giovedì, marzo 24, 2011

Bruti Liberati, Greco e Boccassini, perché negate il fascicolo chiesto dall'Avvocato Gallinelli?

Edmondo Bruti Liberati, Francesco Greco e Ilda Boccassini, basta proteggere Tronchetti Provera e Massimo Moratti, tirate fuori il fascicolo modello 45  e consegnatelo all'Avvocato Gallinelli... serve alla giustizia sportiva per fare luce sulla genesi di Calciopoli.
Francesco Calabrone
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Gallinelli: Il fascicolo modello 45 serve alla giustizia sportiva, potrebbe far luce sulla genesi di Calciopoli.

L'avvocato Gallinelli: Si disseppellisca il fascicolo modello 45 - Soprattutto dopo l'interrogatorio-show di Nucini nell'aula 216 del Tribunale di Napoli, sarebbe fondamentale riportare alla luce del giorno il fascicolo modello 45 archiviato a Milano, per comprendere come siano andate effettivamente le cose in procura tra la Boccassini e Nucini (che ha asserito di aver parlato solamente di calcio...) e per far luce addirittura sulla genesi di Calciopoli.

E, come racconta a Tuttosport  l'avvocato difensore di Massimo De Santis, Gallinelli, in più d'uno sarebbero interessati a consultarlo. Persino la Boccassini stessa, visto che "di fatto Nuci­ni l’ha accusata di due gravissi­me irregolarità. Parlando del­l’ormai famosa convocazione che ricevette dalla Boccassini, il testimone ha detto sotto giura­mento che in quell’occasione non ci fu un verbale e che la Bocas­sini lo convocò in assenza di un procedimento penale in corso.

Se fosse vero sarebbero due gravissime violazioni, perché si deve verbalizzare sempre e perché non si possono convocare persone senza che ci sia un procedimento in corso. Dubito che un pm attento come la Boccassini possa aver commesso errori del genere e quindi tendo a pensare che Nucini abbia mentito, quindi sia anche passibile di falsa testimonianza".

Se il fascicolo in questione venisse fuori (e il legale di De Santis l'ha chiesto sia alla Boccassini che a Bruti Liberati, senza ottenere ad oggi risposta), anzitutto si chiarirebbe "se esiste un 'verbale Nucini' e un esposto che avrebbe innescato la breve e infruttuosa indagine". Infruttuosa per la Procura, che l'ha archiviato come modello 45, cioè non contenente notizie di reato; ma che potrebbe diventare fruttuosa per la giustizia sportiva.

Sarebbe infatti forse in grado di  far luce sulla genesi di Calciopoli, che potrebbe essere legata a doppio filo alle indagini private e illegali di matrice nerazzurra per mezzo della security Telecom e di Giuliano Tavaroli: "Un'ipotesi, quest'ultima che finora ha trovato riscontri nelle deposizioni dello stesso Tavaroli nel processo Telecom, ma anche di Tronchetti Provera, vicepresidente dell'Inter, ascoltato come testimone in quello stesso procedimento.

 A proposito delle rivelazioni anti-Moggi e anti-De Santis che Nucini aveva dato a Facchetti, Tronchetti disse in sede di incidente probatorio: 'Moratti chiese aiuto alla Procura e si rivolse alla Boccassini'. Ora, l'aiuto non è previsto dal codice che consente di rivolgere alla procura esposti, denunce o querele. E' quindi logico pensare che quell'esposto che permise alla Boccassini di convocare e sentire Nucini fosse firmato da Moratti o da qualcuno legato all'Inter (violazione della clausola compromissoria) e che, chissà, contenesse una parte delle indagini private condotte per conto dell'Inter.

Insomma sarebbe davvero interessante leggere quel fascicolo e capire perché la Boccassini l'ha tenuto segreto". Quindi, tenuto conto della rilevanza che tutto ciò potrebbe avere in sede di giustizia sportiva, un altro personaggio che dovrebbe essere più che interessato a richiederlo è il procuratore Palazzi, che il 31 marzo sentirà Moratti: il fascicolo modello 45 potrebbe offrire al procuratore federale spunti rilevanti per domande davvero mirate a far luce su Calciopoli.

