venerdì, marzo 21, 2008

TAR DEL LAZIO, RESPINTO IL RICORSO DI MOGGI

Venerdi 21 Marzo 2008
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TAR DEL LAZIO

Il Tar ha respinto il ricorso di Luciano Moggi contro la sentenza della Corte federale avverso la squalifica di 5 anni

Con questa sentenza significa che nel punto di maggiore interesse per gli avvocati di Moggi , cioè il difetto di giurisdizione .. in pratica sul fatto che Moggi potesse fare ricorso al tribunale amministrativo o no , Moggi ha vinto.
cioè hanno riconosciuto la legittimità delle intercettazioni e del procedimento sportivo in quanto Moggi era stato già deferito all’ atto delle sue dimissioni.
Questo si sapeva, ma lo scopo era la possibilità di fare ulteriore ricorso al Consiglio di Stato etc.

LEGGETE ATTENTAMENTE QUESTO STRALCIO DELLA SENTENZA:

6. Con il secondo motivo di ricorso si deduce innanzitutto l’illegittimità, sotto molteplici profili, dell’intero sistema probatorio basato sulle intercettazioni telefoniche delle utenze del sig. ****.
Priva di pregio è la prima censura dedotta con il motivo in esame, con la quale si afferma che illegittimamente le intercettazioni sono state fatte e raccolte da una società che non era stata scelta a seguito di una procedura di evidenza pubblica.
Rileva infatti il Collegio che eventuali vizi, relativi all’affidamento senza ricorso ad una gara, del servizio di intercettazione telefonica alla Telecom Italia s.p.a. (peraltro non evocata in giudizio), non sono idonei a refluire con effetti invalidanti sull’attività posta in essere dalla C.A.F. prima e dalla Corte Federale della F.I.G.C. poi e sulle conclusioni alle quali sono pervenuti gli organi in questione anche sulla base di dette intercettazioni, non sussistendo tra le informazioni fornite dalla Telecom Italia s.p.a. e l’uso che delle stesse è stato fatto in sede di indagine preliminare un rapporto diverso da quello di mera strumentalità materiale del primo rispetto al secondo.
Aggiungasi che il ricorrente non contesta, in punto di fatto, il contenuto delle intercettazioni telefoniche poste a base della sua condan-na disciplinare, con la conseguenza che dall’affidamento del servizio ad altra società risultata aggiudicataria di una gara il sig. **** non sarebbe stato in grado di ottenere alcun risultato utile.
Di qui la non accoglibilità della richiesta di trasmissione degli atti di causa alla Corte di Giustizia ex art. 234 del Trattato Ce (come del resto affermato anche dal Consiglio di Stato nell’ordinanza n. 1600 del 30 marzo 2007, con la quale è stato confermato il diniego di so-spensione cautelare di questo Tribunale).
7. Priva di pregio è anche la censura, sempre dedotta con il secondo motivo di ricorso, con la quale si afferma che, illegittimamente, di tutte le intercettazioni raccolte solo alcune sono state utilizzate. La scelta di talune conversazioni anziché di altre avrebbe portato ad una visione distorta dell’intera vicenda.
Rileva il Collegio che le intercettazioni raccolte, stante il loro inequivoco tenore, sono certamente sufficienti a supportare l’intero impianto probatorio con la conseguenza che, ove pure ne fossero state aggiunte altre, la conclusione non muterebbe.
8. Occorre ora passare all’esame della censura più delicata relativa all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in sede di procedi-mento disciplinare a carico di soggetti appartenenti (o che erano appartenuti) all’ordinamento sportivo e alla possibilità di fondare sulle stesse l’intera struttura probatoria.
Sulla questione il Collegio si è già pronunciato (21 giugno 2007 n. 5645) in occasione della decisione emessa su un ricorso proposto da una società sportiva sanzionata nell’ambito della stessa vicenda cd. calciopoli, con argomentazioni dalle quali non intende di-scostarsi.
Giova premettere che le intercettazioni telefoniche provenienti dal procedimento penale pendente dinanzi all’Autorità giudiziaria napoletana sono state acquisite dagli uffici federali ai sensi dell’art. 2, terzo comma, L. 13 dicembre 1989 n. 401, che consente agli organi della disciplina sportiva di chiedere copia degli atti del procedimento penale a norma dell’art. 116 c.p.p.
Dette intercettazioni sono state legittimamente valutate in sede amministrativa, in conformità al principio di libera utilizzazione degli e-lementi di prova acquisiti in procedimenti diversi, che opera in as-senza di un principio di tipicità dei mezzi di prova.
Questa Sezione ha anche chiarito, in relazione alla valenza probatoria delle intercettazioni, che “non può essere trascurato come anche la giurisprudenza penale (Cass. pen., V Sez., 9 febbraio 2007 n. 5699 e 16 febbraio 2000 n. 6350), sia pure ai diversi fini del giudizio penale, costantemente afferma che nell’interpretazione dei fatti comunicativi le regole del linguaggio e della comunicazione costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal testo della comunicazione o comunque della struttura del messaggio (premessa minore), consente di pervenire alla conclusione interpretativa. Sicchè le valutazioni del giudice di merito sono censurabili solo quando si fondino su criteri interpretativi inaccettabili (difetto della giustificazione esterna), ovvero applichino scorrettamente tali criteri (difetto della giustificazione interna)”.
