e Ronaldo. Dopo un primo tempo scialbo, con i giocatori interisti dotati, secondo il cronista della Gazzetta, di “identikit dell'avversario da non mollare mai e la paziente attesa del momento opportuno per far scattare il contropiede”, il Fenomeno apre le danze al 3’ della ripresa, quando Cauet scavalca la linea difensiva di Zeman con un pallonetto e lo pesca solo davanti a Konsel. Ronaldo lo scarta e deposita la palla in rete. L’Inter, secondo costume, si chiude a riccio, ma al 18’ Cafu salta Bergomi al limite dell’area e trafigge Pagliuca. Quel che segue è un copione tipico delle squadre di Zeman: la Roma si butta in avanti alla ricerca della vittoria, dimenticando di avere di fronte un fuoriclasse che necessita di marcature attente e, ovviamente, viene punita al 30’, allorché Zanetti smarca Ronaldo che, grazie anche a un fortunato rimpallo, riporta in vantaggio gli ospiti. A quel punto, Simoni chiude la saracinesca e per Zeman non c’è più niente da fare. Juve 63, Inter 62.

Il 15 aprile la Juve conquista a Monaco la terza finale consecutiva di Champions League. Nonostante la larga vittoria dell’andata, la gara è una vera e propria battaglia, con i padroni di casa che picchiano come fabbri, tanto che dopo pochi minuti Inzaghi deve lasciare il campo per una brutta ferita al labbro superiore. Lo sostituisce Amoruso, che al 14’ segna subito un gol che però non attenua i bollenti spiriti dei monegaschi, che pareggiano al 38’ su autogol di Conte. Nella ripresa, Henry dopo soli 3’ li porta in vantaggio e suona la carica, la Juve vacilla e il protagonista diventa Peruzzi, finché una spettacolare girata di Del Piero al 32’ mette il sigillo sulla qualificazione. Al 37’ Sphear dà ai padroni di casa la vittoria di consolazione.

Manca una sola giornata prima del big match di Torino, con le duellanti divise da un solo punto. La finalista di Champions League deve ora affrontare un impegno insidioso, una trasferta in casa dello spumeggiante Empoli del giovane Spalletti, ma anche l’Inter, finalista di Uefa, attende a San Siro la bella Udinese di Zaccheroni, tutt’altro che una passeggiata.

A distanza di anni, di questo turno pre-big-match tutti ricordano solo il gol di Bianconi non concesso da Rodomonti, nessuno ricorda il modo in cui l’Inter rimediò nel frattempo i suoi 3 punti. Lo facciamo noi: a San Siro l’Udinese parte all’attacco, sfiora il gol con Calori e Bierhoff (cui poi viene annullato un gol per fallo su Sartor), mentre i padroni di casa si fanno vivi con un contropiede del solito Ronaldo e un paio di pericoli su calcio d’angolo.

Anche la ripresa vede l’Udinese subito all’attacco, pericolosa con Walem e Jorghensen, e soprattutto con Pineda che, lanciato a rete, viene atterrato in area da Colonnese, ma l’arbitro non concede la massima punizione.

Ripetiamo: sullo 0-0 all’Udinese non viene concesso un rigore per fallo di Colonnese su Pineda, ma non ne parlerà nessuno. Simoni prova a cambiare le sorti del match buttando dentro Kanu e Djorkaeff, ma è ancora l’Udinese a sfiorare il gol con Bierhoff, che di testa spedisce sul palo. All’80', incredibilmente, su azione di calcio d’angolo Turci va a farfalle e Djorkaeff devia nella rete sguarnita, per l’immeritato vantaggio dei nerazzurri. Pochi minuti dopo, in contropiede, Ronaldo scarta Turci che lo atterra appena fuori area e viene espulso.

Va in porta il povero Pineda che, dopo la beffa del rigore, si trova a fronteggiare la conseguente punizione del Fenomeno, che lo trafigge abbastanza ridicolmente, e la partita finisce. L’Inter, soverchiata sul piano del gioco e favorita dall’arbitro nell’occasione del mancato rigore, si porta a casa anche questi 3 punti. L’ambiente nerazzurro, invece di ringraziare il cielo per il dono ricevuto ribolle di rabbia e risentimento per la Juve, cavalcando l’onda dell’episodio di Empoli.

In realtà, in Toscana, la Juve, pur senza strafare (le fatiche di Monaco evidentemente non sono ancora assorbite), si era portata in vantaggio legittimando il successo di fronte a un avversario che non era riuscito a fare nemmeno un tiro in porta. Nel primo tempo l’Empoli aveva creato un paio di situazioni pericolose con Esposito, che però aveva concluso in modo sciagurato, mentre Zidane aveva sfiorato il gol al 35’. Nella ripresa, Lippi toglie gli stanchi Zidane, Deschamps e Amoruso (Inzaghi non si era ancora ripreso dalla ferita di Monaco) e inserisce Pecchia, Conte e Zalayeta. Una scelta coraggiosa, che però porta i suoi frutti, perché è proprio da una combinazione Zalayeta-Pecchia che arriva il vantaggio bianconero.