Francesco Calabrone
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Riccardo Viola, figlio di dino padrone della Roma: mio padre era un corruttore

Riccardo Viola, ha confessato che l'arbitro del match, il belga Vautrot, venne comprato da suo padre,
mediaset, Riccardo Viola, l'arbitro belga Vautrot, venne comprato da mio padre,
"La Roma pagò l'arbitro del Dundee". Il figlio di Viola si confessa alla Tribù - 17/03/11

"Che la Roma abbia dato a un intermediario 100 milioni per l'arbitro Vautrot è vero ed è un fatto vergognoso: però voglio ricordare che lo scandalo lo fece uscire Dino Viola per smascherare il colpevole e la Cupola del calcio. Una denuncia, insomma". Chi parla così, da testimone oculare di tutta la vicenda, è Riccardo Viola, figlio del presidente della Roma Dino, che ai microfoni della 'Tribù del Calcio' rievoca lo scandalo legato a Roma-Dundee del 25 aprile 1984, semifinale di Coppa dei Campioni, con i giallorossi che rimontano lo 0-2 dell'andata, vincono 3-0 e si qualificano per la finale (poi persa ai rigori contro il Liverpool).

Per la cronaca: la Corte Federale, nel febbraio dell'86, assolse tutti i protagonisti di quello scandalo, ma solo per sopraggiunta prescrizione e specificando di "aver riscontrato un comportamento gravemente censurabile messo in opera dall’ing. Viola. Non può quindi dichiarare caduta l’incolpazione contestata ai signori Landini e Viola in merito al passaggio della somma di 100 milioni".

Per la prima volta dopo 27 anni Riccardo Viola, a quei tempi giovane dirigente giallorosso, ricorda quel che successe nei giorni precedenti la partita. "Arriva il signor Landini, manager del Genoa, parla con Viola e gli dice: Vautrot è un amico e attraverso un altro mio amico si può arrivare a lui. Ma bisogna dare all'arbitro 100 milioni. Noi rispondiamo: che sicurezza abbiamo che Vautrot prenda questi soldi?". Ci si accorda per un segnale convenzionale che avvenga alla vigilia del match: "Noi organizziamo una cena con l'arbitro e chiediamo un segnale che effettivamente dimostri che qualcosa di vero in tutto questo c'è. Nel corso della cena arriva un cameriere che si rivolge all'arbitro e dice: 'Il signor Vautrot al telefono'. Quello era il segnale. Quando Vautrot dopo essersi assentato ritorna al tavolo, ci dice: 'Ha chiamato l’amico Paolo e mi ha detto di salutarvi'. Allora io mi alzo, chiamo papà e gli dico: 'essaggio arrivato'".

Riccardo Viola non esita ad ammettere che la consegna del denaro ci fu: "Tutto questo è stato fatto perché di fronte a una partita del genere dire di no non è facile. Tirarsi indietro poteva avere gravi ripercussioni". E alla domanda su chi fosse il misterioso Paolo amico di Vautrot e garante occulto dell’operazione, il figlio di Viola dice: "Chi fosse l'amico Paolo non l'abbiamo mai saputo. Papà domandava a tutti e in quel periodo c'erano solo due possibili Paolo, Casarin e Bergamo. Lui parlò con entrambi, ma finì che entrambi si accusarono a vicenda".

La puntata in onda sabato prevede altre tre grandi interviste: a Kalle Rummenigge, che ripercorre la sua carriera di fuoriclasse assoluto (2 Palloni d’oro nell'80 e nell'81) con particolare attenzione alla parentesi interista; Riccardo Zampagna, il bomber capace di segnare gol meravigliosi in rovesciata (e non solo); Simone Barone, il centrocampista campione del mondo a Berlino 2006 che oggi, a 32 anni, si ritrova inattivo e disoccupato. E molto altro ancora.

http://www.sportmediaset.mediaset.it/calcio/articoli/55684/la-roma-pago-larbitro-del-dundee.shtml

domenica, marzo 20, 2011

Storia del sentimento popolare in pillole

GIÙ LE MANI DALLA JUVE

BeppeBio

In seguito alla vergogna di farsopoli, la mia passione per il calcio e per la Juve ha attraversato un periodo di profonda crisi, dovuto sia al disgusto per aver visto la proprietà dare (oppure chiedere?) il suo “smile-assenso” alla retrocessione in B che all’amara constatazione di come campionati e coppe nazionali si fossero trasformati in asservimento al potere del petrolio.