Anche nel caso di specie, l’interpretazione del significato delle intercettazioni coinvolgenti il sig. **** è adeguatamente e logicamente motivata nelle decisioni degli organi federali e risulta compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, secondo la formula ricorrente nella giurisprudenza penale.
Ne deriva, ancora, che l’interpretazione del fatto comunicativo (e cioè della conversazione intercettata) è incensurabile in questa sede di giurisdizione di legittimità, seppure esclusiva.
Quanto poi alla prospettata inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in quanto asseritamente acquisite al di fuori dei limiti di am-missibilità previsti dall’art. 266 del c.p.p., ritiene il Collegio sufficiente osservare come il divieto di utilizzazione concerne il procedimento penale e comunque richiede un accertamento che rientra nella competenza esclusiva del giudice penale (Cass., I Sez., 30 marzo 1993), il quale dispone la distruzione della relativa documentazione (art. 271, terzo comma, c.p.p.).
Deve dunque condividersi l’orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche non può spiegare effetti oltre gli ambiti processuali penali e, pertanto, non può impedire l’apprezzamento delle stesse in sede disciplinare (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 21 giugno 2007 n. 5645; T.A.R. Bari, I Sez., 19 aprile 2001 n. 1199).
9. Il Collegio esclude, infine, che le intercettazioni sulle quali gli organi di giustizia sportiva si sono basati per comminare le sanzioni non siano idonee ad assurgere a prova dell’illecito contestato al sig. ****.
Occorre prendere le mosse dalla condivisibile valutazione, contenu-ta nella decisione della Corte federale, e, prima ancora della C.A.F., secondo cui “le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche ed ambientali non vengono generalmente in rilievo quali prove in sé degli addebiti rivolti ai deferiti, ma come mera circostanza storica - non di-sconosciuta nella sua esistenza, né nel suo oggetto, né nella sua veridicità, dagli incolpati - suscettibile di lettura critica, interpretazione logica, collegamento con altri elementi probatori acquisiti, in una parola di valutazione di merito”.
Tale metodo è stato seguito anche con riguardo alla posizione del sig. ****, come inequivocabilmente si evince alle pagg. 64 - 68 della decisione della Corte federale, ove il contenuto delle interlocuzioni intervenute tra il ricorrente e i designatori arbitrali è stato sottoposto a vaglio critico e ritenuto condivisibilmente espressivo di un comune intento fraudolento, tale da integrare la fattispecie di cui all’art. 6 del Codice di giustizia Sportiva.
10. Non è suscettibile di positiva valutazione neanche la censura, anch’essa dedotta con il secondo motivo, con la quale si afferma che illegittimamente il contraddittorio con il sig. **** si è svolto solo nella fase dibattimentale mentre avrebbe dovuto essere anticipato alla fase delle indagini.
E’ sufficiente sul punto richiamare quanto già chiarito dal Collegio sub 4 in ordine al momento in cui inizia il procedimento disciplinare. Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, questo inizia, infatti, con il deferimento dell’inquisito alla C.A.F., con la conseguenza che è solo da quel momento che si deve – come di fatto è avvenuto - assicurare il contraddittorio con l’accusato, il quale viene messo in tal modo in grado di dare il proprio apporto partecipativo al provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare di non doversi procedere o di comminatoria di sanzione.
Aggiungasi, al solo fine di moralizzare la vicenda contenziosa, che il sig. ****i in data 7 giugno 2006 (e, quindi, prima del deferimento avvenuto con atto del 22 giugno 2006) ha comunicato per il tramite dei suoi legali di essere divenuto ormai estraneo all’ordinamento calcistico per effetto delle rassegnate dimissioni e di non intendere, per questo motivo, “presenziare alle audizioni in corso”.
Altro rilievo determinante alla reiezione della censura è connesso al fatto che le decisioni degli organi di giustizia sportiva in questa sede gravati sono l’epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale) e non già giurisdizionali, con la conseguenza che non possono ritenersi presidiati dalle garanzie del processo.
Come la Sezione ha già chiarito (8 giugno 2007 n. 5280), alla giustizia sportiva si applicano, oltre che le regole sue proprie previste dal-la normativa federale, per analogia anche quelle dell’istruttoria procedimentale, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi, che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi. Richiamando anche la giurisprudenza formatasi in tema di ricorsi amministrativi di cui al D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, si è evidenziata l’inapplicabilità delle regole processuali di formazione in contraddittorio della prova (tipiche specialmente del processo penale).