Al 76’ il fattaccio: primo calcio d’angolo della partita per i padroni di casa, la palla spiove verso il difensore Bianconi che colpisce e spedisce verso la rete. La palla sembra entrare, ma Peruzzi riesce a ricacciarla fuori, vicino al palo alla sua destra. I toscani protestano ferocemente, Rodomonti fa segno di aver visto benissimo e nega loro il gol. Il replay sarà impietoso, la palla aveva superato la linea.

La partita si infuoca e Rodomonti s’inventa un’espulsione a Tacchinardi, reo di aver saltato di testa a gomiti larghi su Cappellini, in realtà nemmeno sfiorato. Gli ultimi minuti la Juve li trascorre praticamente in 9, con Di Livio azzoppato, ma l’Empoli non riesce più a creare occasioni davvero pericolose. Moggi, Giraudo, Bettega, Chiusano, anche lo stesso Montero, escono dallo stadio bersagliati dai tifosi di casa al grido di “Ladri! Ladri!”. Juve 66, Inter 65.

Ovviamente, come detto, a Milano si coglie la palla al balzo: si recrimina per il gol fantasma di Bianconi ripreso a iosa dalle moviole. Il rigore di Pineda, il non gioco della squadra di Simoni (sia in questa partita che un po’ in tutto il campionato), le ripetute contestazioni dei tifosi nerazzurri, la vittoria immeritata con l’Udinese non esistono.

Si scatenano i dietrologi: si ripesca un episodio del ’94, un Juve-Genoa in cui Rodomonti assegnò ai Grifoni un gol che in realtà non c’era (testa di Galante e palla salvata sulla riga), dopo il quale non avrebbe più arbitrato la Juve fino a Empoli. In realtà nel '97-'98 Rodomonti la Juve l’aveva già arbitrata, in febbraio, ma fa niente, l’importante è alimentare la polemica.

Si arriverà anche all'esposto alla magistratura (e come vedremo, non sarà un caso isolato): sulla partita indaghera la procura di Firenze, che alla fine archivierà il caso, perché ovviamente non c'è niente su cui la magistratura possa indagare. Gli arbitri da che mondo è mondo sbagliano, ma quando sbagliano per la Juve per qualcuno ci dev'essere qualcosa di marcio. Per l'indagine della magistratura però non è così, evidentemente, è tutto regolare.

A nulla valgono le parole del solito Candido Cannavò sulla Gazzetta (il futuro vate di Moggiopoli!), che così commenta l’episodio di Empoli: “Per quanto vistoso sia il fattaccio, spero che nessuno dissotterri i complotti e le trame segrete. Grossolane stupidità.” D’altronde, lui l’aveva già scritto dopo la partita di andata col Monaco, celebrando Del Piero: “Anziché cercare le pulci negli stinchi dei giocatori, nei centimetri del campo e nel fischietto, sarebbe utile realizzare saggi di cultura sportiva."

Ma ormai è evidente che ciò sarebbe possibile solo se chi, a Milano, alimenta i piagnistei, dovesse riuscire a vincere a Torino la domenica dopo. Se ci sarà sconfitta, si sa già dove si andrà a parare.

MAGIA DI DEL PIERO, MA L'ITALIA ANTI-JUVENTINA CELEBRA LA ROSICATA DEL SECOLO
Ed eccoci finalmente alla partita più mistificata della storia del calcio, la madre di tutte i piagnistei: Juventus – Inter del 26 aprile 1998. Come abbiamo raccontato nelle puntate precedenti, il clima nel quale si giocò quel giorno era già pregiudicato in partenza, con mesi e mesi di polemiche e vittimismi che avevano trovato il culmine nel gol fantasma di Bianconi. La storia di questa partita, dunque, è solo in piccola parte storia di 90 minuti di gioco del calcio. In realtà, è molto più la storia di quel che accadde dopo: trasmissioni televisive piene di livore anti-Juve, litigi nei bar, nelle scuole, negli uffici, interrogazioni parlamentari, querele e apertura di indagini della magistratura.

Fino a 20 minuti dalla fine, la partita, come spesso i big match in cui ci si gioca una stagione, era stata abbastanza moscia, pure ragionevolmente corretta. A tenerne le redini, manco a dirlo, erano stati i padroni di casa che, pur senza mostrare un gioco eccezionale, avevano dimostrato di poter gestire con sicurezza la situazione.

La Juve non aveva creato molto in attacco, limitandosi ad approfittare, al 21’ del primo tempo, dell’unico sbandamento della retroguardia ospite. Un disimpegno errato a centrocampo da parte di Djorkaeff che spiazza l’avanzato West, dà la possibilità a Davids di intercettare e servire sulla sinistra Del Piero, libero da marcature. Fresi tenta di chiuderlo, ma Alex se lo porta a spasso in area, tenta una prima conclusione che rimpalla sull’avversario e gli torna fra i piedi. Pur defilato sulla sinistra, con un preciso colpo da biliardo beffa Pagliuca e Colonnese, in diagonale sull’angolo opposto.

