Anzitutto il caffè. Come quello della Peppina non si beve né col latte né col tè, ma se qualcuno osa metterne in dubbio quel tanto di onestà, finisce nelle grinfie degli avvocati. Così è accaduto per il libro che la casa editrice Bradipolibri ha pubblicato nel 2004 a cura di Fabrizio Calzi, dal titolo “Il terzo incomodo” . Le pesanti verità di Ferruccio Mazzola, nel quale il fratello di Sandro sosteneva che negli anni ‘60 nell’Inter si facesse un "uso disinvolto del doping per potenziare al massimo le prestazioni della squadra ". Giacinto Facchetti citò per diffamazione la Bradipolibri, richiedendo per la società milanese un risarcimento di un milione e mezzo di euro per danni morali, ma la causa fu persa. Così si è verificato anche all’uscita del documentario “Oil”del regista Massimiliano Mazzotta e del libro “Nel paese dei Moratti” di Giorgio Meletti, che si sono visti al centro di iniziative legali finalizzate ad impedirne la visione e la lettura per aver portato a conoscenza lo scempio ambientale e umano derivato dalla gestione della SARAS, la raffineria di Sarroch, in Sardegna, che i fratelli Gianmarco e Massimo Moratti hanno ereditato dal padre. Tra i vari ed eventuali indizi di onestà spicca l’auto-attribuzione di trofei a tavolino, primo fra tutti lo scudetto 2005/2006. Vero fiore all’occhiello dell’Inter di Moratti. Revocato alla Juventus da un processo sommario, Massimo fece il diavolo a quattro per spiegare urbi et orbi che andava assegnato, altrimenti il calcio italiano, che si apprestava a vincere i mondiali con la partecipazione di 17 elementi in odore di bianconero, avrebbe fatto la figura di essere corrotto agli occhi del mondo. I tre saggi furono chiari e stabilirono che lo scudetto di cartone poteva essere assegnato solo in presenza di requisiti di assoluta probità sportiva e il commissario Guido Rossi fu lesto a riconoscerli alla sua squadra del cuore. Fu visto infatti con sciarpa nerazzurra al collo, sia prima che dopo l’estate del 2006, tifare l’Inter allo stadio, compresa la finale di Champions League vinta con esubero di sviste arbitrali a favore, leit motiv dell’Inter triplettara. Che cosa lo convinse al gesto magnanimo? La sua fede calcistica, il patteggiamento di reati penali in data 25 maggio 2006, quali l’uso di passaporti falsi e la ricettazione di una patente rubata da parte del giocatore Recoba e del dirigente dell’Inter Oriali o l’essere negli anni a ridosso di calciopoli un pendolare tra il cda dell’Inter, la FIGC e la presidenza della Telecom? Dell’epilogo della sua carriera taccio in questo contesto. Nella stessa estate di calciopoli, a cavallo tra il tentato suicidio di Pessotto e quello presunto di Adamo Bove, due settimane prima che la Juventus fosse retrocessa, il cda dell’Inter approvava il bilancio annuale. E si predisponeva a fare finanza creativa per cercare di rientrare nei parametri COVISOC per l’iscrizione ai campionati. Dal momento che non è nemmeno sicuro che avrebbe potuto iscriversi a quello per il quale fu scudettata a tavolino. Come ebbe a dire il PM Nocerino, che condusse le indagini e fu attivo al processo per i falsi in bilancio celebrato contro Inter, Milan, Sampdoria, Genoa, Udinese e Reggina. Bisogna ricordare invero che di un processo per doping amministrativo sarebbe stata omaggiata anche la Juventus, anche se la Triade ne sarebbe uscita fuori, nel novembre 2009, pulita perché “il fatto non sussiste”. Nata da alcune dichiarazioni di Gazzoni Frascara, il presidente del Bologna poi finito negli stessi guai, bilanciopoli è comunque tutta un’altra storia rispetto a calciopoli. Nel giugno 2008 le sei squadre menzionate furono passate al vaglio della giustizia sportiva per aver falsificato i bilanci. Le esigenze del campionato più bello del mondo spingevano da anni molti dirigenti a risanare solo apparentemente i conti delle