sabato, maggio 18, 2013

ANDREA PIRLO: "IL PRESIDENTE DELLA JUVENTUS? SUO ZIO ERA L'AVVOCATO, SUO PADRE IL DOTTORE, LUI ANDREA. TUTTI GLI AGNELLI ALLO STESSO MODO: LEONI!

                                    Il Presidente Andrea Agnelli raccontato da Andrea Pirlo

Dal libro: ‘Penso quindi gioco’ di Andrea Pirlo, cap. 14: Andrea (Pirlo) parla di Andrea (Agnelli)

“Suo zio era l’Avvocato, suo padre il Dottore, lui Andrea. Un semplice tra gli speciali, tutti Agnelli allo stesso modo. Di nomi, ma di fatto leoni. Mai in gabbia, liberi di mischiarsi alla gente comune, perché Andrea è uno di noi, uno di loro, un tifoso privilegiato, nel senso che le sue parole hanno la forza di far scattare in piedi i giocatori”

“La Juventus non è il suo giocattolo, è un’entità più grande superiore”

“Il suo motto è 'Lavorare, lavorare'. Potrebbe farne a meno, ma ne sente il bisogno: 'Solo così si possono raggiungere gli obiettivi più ambiziosi e vincere'. Tiene alla sua società in maniera quasi morbosa, gli amici sono i benvenuti e i nemici persone da fermare il prima possibile. Davanti a loro, diventa cattivo, lui che cattivo non è. Li maltratta, risponde a tono, ogni mancanza di rispetto verso la Juventus è un pugno in faccia ad Andrea, che reagisce. Si dimena e picchia, con parole che sono sentenze. Con la squadra è un presidente dolcissimo, non alza mai la voce, nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi, perché ci ha sposati, prima pensa a noi e poi a se stesso. Ci vuole bene e ce ne siamo accorti. Come Conte, sa scegliere il momento giusto, per dire le cose che servono. Con un tono più basso, all’apparenza dimesso”.

“… non ama fare paragoni, rischierebbe di creare imbarazzo. Non sarebbe elegante. Però tante volte gli ho sentito ripetere questo: 'Giocare qui dev’essere un privilegio, una cosa bella, un destino per pochi e per il quale ringraziare il cielo. E tutti quelli che hanno vestito la maglia della Juventus, prima o poi, hanno vinto, Uno, dieci, cento trofei. Questo club è tutto, ma lo deve essere anche per voi. Dovete sentivi juventini dentro, rendere la vostra avventura sempre più grande, amplificarne la gloria a dismisura. Prendete esempio da chi vi ha preceduti, siate esempio per chi verrà dopo'."
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Pirlo. Ecco, qua ci sono tanti spunti essenziali per inquadrare Andrea Agnelli nel suo rapporto con la Juve (perché poi oltre la Juve c'è di più, forse troppo per questa povera Italia):

- il presidente tifoso, quello che “la Juve ha tifosi, non clienti”, perché lui è uno di loro, uno di noi;
- il presidente per il quale la Juve non è un giocattolo né un freddo asset; uno che tiene alla Juve in maniera quasi morbosa, che non consente le si manchi
  di rispetto e che verso i nemici mette in campo quella ‘cattiveria’ che solo i buoni sanno toccare ed esibire se toccati nell’intimo;
- il valore del lavoro, la juventinità, il sentirsi juventini dentro, la qualità che lo ha spinto a scegliere un allenatore come Conte, un collaboratore come
  Nedved; il presidente juventino vero, che ha la vittoria nel Dna, che lotta nel solco di una tradizione di trionfi e che sente il dolce peso di dover essere di  
  esempio.

Sulla strada tracciata da papà Umberto, come ha ricordato Andrea nell’intervista a Federico Ferri per Sky: ”L’esempio di mio padre è sempre stato molto silenzioso, molto rispettoso, ma anche molto rigoroso.

Parafrasando una frase inglese:
‘He lead by example’. Lui era leader per l’esempio che dava e gli altri lo seguivano”.

Ma che vuole vincere sempre:
“Non bisogna mai perdere la fame ed è un qualcosa che io non perdo neanche al giovedì quando gioco con i miei amici, quindi figuriamoci se perdo la fame nel gestire la Juventus”.

Dopo il valore di sentirsi ‘juventini dentro’, un altro tratto che lo avvicina ad Antonio Conte, uno che non vuole perdere nemmeno quando gioca a carte con la figlia.

Ed è un ritratto, questo, che esce dalle parole di Andrea Pirlo, non un bianconero d’annata, ma uno che respira l’aria Juve da soli due anni, ma cui Andrea, l’altro, il presidente, ha subito fatto capire quale sia la qualità di quest’aria. Uno che rivede in questa Juventus la mentalità di un tempo, di quella Juve che lui aveva affrontato “provenendo da un mondo che per un certo periodo ha criticato gli juventini e ha fatto loro guerra”;

così la descrive Pirlo:
“Giocavi contro di loro e sapevi che combattevano all’ultimo sangue, fino all’ultima goccia di sudore, senza risparmiarsi, prendevano botte e si rialzavano, segnavano un goal e dopo pochi minuti ne segnavano un altro, li intimidivi e loro si arrabbiavano, e arrabbiati sembravano ancora più forti”.

In pratica il ritratto di questa Juve, affamata come la vuole Conte, la Juve dei Vidal e dei Chiellini. Che può perdere, ma sempre si rialza.

E questa è un’altra delle lezioni che proprio il presidente ha tenuto ai suoi in un momento di difficoltà, ma senza aver l’apparenza di strigliarli (per quello c’è Conte…). In quel caso, racconta Pirlo, parlò loro di quanto accaduto nella Ryder Cup 2102, tenutasi al Medinah Country Club, non troppo distante da Chicago: “E’ il punto più nobile che un golfista possa toccare, il paradiso che non può attendere. Al termine delle prime due giornate di gara gli americani erano avanti 10-6, a un passo dalla vittoria, dal sogno, da tutto.

Servivano solo 4 punti e mezzo per vincere e, per chi non lo sapesse, sono davvero pochi. Gli europei avevano invece bisogno di 8 singoli su 12 per pareggiare e quindi per mantenere il trofeo, di cui erano detentori. Durante l’ultima giornata, la squadra europea ha costruito un miracolo. Non solo ha pareggiato, ma addirittura ha vinto. Con la forza della volontà, perché la volontà può tutto. Abbatte i muri, azzera le differenze, permette di volare”. E da lì l’esortazione: “Ragazzi, avanti tutta, non molliamo nulla”.

E a Pirlo, Andrea ha ricordato Al Pacino nella straordinaria interpretazione di ‘Ogni maledetta domenica:
“Guardavo il nostro presidente e vedevo l’attore americano, mentre con una voce roca impartiva la sua lezione": “Ora o noi risorgiamo come squadra o cederemo. Un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso, signori miei. Credetemi, e possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno, un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi”.

E’ roba di quest’ultima stagione, ma riecheggia una scena già vista, con un tono meno sottovoce, prima di Juventus-Palermo di inizio aprile 2012, quando serviva mettere il turbo: e l’Al Pacino quella volta era Conte, l’operazione sorpasso riuscì e la strada verso il ‘miracolo’ contiano fu spianata.

Perché Conte è la trasposizione di Agnelli sul campo, ognuno con la propria indole, ma con la medesima fame. Due tosti, due vincenti ma mai contenti, sempre protesi verso la vittoria successiva. Come avrebbero potuto separarsi?

di Angelo Ribelle.
ju29ro.com 17 Maggio 2013


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