Con Inzaghi recuperato in extremis e quindi non in condizione e uno Zidane a corrente alterna, la Juve in attacco, come detto, non crea molto di più, ma a centrocampo e in difesa fa blocco, permettendo a Ronaldo di filtrare solo una volta, con un diagonale fuori di poco. Gli altri nerazzurri, da Moriero a Djorkaeff, da Zanetti a Simeone, vengono controllati senza grandi problemi.

Fino all’episodio clou, l’arbitraggio è sostanzialmente corretto. Anzi, a recriminare semmai potrebbe essere la Juve, per una possibile espulsione del neo-entrato Zamorano che ha una brutta reazione su Iuliano. Poi, la crisi isterica più famosa della storia del calcio italiano: mancano 20’ minuti alla fine, la partita è bloccata.

Un lungo lancio impegna Ronaldo e Torricelli, col secondo a respingere di testa. La palla finisce al limite dell’area, dove si avventa Zamorano (che in realtà se Ceccarini fosse stato in malafede non avrebbe certo potuto trovarsi lì, ma sotto la doccia) chiuso da Birindelli, e da lì schizza verso il centro, dove si avventano Ronaldo e Iuliano.

Quest’ultimo arriva primo, manca l’aggancio, allarga le braccia e il Fenomeno gli finisce addosso, crollando a terra come morto. Mentre il gioco prosegue: alcuni interisti si avventano sull’arbitro Ceccarini, che fa segno di continuare, e la panchina ospite è una bolgia. Intanto la Juve è già partita in contropiede, la palla finisce a Del Piero che entra in area e viene steso in modo violentissimo da West.

L'arbitro decreta il rigore, in realtà netto, e in campo è l’apocalisse: la bile accumulata negli ultimi mesi ha trovato la miccia per detonare e Ceccarini viene accerchiato dai minacciosi piangina. A gran fatica si riesce a far battere il rigore a Del Piero, che se lo fa ribattere da Pagliuca. A gioco fermo, riprende così la caccia interista al Ceccarini, e vengono espulsi prima Simoni, che era addirittura entrato in campo per protestare, e, subito dopo, il suo secondo Pini.

Paradossalmente, la rabbia per la presunta ingiustizia dà una scossa agli ospiti, che sfiorano il pareggio con Zamorano e Ronaldo, ma anche la Juve manca più volte il raddoppio. Un finale vibrante, ovviamente nervosissimo, tanto che viene espulso Zé Elias per una gomitata a Deschamps.

Fin dall'immediato dopogara, gli interisti non fanno che recriminare per l'episodio del 70'. Su tutti, Ronaldo, che rilascia un'intervista a caldo in cui parla di "vergogna" e di gara giocata in 11 contro 12. I suoi compagni lo seguono a ruota, nessuno commenta la partita. L'alibi per la sconfitta è succulento e di mollare l'osso non se ne parla.

Moggi reagisce col solito duro cipiglio alla tempesta di veleno che comincia ad abbattersi sulla Juve, rivendicando i meriti della Juve sul campo: "Siamo stufi di questi attacchi, noi siamo in testa con merito. La Juventus ha dei meriti, noi le cose le prepariamo tutte per bene. E i risultati si vedono. C'è l'impegno e la fatica di una stagione, la programmazione. Siamo stufi e reagiamo". E su Ronaldo: "Farebbe bene a stare zitto. Impari da Del Piero che segna e non parla. Ronaldo poteva far gol invece di aprire la bocca".

Dunque, la partita continua ben oltre il triplice fischio finale, e dal Delle Alpi la palla passa sui giornali, in televisione, nelle aule di tribunale e finanche in Parlamento. L’Italia, pallonara e non, viene travolta da un’ondata di anti-juventinismo che ora, a distanza di anni, sembra quasi una prova generale del linciaggio del 2006.

E sì che i tifosi juventini ricordano come fosse oggi le parole a caldo di Massimo Marianella, di Fulvio Collovati e dell'ex arbitro Massimo Chiesa, commentatori per la diretta di Telepiù, sorpresi dalla reazione isterica dei nerazzurri, e in particolare il parere espresso da Chiesa guardando il replay: "Per me non è rigore".

Per aver espresso quell'opinione, i tre, nonché l'emittente che li ospitava, vennero messi in croce nelle varie trasmissioni di approfondimento, Processo di Biscardi in testa, perché la vulgata ufficiale divenne, nel giro di poche ore, quella del "rigore netto", eresie non erano ammesse. Gli stessi vertici di Telepiù, scottati dall'episodio, arrivarono a impartire ai propri telecronisti la direttiva di non prendere più posizione nei casi da moviola.