loro società attraverso una pratica che se non inventata da Cragnotti, passa per essere stata da lui eretta a sistema: lo scambio di giocatori non di prestigio, come ad esempio dei primavera, per cifre esorbitanti che venivano messe subito in attivo in caso di vendita, ma che in caso di acquisto finivano dilazionate per tutta la durata del contratto dei giocatori. In questo modo, nel giro di qualche anno, molte delle squadre del campionato italiano avevano raggiunto un tetto di indebitamento da sentirsi l’esigenza di tornare a un livello accettabile di fair play finanziario. Come fare? Corre voce che fosse consuetudine di Milan e Inter, a campionato finito, realizzare una serie di questi affari e di certo non è del tutto casuale che il 19 agosto 2003 sbocciasse un decreto legge noto come salvacalcio. Che ha permesso alle squadre in questione di spalmare i debiti in dieci anni e solo per l’intervento europeo, che male ha sopportato una tale decisione, sono stati ridotti a cinque. Inter e Milan ne hanno beneficiato. La Juventus no, perché non ne ha avuto bisogno. Esattamente come è accaduto per il brand, che consiste nella cessione dei diritti del proprio marchio a società il più delle volte satellite, per ottenerne immediatamente degli utili. Che per Inter e Milan hanno superato abbondantemente i cento milioni di euro. Vi è ricorsa anche la Roma e persino la Reggina. Fiumi di inchiostro sono stati versati negli ultimi venti anni per raccontarci di un calcio milanese da mecenati. Lo stesso Matarrese si preoccupò al tempo dei processi per i falsi in bilancio per Berlusconi e Moratti, che investivano tanto nel calcio. E se potevano investire tanto perché barare? Si tratta di illecito amministrativo e l’avvocato Grassani lo ha definito “un reato secondo, nella giustizia sportiva, solo a quello sportivo. Dopo la corruzione di un arbitro, nella scala di gravità c'è un bilancio falso per iscriversi al campionato al quale non si ha diritto”. Ma Carraro si preoccupava molto che la gente dei bar non capisse di questioni di finanza e per fortuna gli Europei 2008 potevano prendere nei titoli di giornali e telegiornali il posto di queste argomentazioni ostiche. Il decreto salvacalcio appare come un’altra delle tante leggi ad personam inventate e approvate in questi anni. Palazzi, solerte nel 2006, pensò bene di non essere d’intralcio alla giustizia ordinaria e ne attese gli esiti. Giancarlo Padovan, nel giugno 2007, chiedeva invece che gli onesti venissero smascherati e con loro tutto il sistema che con Guido Rossi aveva decretato l’Inter meritevole di uno scudetto vinto dalla Juve sul campo, vicenda che “appartiene alla tragedia di uno sport appaltato alle lobby e dilaniato dalle lotte tra sistemi di potere” . Il processo della giustizia ordinaria ha dichiarato il non luogo a procedere per le imputazioni relative al bilancio 30 giugno 2003 perché l’azione penale non poteva essere esercitata per essere il reato presupposto anteriormente prescritto. Adriano Galliani (vicepresidente del Milan), Rinaldo Ghelfi (vicepresidente dell’Inter), Mauro Gambaro (dirigente inter) sono stati prosciolti perché il fatto non costituiva reato, prevedendo la nuova legge tempestivamente approvata il 19 agosto 2003 sul falso in bilancio il dolo specifico non riscontrato. Il decreto salvacalcio ha salvato l’inter per 319 milioni, il Milan per 242 milioni, la Roma per una cifra stimata di 234 milioni, la Lazio per 213 milioni, il Parma per 180 milioni. Giorno 1 luglio 2007 venivano apportate le modifiche al Codice di Giustizia Sportiva, con l’introduzione degli articoli 23 e 24, che prevedevano il patteggiamento e la possibilità di dichiararsi pentiti, in caso di ammissione di responsabilità e di collaborazione, per ridurre le sanzioni previste. Palazzi deferiva Inter, Milan e Sampdoria, Genoa, Reggina e Udinese per la