domenica, luglio 08, 2012

IL FRATELLO SCARSO CHE vince SENZA RUBARE

Victor Uckmar Ex Presidente: COVISOC
L' interVISTA 
Victor Uckmar: 
“Gravi le scommesse ma il vero scandalo è nei bilanci”
Il Calabrone - 16 Aprile 2012

L’EX PRESIDENTE DELLA COVISOC ACCUSA: 
AL DI LÀ DELLE VICENDE PENALI, IL GUAIO È CHE FRA EVASIONI FISCALI E CONTI ARTEFATTI IL SETTORE RESTA PRIVO DI REGOLE PRECISE. “NEANCHE LE QUOTAZIONI IN BORSA HANNO PORTATO UN PO’ DI CORRETTEZZA E DI ETICA”

Il mondo del calcio ha tantissimi problemi. Quelli giudiziari, ma soprattutto quelli finanziari. Questi ultimi, ora che c’è la crisi, stanno ulteriormente peggiorando: vengono meno tante sponsorizzazioni e, parliamoci con franchezza, anche l’utilizzo della false fatture. Era diffusissimo e nessun invito all’etica e al rispetto delle regole era riuscito finora ad arginarlo: ma finalmente, ora che Befera e la finanza non scherzano più, sta crollando. Senza contare che i due discorsi, sponsor e fatture false, spesso e volentieri s’incrociavano». 

Victor Uckmar, classe 1925, emerito di diritto tributario dell’università di Genova e attualmente docente alla Luiss e a Macerata, è tagliente nei suoi giudizi come sempre. Dal suo studio legale-tributario di Genova, uno dei più prestigiosi d’Italia, risponde con amara ironia ricordando quanto ha cercato di instillare moralità e regole nel mondo del calcio: 
da presidente del Covisoc, l’agenzia della Figc per il controllo sui bilanci, ha combattuto per tutti gli anni ‘90 epiche battaglie in nome dell’etica, «quasi tutte perse». Però con una soddisfazione: «I membri della commissione che presiedevo erano cinque, e abbiamo preso tutte le decisioni e le pronunce all’unanimità ». 

Professore, perché diceva che i due discorsi, fatture false e sponsorizzazioni, finiscono spesso con il sovrapporsi? 
«Le faccio un esempio molto semplice e altrettanto diffuso. Un’azienda sponsorizza una squadra, e questa subito dopo restituisce alla stessa azienda parte di quanto aveva ricevuto per la sponsorizzazione. Così l’azienda si crea un pool di denaro in nero. Poi ci sono gli infiniti imbrogli connessi con i compensi ai giocatori, l’omesso versamento delle ritenute non effettuate, i giochi intorno all’abitudine per la società sportiva di pagare essa stessa le imposte al posto del giocatore: se devo dare un milione al calciatore su questo gravano duecentomila di ritenuta. Le tasse se si agisse con onestà andrebbero calcolate su un milione e duecentomila, invece a volte vengono calcolate su un milione». 

Sono accuse pesanti... 
«Mi sto facendo degli altri nemici nell’ambiente, come se non ne avessi abbastanza. Ma, mi creda, la contabilità delle società di calcio è una cosa da mettersi le mani nei capelli. Va pur detto che, al di là degli aspetti etici, guadagnare con il calcio è praticamente impossibile. Ci sono emolumenti incredibili in tutte le serie maggiori, non solo A e B ma anche nella Pro Lega (la ex serie C, ndr). Non a caso le società stanno diminuendo: nella Pro Lega da 90 nel 2010/11 sono scese a 77 nel campionato in corso. Ho proposto di mettere un tetto ai salari ma è una misura vana, facilmente aggirabile. Avevo proposto anche di limitare la rosa dei giocatori e questo avrebbe ridotto le spese e incrementato il mercato dell’offerta. Ma non c’è stato niente da fare. C’è un problema di fondo: 
il progressivo calo dei biglietti e degli abbonamenti, che ormai non coprono più del 20-30% dei bilanci». 

Ma i diritti televisivi non compensano questo gap? 
«Non del tutto, e anche essi stanno scendendo. Le società si salvano per quel misto di follia popolare e capacità di arrangiarsi che inevitabilmente ruota intorno al calcio. Mi ricordo che un anno si dovevano soddisfare certi requisiti contabili entro il 31 dicembre. La scadenza stava avvicinandosi e addirittura l’Inter, in una gestione precedente a quella attuale, non ce la faceva. All’ultimo come d’incanto, malgrado io sostenessi la necessità di non modificare i regolamenti nel corso della stagione, la deadline fu spostata al 31 marzo. 
Ha visto cosa si può fare con qualche biglietto di tribuna d’onore?» 