Pur valorizzando la disciplina contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo, la giurisprudenza costantemente afferma che contraddittorio e partecipazione sono soddisfatti allorché la parte interessata sia adeguatamente informata della natura e dell’effettivo avvio del procedimento e sia posta in condizione di fornire gli apporti ritenuti utili in chiave istruttoria e logico - argomentativa (Cons. Stato, IV Sez., 30 giugno 2003 n. 3925).
11. Con l’ultima, articolata censura, sempre del secondo motivo di ricorso, il sig. **** deduce che la decisione della C.A.F. è viziata da palese contraddizione, atteso che gli si imputa di aver alterato la classifica senza alterare il risultato di singole partite. Ove si fosse correttamente proceduto, al più il ricorrente avrebbe potuto essere sanzionato per la minore violazione prevista dall’art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva (id est, violazione di doveri di lealtà sportiva), e non per quella prevista dall’art. 6 (id est, illecito sportivo).
Anche questa censura non è suscettibile di positiva valutazione.
Risulta infatti palese, da una corretta lettura dell’art. 6, comma 1, del Codice di giustizia sportiva, che ciò che si è inteso qualificare come “illecito sportivo” e severamente sanzionare non è soltanto l’avvenuta alterazione, con mezzi fraudolenti, del risultato di una determinata partita ma, a monte e innanzitutto, la creazione di una struttura sapientemente articolata e fondata su interessati rapporti con i centri decisionali della Federazione e della classe arbitrale, la cui funzione non è certamente quella di assicurare ad una determinata società, all’interno del “sistema calcio”, un’immagine di strapotere sul piano organizzativo e funzionale, ma di ingenerare a suo favore una situazione di sudditanza psicologica da parte sia degli arbitri, condizionandone l’operato a mezzo dello strumento delle designazioni affidate a persone facenti parte della struttura sopra citata, che delle altre società, boicottandole non solo sul piano strettamente competitivo ma anche su quello del mercato delle acquisizioni, e al tempo stesso di assicurare alla società protetta la consapevolezza che in caso di bisogno non mancheranno tempestivi interventi idonei a fronteggiare, con idonee misure, eventuali situazioni di pericolo. Situazione questa agevolmente realizzabile con il concorso di un arbitro compiacente e disponibile a non vedere all’occorrenza falli compiuti sul campo da giocatori della società protetta e a intervenire con severità su quelli, esistenti o no, imputati ai giocatori della squadra avversaria.
In sostanza ciò che appare decisivo, dal punto di vista strutturale, è la circostanza che l’illecito sportivo di cui all’art. 6, I e II comma, del C.G.S. si configura come illecito di pericolo, o, meglio, a consumazione anticipata, concretandosi nel compimento, con qualsiasi mezzo, di atti funzionalmente preordinati ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare un vantaggio che poi si rifletterà nella classifica.
Non rileva, quindi, al limite, che l’arbitraggio sia stato effettivamente parziale, ma piuttosto l’idoneità degli atti compiuti a conseguire il risultato lesivo, ovvero la messa in pericolo del bene protetto.
12. Quanto alla dedotta disparità di trattamento, a prescindere dalla genericità – e, quindi, dall’inammissibilità – della censura per omes-sa indicazione dei nominativi di coloro che sarebbero stati destinatari di un diverso è più favorevole trattamento, è assorbente la considerazione che tale figura sintomatica dell’eccesso di potere richiede che situazioni identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ed è evidente che tale giudizio di equivalenza risulta precluso dall’accertamento di autonome fattispecie di responsabilità.
13. La reiezione dei motivi dedotti con l’atto introduttivo del giudizio comporta la reiezione dei motivi, pressoché identici, dedotti con il primo atto di motivi aggiunti.
14. Infine, per quanto attiene ai secondi motivi aggiunti dedotti per l’annullamento del lodo arbitrale, essi sono da respingere nella parte in cui prospettano vizi di illegittimità derivati da quelli già denun-ciati con l’atto introduttivo del giudizio e nella via dei primi motivi aggiunti. Ed invero, a prescindere dal fatto che non risulta chiarito quali fra i vizi imputati agli atti già impugnati si rifletterebbero anche sul lodo, in ragione del suo contenuto, è assorbente la considerazione che tutte le censure contro di esso dedotte sono state motivatamente disattese.
Non assecondabile è anche l’altro motivo di doglianza, con il quale si imputa al Collegio arbitrale un comportamento contraddittorio per aver dichiarato la sua incompetenza ad emettere il loro arbitrale senza aver contestualmente annullato le pronunce disciplinari adottate a carico del sig. ****. Sembra al Collegio agevole opporre che illogica sarebbe la decisione collegiale (non contestata peraltro nella parte afferente la dichiarata incompetenza) se la camera arbitrale, dopo aver dichiarato la sua incompetenza a pronunciare nella materia de qua, si fosse sentita autorizzata ad intervenire con effetti demolitori sulle decisioni in precedenza assunte dai giudici sportivi.
15. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
( F. M. I.)
Mercoledi 19 Marzo 2008