Così, a partire dalla stagione seguente, Caressa&friends si limitarono a dare spiegazioni tecniche, "lasciando ai telespettatori la possibilità di farsi un'idea", come si diceva. Già questo dà l'idea del livello di parossismo a cui si giunse. Gli episodi di distorsione anti-Juve in TV furono molti.

Tra gli altri, ricordiamo una moviola di Pressing di quella stessa sera, in cui Pistocchi propose al pubblico un montaggio faziosissimo di falli commessi dai bianconeri non sanzionati da cartellino giallo, per inculcare negli spettatori l'idea di un arbitraggio pro-juve al di là dell'episodio Juliano-Ronaldo. Oggi la sequenza del commento in diretta di Telepiù alle proteste nerazzurre, professionale e libero da condizionamenti, è pressoché introvabile, come si dice accada in Cina per le immagini sgradite al regime. Invece, su youtube e a volte anche in tv, girano solo le radiocronache dello Scarpini di turno che sbraita e piagnucola o spezzoni commentati ex-post, in ottica scandalistica.

L’arbitro Ceccarini, per quella partita, ne subì di tutti i colori. Dirà in seguito: "Non sono stato protetto o tutelato dalla Figc. E nemmeno l'Aia, della quale facevo parte da 20 anni, mi è stata vicina. Mi hanno abbandonato tutti. I media mi hanno massacrato e la mia famiglia ha ricevuto minacce".
Solo in una recente intervista ha finalmente avuto l'opportunità di spiegare il suo operato nell’occasione incriminata: "Ero troppo vicino all'azione. Sembra un paradosso, ma qualche volta ti penalizza. Comunque, ho perso i due passi di Iuliano verso Ronaldo. Nei miei occhi lo juventino è fermo, mentre l'interista gli piomba addosso come un tir. Non ho avuto il minimo dubbio nel lasciar continuare. Così come 30 secondi dopo, quando ho fischiato il rigore per la Juve".

Interessante la sua precisazione su quale decisione avrebbe preso, una volta rivista la scena in tv: "Il giorno dopo ho rivisto l'azione. Si, ho sbagliato. Cosa avrei fischiato a posteriori? Punizione a due in area. Non vorrei sembrare presuntuoso: per me è ostruzione".

Dunque, tutto questo pandemonio venne originato da una percezione errata, niente di eclatante, anche considerando che comunque, al massimo, l'Inter avrebbe potuto guadagnare una punizione a due, nemmeno il rigore. Molto si disse ai tempi, facendo illazioni sulla malafede del fischietto toscano. Nessuno considera che Ceccarini, in quella stagione, era nella rosa dei papabili per il mondiale, e che in occasione di quella partita era già stato scavalcato da Collina. Per i teorici del complotto, quelli per cui la Juve aveva in mano “il Palazzo”, questo è un dato devastante: se fosse stato in malafede, la delusione per l'esclusione dal mondiale avrebbe dovuto spingerlo a prendersela con chi del Palazzo teneva le fila, non certo a favorirlo.

Ci furono poi gli strascichi giudiziari. Ceccarini vinse diverse querele: Candido Cannavò, e cioè colui che fino a pochi giorni prima del big match aveva predicato fair play, dovette alla fine pagare 1.100 euro di multa e 30.000 di risarcimento "per aver ripetutamente sostenuto sulla stampa, diversamente dal vero, che Ceccarini avrebbe consegnato copia del referto arbitrale ad un giornalista di altra testata".

In pratica, la Gazzetta (insieme al Corriere dello Sport di Sconcerti) sfruttò l’occasione per cercare di colpire il concorrente Tuttosport, in particolare il giornalista Di Tommaso, montando un caso che portò anche a un’inchiesta federale per presunti contatti tra alcuni arbitri e il giornalista. La polemica, fondata unicamente su maldicenze e fuffa, era con tutta evidenza generata dall'invidia per la capacità di Di Tommaso (ex arbitro e moviolista di Biscardi) di avere notizie di prima mano dal mondo arbitrale.

Ci si attaccò a tutto, finanche a una fotografia che lo raffigurava nella tribuna del Delle Alpi nei pressi del designatore Baldas e di tal "Er Mortadella", rinomato ultrà della Roma. L'esito, tanto per dare un contentino alla canea forcaiola, fu una "censura" (una specie di ammonizione) della commissione disciplinare per gli arbitri Cesari, Ceccarini e Treossi, accusati di aver partecipato a cene con giornalisti, tra cui il Di Tommaso stesso.

Un’altra querela Ceccarini la intentò ai danni dei giornalisti Cucci, Carchidi, Catania e Gentili, i quali riuscirono a non essere condannati a pena pecuniaria solo grazie all’escamotage, invero non lusinghiero per dei professionisti dell’informazione, di dichiarare la scarsa attendibilità della trasmissione di cui erano ospiti, e cioè il Processo del Lunedì.