contabilizzazione nel bilancio delle plusvalenze fittizie riguardante il periodo dal 2003 al 2005. Inter, Milan e Sampdoria venivano giudicate per le violazioni dell’art. 8 comma 1, che “costituiscono illecito amministrativo...” . Per il Genoa, la Reggina e Udinese interveniva l’aggravante “plusvalenze fittizie finalizzate a far apparire perdite inferiori a quelle reali per ottenere l’iscrizione al campionato” . Sanzione minima prevista: 1 o più punti di penalizzazione in classifica. Con buona pace del PM Nocerino, che aveva ipotizzato per l’Inter la stessa aggravante. Alla fine, tutte avrebbero pagato solo una multa irrisoria. Nonostante le prime tre avessero fatto ricorso all’art. 23 e le seconde tre anche al 24, ottenendo un raddoppio di sconto di pena. Onestà patteggiata per disonestà prescritta, uguale etica interista. ------------------------------------------------------------------ | |||||
Scrive Oliviero Beha:
I due pubblici ministeri, Narducci e Capuano, hanno infatti ricusato per la seconda volta la Casoria. Tradotto in termini cronologici, si andrebbe certamente alla prescrizione di tutti, da Moggi alla caterva di imputati, arbitri, dirigenti ecc.
Sarebbe una vera sciagura perché la prescrizione nei confronti degli imputati verrebbe comunque "spacciata dalla stampa" e percepita e ricevuta dall’opinione pubblica come una “mancata condanna”. E siccome la giustizia sportiva nel 2006 ha già fatto strame del diritto calcistico con quelle sentenze poi apparse alla luce degli sviluppi delle “favole mirate”, è evidente il tipo di messaggio che ne scaturirebbe.
Condannati dagli organi interni (su cui invece bisognerebbe investigare fino in fondo per capire e spiegare come e quanto dipendano da quello stesso potere calcistico e sportivo implicato nello scandalo, un’autentica palude nella più generale Palude Italia), prescritti dalla giustizia ordinaria: si chiuda dunque e finalmente questo “brutto capitolo del calcio italiano” con dei colpevoli perfetti e dimostrati anche se solo parzialmente (mentre la questione arbitrale si ripropone puntuale ogni domenica).
Quindi un disastro: verrebbe fatto un torto alla verità o alla ricerca della verità, che siano colpevoli o innocenti gli imputati, e che ve ne siano altri in ballo non ancora imputati ma che potrebbero diventarlo.
Le intercettazioni telefoniche dell’ex maggiore Auricchio scelte ad hoc (da chi? da lui? da altri?) prima del processo di Napoli e “buone” strumentalmente per il processo sportivo, si sono allargate infatti a dismisura chiamando in causa il potere calcistico nelle sue varie forme: sentire quelle telefonate, rende l’idea da un lato di che cosa sia il pallone oggi, dall’altro di come con Moggi si sia cercato e trovato truffaldinamente un unico capro espiatorio comprensivo di un’associazione a delinquere con designatori ed arbitri a Napoli ancora lontanissima dall’essere dimostrata.
Quindi vorrei dei bei confronti tra la versione di Moggi e quella di Moratti, per esempio, lasciando quella di Barney alla letteratura e al cinema… e non la prescrizione che tutto avvolge nella nebbia.
Cari Narducci e Capuano, pubblici ministeri che stimo fino a prova contraria e dai quali sono stimato (ricordo una loro intervista- di Narducci con Beatrice - a “L’Espresso”), devo immaginare che non vogliate tutto questo e che se il processo dovesse dimostrare la fragilità dell’impianto accusatorio, come scrivono quelli che hanno studiato, come magistrati potreste e dovreste battervi in appello per dimostrare la bontà delle accuse.
La prescrizione così raffazzonata invece è una ferita per tutti, non un vantaggio per Moggi. E’ tanto difficile da capire? E’ civiltà giuridica tutto ciò? Secondo me, non difendendo nessuno se non la ricerca della verità, sarebbe proprio l’esatto contrario.
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