Quanto conta la politica nel calcio? 
«Moltissimo, e non c’è distinzione fra governi di sinistra e di destra. Io ne ho visti di tutti i tipi: i primi per esempio limitarono i poteri del Covisoc, ai secondi si deve quel capolavoro di machiavellismo che furono i decreti salvacalcio con la diluizione venticinquennale dei debiti in deroga alle leggi commerciali e fiscali, roba che non si è vista neanche nel salvataggio della Grecia. E infatti l’Europa ce l’ha censurato». 

La Borsa non potrebbe essere una soluzione? 
«Potrebbe esserlo perché le società sono finalmente costrette a redigere un prospetto corretto. Ma ci sono troppe incognite e troppi rischi per i risparmiatori. Oltre all’andamento finanziario bisogna anche stare attenti ai risultati sportivi. Mi ricordo quando con Carraro fui convocato dalla Consob per esporre la nostra opinione sulla quotazione delle società. Lui era entusiasta, io ammonivo: 
“purché sul prospetto, a lettere cubitali sia scritto: non sono adatti a vedove e orfani”. Ne venne fuori un putiferio ». 

Debiti, perdite, grane: ma perché i capitani d’industria continuano a investire nel calcio? 
«Diciamo che qualcuno lo fa per genuino spirito campanilistico. Ma chi ha un gruppo diversificato lo fa spesso per avere una società che perde, e nel calcio come abbiamo visto si perde sicuro, per scaricarsi le perdite nella holding. 
È una vecchia storia, e non c’è modo di scardinarla, così come tante altre cattive abitudini come la factorizzazione dei proventi televisivi solitamente triennali: 
una televisione firma un contratto e l’amministratore della società si precipita in banca a scontare l’intero importo di tutti e tre gli anni. Ci sono infine dei presidenti che lo fanno per il prestigio personale che dà l’essere il patron di una società. Una volta un industriale di medio livello mi disse: per me sarebbe stato impossibile diversamente sedermi a tavola con Agnelli. Costi quel che costi». 
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IL MINUS HABENS CORRUTTORE MASSIMO
   
IL FRATELLO SCARSO CHE vince SENZA RUBARE

l fratello scarso è una figura ricorrente nella Storia d’Italia. I parenti lo affidano di solito al fratello più sveglio che gli fa da padre per tutta la vita. Massimo Moratti è il fratello scarso dei fratelli scarsi. E’ riuscito ad offuscare persino Paolo Berlusconi.

Gli si perdona qualunque cosa, anche le intercettazioni a Bobone Vieri. La famiglia per evitare danni lo ha nominato presidente dell’Inter. Gli ha concesso un vitalizio di qualche decina di milioni di euro all’anno per i giocatori. Lui è contento così.

Ogni tanto il fratello maggiore Gianmarco gli chiede di mettere una firma sui collocamenti. La gente si fida di lui, del suo aspetto da Bugs Bunny buono. E così è stato anche per il debutto di Saras in Borsa.

I Moratti hanno incassato 1,7 miliardi di euro, ne avevano bisogno per rinforzare la squadra. Il titolo fu quotato a 6 euro in un momento di crollo del settore energetico. Chi lo comprò perse il 12% in un solo giorno. Jp Morgan e Morgan Stanley, le banche responsabili del collocamento, guadagnarono 12 milioni di euro a testa grazie alle oscillazioni.

Riassunto: qualcuno decide che il prezzo di 6 euro è giusto, i risparmiatori ci credono, comprano, perdono. I Moratti e le banche ci guadagnano e la procura indaga. La Consob dov’era? Cardia illuminaci.

Lo scudetto di ieri non lo ha vinto l’Inter. Infatti il marchio non gli appartiene più da tempo. Lo ha venduto, dopo una rettifica a questo blog, alla Inter Brand srl per 159 milioni di euro. La Procura sta indagando per l’ipotesi di “buchi in bilancio per cui non ci sono indagati.

Sono sicuro che è un’ipotesi che si dimostrerà priva di qualsiasi fondamento.
Massimo vince, ma senza rubare. 23 Aprile 2007
(fonte il Blog di Beppe Grillo)
https://beppegrillo.it/senza-rubare/


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