Oltre alle querele di Ceccarini, ci furono poi delle indagini della magistratura per frode sportiva, atti dovuti in seguito a numerosi esposti di tifosi fomentati dal clima rovente. La Procura di Torino dovette così aprire un’inchiesta che dopo quattro mesi arrivò all’ovvia archiviazione. Simile esito ebbe un’inchiesta della Procura di Firenze. Nessuna frode dunque, solo una decisione arbitrale controversa, utile molto più a chi l’aveva subita, che vi trovava una giustificazione alla propria sconfitta, che a chi ne aveva beneficiato, dato che anche ammesso e non concesso che un rigore fosse stato assegnato all'Inter e poi realizzato, il pareggio avrebbe lasciato comunque la Juve in testa alla classifica.

E così, a 3 giornate dalla fine, la Juve si mette in tasca lo scudetto e si appresta a tentare il bis in Europa: ad Amsterdam l'attende il Real Madrid, e ci andrà portandosi dietro le maledizioni di mezza Italia. Curiosamente, proprio mentre montava tutto questo pandemonio, le cronache, per la verità molto poco raccontate, riportano l’episodio di una cena, nei giorni immediatamente seguenti la partita, fra numerosi personaggi di spicco della Federazione, tra cui Carraro, nel corso della quale Moratti brinda in allegria con Giraudo.

Pare che il tema della serata fosse il traballante mandato del Presidente in carica Nizzola, il quale, una volta venutolo a sapere, se la prese moltissimo. Così come, altrettanto curiosamente, in un articolo della Gazzetta di quei giorni, campeggia un commento di Luca Cordero di Montezemolo, personaggio di spicco della proprietà Juve, che si rammarica per la mancata concessione del rigore all’Inter: "Il rigore su Ronaldo era netto, chiarissimo, l'arbitro doveva fischiarlo. Così come ha giustamente sanzionato subito dopo il fallo in area su Del Piero. C'erano due rigori, purtroppo per l'Inter uno non è stato rilevato".

Perdere la Champions per un gol irregolare non fa notizia
Il 3 maggio, alla 32. giornata, grazie al giovane Matteo Sereni, a due pali e agli erroracci di Kanu e Moriero, l’Inter non riesce a battere il Piacenza in un San Siro pavesato dai prevedibili insulti alla Juve “ladra”. Non mancano le solite lacrimucce, spese per reclamare un rigore nel finale per un fantomatico tocco di mani in barriera (punizione dal limite di Recoba) non visto dall’arbitro e, per la verità, non visibile nemmeno in tivù.

Impegnata a Vicenza, dove i padroni di casa si asserragliano per 90 minuti in difesa alla ricerca di un punto salvezza, anche la Juve viene fermata sullo 0-0, e con minor difficoltà, in quanto i bianconeri non si sprecano molto per cercare la vittoria, condizionati anche dall’assenza di Inzaghi e dagli infortuni, durante la partita, di Di Livio e Montero. Il primo pericolo arriva solo al 50’ da Pessotto, che dà a Brivio l’opportunità di mettersi in mostra salvando il risultato.

Anche qui c’è un possibile rigore di Coco su Del Piero, nonché un’espulsione risparmiata al biancorosso Mirko Conte ma, considerando il risultato di San Siro, i bianconeri non si sognano certo di lamentarsi, possono anzi cominciare a discutere su quale marca di champagne ordinare per la settimana dopo. Così, il 10 maggio al Delle Alpi arriva l’appuntamento con la festa scudetto, ma la vittima designata, il Bologna, vende carissima la pelle. Gli ospiti vanno in vantaggio dopo 10 minuti con Kolyvanov e sfiorano il raddoppio con Anderson al 23’. Il pareggio arriva solo al 34’, un minuto dopo il gol del vantaggio dell’Inter a Bari, che riaprirebbe i giochi, e lo sigla Superpippo Inzaghi su imbeccata di Zidane. Nella ripresa, il bomber bianconero raddoppia al 5’, ma Roberto Baggio pareggia dopo pochi minuti. Per il suggello allo scudetto bisogna attendere l’80’, ancora con Inzaghi. A quel punto, a Bari, l’Inter, che conduceva dal 33’ del primo tempo grazie al solito Ronaldo, crolla di schianto: prima il neo interista Ventola, imbeccato dal promettente Zambrotta, pareggia al 84’; poi Masinga, a un minuto dalla fine, segna il gol vittoria&salvezza per i pugliesi, consentendo alla Juve di portarsi a un eloquente +7.

A Torino inizia la festa e i protagonisti della stagione bianconera mettono i puntini sulle I.
Filippo Inzaghi: "Uno scudetto assolutamente meritato. Prima ci ha dato fastidio la Lazio, poi si è rifatta sotto l'Inter, che ci ha tenuto testa fino all'ultimo. Ma non si possono avere dubbi sulla legittimità del nostro successo. Ci accusano per il gol di Empoli e il rigore su Ronaldo: è vero, abbiamo avuto due episodi favorevoli ravvicinati, ma mi pare che altri dimentichino i vantaggi capitati loro in passato. La verità è che diamo fastidio perché vinciamo troppo, però non me ne curo assolutamente: questo è un giorno di festa, non voglio rovinarlo pensando a certe cose".

Alessandro Del Piero: "Gli altri parlavano male di noi ovunque, io pensavo solo a me stesso. Mi pare siano stati problemi creati dall'Inter a noi, non da noi all'Inter".

Luciano Moggi: "Qualcuno ha cercato di toglierci il gusto della vittoria, ma non c'è riuscito".

Marcello Lippi: "Ci hanno tirato addosso tanta merda. Si possono infangare il palazzo, le istituzioni, ma non una squadra come questa che ha vinto sempre in questi quattro anni, che è riuscita a fare quello che ha fatto, a conquistare quello che ha conquistato. Questa è la vittoria che mi dà più soddisfazione, perché io ho memoria, le cose le ricordo. Dopo la campagna acquisti, nell'estate del '97, nessuno scommetteva su di noi. Ci sono giocatori che meriterebbero un monumento perché non hanno soltanto qualità tecniche, ma soprattutto morali, umane. Altre squadre avevano comprato tanto, si erano rinforzate. Poi è venuta anche la merda, il fango buttato su questo gruppo che ha dato spettacolo in tutto il mondo e non meritava questo trattamento. Non è giusto. Abbiamo segnato più gol di tutti, siamo la seconda difesa, abbiamo vinto più di tutti, siamo in finale della Coppa dei campioni. E tutto nell'anno più duro che abbiamo passato ".

L’ultima giornata, giocata il 16 maggio in casa dell’Atalanta, è dunque per la Juve una passerella per le seconde linee in vista dell’appuntamento più importante, in programma ad Amsterdam. La gara, terminata 1-1 (Caccia su rigore al 48’, Fonseca al 69’), più che per le imprese dei giocatori verrà ricordata per quelle degli ultras bergamaschi, che dopo il pareggio (e il contemporaneo raddoppio esterno del Piacenza, che già di per sé li condanna alla B) mettono a ferro e fuoco la curva costringendo l’arbitro a sospendere la partita per un quarto d’ora. La prova dell’Inter a San Siro, dove batte l’Empoli 4-1, è invece dedicata il tentativo di far vincere a Ronaldo almeno la classifica dei cannonieri. Ennesimo fallimento, perché alla doppietta del brasiliano (che arriva a 25) risponde Bierhoff che, con una doppietta a Piacenza, si porta a 27, al netto del gol fantasma con la Juve, ma anche del rigore che non ha potuto battere a S. Siro contro l’Inter.

Arriva il fatidico 20 maggio e la Juve perde la finale di Champions grazie un gol in netto fuorigioco del madridista Mijatovic, ma nessuno, in Italia, se ne dà per inteso. Questo è uno dei paradossi più eclatanti della stagione dei piagnoni. Dopo aver amplificato a dismisura gli episodi arbitrali del campionato nazionale favorevoli alla Juve e aver passato sotto silenzio quelli sfavorevoli, sui media italiani nessuno ritiene di dover sottolineare in alcun modo una svista così cruciale a livello internazionale, giunta a discapito di una formazione italiana opposta a una straniera.

Beninteso, il Real quella sera non demerita, e la Juve, come purtroppo è già accaduto e accadrà ancora nel 2003, manca l’appuntamento decisivo. Il copione non è poi così diverso da quello di Monaco dell’anno prima: primi 20’ minuti con la favorita Juve protagonista e Zidane in gran spolvero. Gli attacchi sono infruttuosi, ma fanno ben sperare. Ma è un fuoco di paglia e lentamente esce il Real Madrid che, a digiuno di Coppe dei campioni da ben 32 anni, si era presentato alla sfida non molto accreditato, anche se i vari Roberto Carlos, Panucci, Seedorf, Karembeu, Redondo, Raul e Mijiatovic non sono esattamente dei parvenus. Fatto sta che già al 25’ Raul va vicino al vantaggio e nel resto della prima frazione i bianconeri stentano a creare gioco. Nella ripresa, dopo un quarto d’ora, la Juve torna a dare segnali di vita con Inzaghi che prima impegna duramente Illgner al 15’ su bel cross di Davids e, 2 minuti dopo, consegna debolmente al portiere madrileno un rimpallo da barriera su punizione di Zidane. Ma al 22’, un diagonale senza pretese di Roberto Carlos, smorzato goffamente da Iuliano, giunge sui piedi di Mijatovic, appostato ben oltre la linea dei difensori bianconeri. Nessuno si accorge del fuorigioco, non la terna arbitrale e nemmeno i giocatori della Juve che manco protestano, e così il serbo deposita alla spalle di Peruzzi. E’ una mazzata che arriva proprio mentre la Juve dava segni di risveglio. La reazione si riassume in due episodi: pochi minuti dopo, Del Piero s’incunea sul fondo e mette in mezzo uno splendido rasoterra per Inzaghi, che non riesce a trovare la porta; ma l’occasione più clamorosa per pareggiare arriva sui piedi di Davids alla mezz’ora, quando riceve palla tutto solo all’altezza del dischetto del rigore, senza nessun avversario davanti. Incredibilmente, l’olandese, che pure era stato, al solito, tra i migliori in campo dei suoi (gran parte dei quali deludenti), tira in bocca a Illgner. In pratica, l’ennesima finale maledetta finisce qui. Di carne al fuoco per recriminare ce ne sarebbe, ma in casa Juve non ci si attacca al fuorigioco di Mijatovic e non si cercano alibi (a differenza dell'anno prima a Monaco).

Su tutti, ricordiamo il commento di Lippi: "Complimenti al Real Madrid che ha vinto meritatamente la Coppa, inutile negarlo. Non è stata una partita eccezionale come gioco, ma sicuramente il Real ha fatto più di noi ed ha meritato la vittoria. Io non posso far altro che ringraziare questi giocatori che sono stati protagonisti di una stagione eccezionale ed esaltante, nel corso della quale sono riusciti a vincere tutte le perplessità e gli scetticismi dell'ambiente che non era convinto della nostra forza. Pochi credevano in noi ed abbiamo vinto un campionato difficile con meriti indiscutibili. Purtroppo però abbiamo sbagliato l'ultima partita della stagione, la più importante".

Questo è stile Juve, così come il sarcastico commento del noto anti-juventino Franco Zeffirelli riassume il punto di vista della maggioranza dei tifosi italiani non bianconeri e spiega perfettamente perché in Italia solo gli errori arbitrali pro-Juve vengono amplificati: "Una serata bellissima, splendida. Mi dispiace solo per il risultato, avrei preferito che il Real Madrid avesse vinto per almeno due o tre gol di scarto".

Volendo fare i precisini, quell’anno anche in Coppa Italia la Juve esce di scena con errori arbitrali a sfavore: il decisivo 2-2 nella semifinale di ritorno a Roma con la Lazio era stato viziato da un evidente fuorigioco in occasione del raddoppio di Nedved, ma a farlo notare furono i soli Moggi (che parlò di “romane coccolate”) e Chiusano, subito sbertucciati sui rispettivi giornali da Beccantini e Cannavò.

E così, la stagione 1997-98, nell’immaginario collettivo alimentato dal tam tam autistico dei media che faranno dello scontro fra Iuliano e Ronaldo la sequenza televisiva più riproposta della storia della nostra tv, rimarrà nel tempo quello dello scudetto “rubato” all’Inter. Questa credenza si sedimenta tanto velocemente da provocare reazioni a catena incontrollate. Non può essere un caso che a soli 3 mesi dalla crisi isterica del Delle Alpi, e cioè il 25 luglio 1998, il Messaggero dia il via alla campagna anti-Juve sul doping con la famosa intervista a Zeman sul calcio che “deve uscire dalle farmacie”.

In realtà, almeno in quell’intervista, il boemo fa un discorso generale, ma nel contesto di quei giorni, da vera e propria caccia alle streghe a strisce bianconere, le sue parole diventeranno la prima tessera di un effetto domino, che porterà il giudice Guariniello di Torino a perseguire un’unica società: la Juventus F.C.

La procura di Torino tenterà per 9 anni di dimostrare l’utilizzo di doping da parte del medico sociale Agricola, ma senza riuscirci, anzi: al termine di tutta la trafila di processi penali, nel 2007, il terzo grado di giustizia sancirà l’innocenza degli imputati (anche l'AD Giraudo venne incriminato): i prodotti usati dalla Juve erano assolutamente leciti e non dopanti.

Vista la mala parata su quel fronte, la procura aveva esteso il capo d’accusa al contorto reato di "frode sportiva tramite abuso di farmaci". Farmaci leciti, ripetiamo. Per questa accusa, dopo l'assoluzione in secondo grado del 2005, nel 2007 la Cassazione, che si pronuncia su questioni formali, stabilisce che il processo si sarebbe dovuto rifare da capo, ma ormai i termini per la prescrizione sono decorsi. Gli imputati sono innocenti.

Ovviamente, lungo quegli anni si continuò a far passare il messaggio che lo straordinario primo ciclo Lippi dovesse per forza avere qualcosa di “sporco” e che la Juve fosse stata salvata da cavilli, dall’istituto della “prescrizione”. Chissà perché fra i vari opinionisti non ebbe altrettanta eco l’ipotesi di spronare i giudici ad indagare anche altre realtà, senza fissarsi solo su una.

Potrebbe essere che, a differenza di quanto accadeva alla Juve, in altre società il doping fosse praticato, ma siccome nessuno ha indagato seriamente, non lo sapremo mai. Tanto per dirne una, e tanto per fare un nome a caso: il fenomeno nerazzurro Ronaldo. Ora, fatta la necessaria premessa che il giocatore ammirato quell’anno fu un fuoriclasse di livello assoluto, una gioia per gli occhi di qualunque appassionato, non possiamo dimenticare che dopo quella formidabile stagione il campione brasiliano non riuscirà più a esprimersi a quei livelli.

Il primo strano segnale si verifica proprio nell’estate 1998, poco prima della finale dei mondiali di Francia, che lo vede opposto, guarda caso, allo juventino Zidane. Le cronache riportano l’episodio di una misteriosa crisi di convulsioni, durata 1 minuto e 40, che costringe il Fenomeno a giocare sotto l'effetto del Valium. Risultato: Zidane grande protagonista e vincitore finale, come in Italia.

E’ VERO, LA CARRIERA ALL’INTER DI RONALDO FU FUNESTATA DA 2 GRAVI INFORTUNI, QUELLO DEL 21-11-99 E POI LA RICADUTA DEL 12-4-2000, MA C’È CHI IN BRASILE VENTILÒ L’IPOTESI DI UN UTILIZZO DI ANABOLIZZANTI AI TEMPI DELL’EINDHOVEN, PRATICA CHE AVREBBE RESO LA SUA MUSCOLATURA INCOMPATIBILE CON LA STRUTTURA OSSEA DELLE GINOCCHIA.
SOLO MALIGNITÀ? PROBABILE, SIAMO GARANTISTI. MA NON POSSIAMO NON RILEVARE CHE IN ITALIA GLI UNICI CHE HANNO DOVUTO E DEVONO ANCORA SOPPORTARE PESANTI MALDICENZE SIANO STATI SOLAMENTE COLORO CHE UN REGOLARE PROCESSO HA INFINE PROSCIOLTO.

Note (NDA) : Recoba non poteva giocare, così come accaduto a noi con Rosetta avrebbero dovuto dare sconfitta a tavolino all’Inter in tutte le gare in cui il giocatore entrò in campo oltre al punto di penalizzazione per ogni gara in Ronaldo era scritto nella rosa di convocati. Ovvero, più di una ventina, quindi l’Inter altro che seconda, sarebbe retrocessa, inoltre per fatti anche più gravi era a rischio radiazione.

       TEAM  JU29RO
Mario Incandenza, Clau71, Inunmondoche
(Testi da me modificati e adattati)

  24 GIUGNO 2014
http://juveternamore.blogspot.ca/2014/06/stagione-1997-1998.html
-------------------------------
          15  Aprile 2015  -  Stagione 1997-1998 : Juve e Inter a confronto
http://juveternamore.blogspot.ca/2015/04/stagione-1997-1998-juve-e-inter.html
--------------------------------------------------------------------
CAMPIONATO  1997 - 1998 - JUVENTUS - LA ROSA
1 - A.Peruzzi                            17 - M.Rampulla
2 - C.Ferrara                            18 - D.Fonseca
3 - M.Torricelli                          20 - A.Tacchinardi
4 - P.Montero                           21 - Z.Zidane
5 - F.Pecchia                           22 - G.Pessotto
6 - T.Dimas                             23 - M.Zamboni
7 - A.Di Livio                            24 - R.Ametrano
8 - A.Conte                              25 - C.Pellegrín
9 - F.Inzaghi                            26 - E.Davids
10 - A.Del Piero                       27 - M.Zalayeta
11 - M.Padovano                     30 - R.Nicoletto
12 - M.De Sanctis                   31 - S.Aronica
13 - M.Iuliano                           32 - L.Giandomenico
14 - D.Deschamps                 33 - M.Zazzetta
15 - A.Birindelli 35 -                 35 - M.Rigoni
16 - N.Amoruso                       36 - L.Morandini
------------------------------------------------------
Zidane-Torricelli-Inzaghi-Iuliano-Montero-Peruzzi 
Di Livio-Deschamps-Davids-Pessotto-Del Piero


2 commenti:

  1. Anonimo9:30 AM

    A mio padre è stato diagnosticato un cancro alla prostata nel marzo 2017 e da allora abbiamo avuto la chemioterapia tre volte, ma il cancro continua a tornare. Alcuni mesi fa, ho sentito parlare dell'olio di cannabis e del suo effetto curativo e ho comprato l'olio di cannabis australiano da RicksimpsoncannabishemOil@gmail.com e mio padre ha iniziato immediatamente il trattamento con l'olio di cannabis, dopo aver usato l'olio di cannabis per il trattamento prescritto da Rick Simpson, c'era una cura totale e mentre scrivo ora, mio padre può camminare da solo in casa senza il supporto di nessuno ed uscire quando vuole.

    I migliori saluti,
    Vanessa Murray

    RispondiElimina
  2. Questo per informare l'opinione pubblica che attualmente stiamo prestando a persone bisognose di assistenza finanziaria a un basso tasso d'interesse del 2%. Se sei interessato a richiedere un prestito, compila l'applicazione sottostante per maggiori dettagli sul nostro prestito e contattaci via email. suissecreditloans@yahoo.com

    RispondiElimina