E così, ho smesso di interessarmi al calcio e ho preferito dedicare ad altro il mio tempo libero.
Poi, però, un giorno mi sono imbattuto in questa frase di Gigi Moncalvo “I registi di calciopoli non si rendono conto che cosa hanno creato in tutti noi: un orgoglio, una voglia di ribellione, un desiderio di verità e soprattutto una voglia di metterci a confronto con questi qua, per rinfacciargli tutte le date e le vicende in maniera convincente e chiara. Per questa nostra pericolosità non ci invitano più nelle trasmissioni, perché siamo documentati “ e la voglia di combattere contro i veri cupolisti del nostro calcio per contribuire a rendere giustizia alla Juventus - quella vera, quella dell’ Avvocato e del Dottore - mi
ha ridato entusiasmo.

E allora mi sono documentato e, tra le varie cose, ho studiato a fondo il cosiddetto sentimento popolare anti-juventino nel suo evolversi dalle origini ai giorni nostri e ho deciso di divulgarne un breve riassunto “in pillole” perché conoscere il passato - anche se qualcuno vorrebbe farcelo scordare – illumina il presente e fa intravedere il futuro.

1) GLI ALBORI TORINESI DEL SENTIMENTO POPOLARE ANTI-JUVENTINO
Nel 1905, dopo aver vinto il suo primo scudetto, la Juventus decide di passare al professionismo, anche grazie all’aiuto economico fornito da simpatizzanti bianconeri dell’aristocrazia sabauda. La cosa non è piaciuta ad alcuni giocatori che vedevano tradito lo spirito decoubertiano della pratica sportiva e, così, capeggiati dallo svizzero Alfredo Dick, hanno preferito lasciare la squadra e andare a fondare il Torino insieme a quelli della FC Torinese. Da quel momento in poi, i granata hanno iniziato contrapporsi ai bianconeri sostenendo che, in città, erano rimasti solo loro gli interpreti “del calcio onesto e pulito, quello che infiamma di passione il più puro e genuino sentimento popolare”, mentre gli juventini si erano venduti al potere del denaro di chi il popolo lo sfruttava con angherie e soprusi.

2) I PRIMI VAGITI NAZIONALI DEL SENTIMENTO POPOLARE ANTI-JUVENTINO
Il sentimento popolar-torinista anti-juventino inizia a diventare popolar-italiano durante la presidenza di Edoardo Agnelli (1923-1935). Infatti, gestita in modo impeccabile dal padre di Giovanni e Umberto, la Juventus vince il titolo di campione d’Italia per 5 anni consecutivi (1930-1935), attirandosi i rancori e l’invidia degli avversari, tra i quali si sono soprattutto distinti i precursori degli attuali piagnoni dell’Inter, ovvero i dirigenti e i giocatori dell’Ambrosiana, piazzatasi in quel quinquennio per 3 volte al secondo posto.

A quell’epoca il potere mediatico non era certo quello dei nostri giorni, ma nei bar dello sport circolavano già dei “sentito dire” secondo cui i bianconeri godevano dei favori della Federcalcio a motivo delle ottime relazioni che la Fiat intratteneva con regime fascista, trovandosi così in una situazione di grande vantaggio sulle altre squadre. In realtà, gli Agnelli erano fervidi monarchici e non avevano alcuna simpatia per Mussolini e compagni ma è anche vero che, in un Paese in cui regnava la povertà e i lavoratori venivano selvaggiamente sfruttati dai padroni, l‘accostamento sportivo Juve = Fiat = Potere non era poi tanto diverso dall’invenzione della cupola moggiana dei nostri giorni. E così, nei piagnistei negli anni 30 come in quelli odierni, la Juve non vinceva perché schierava giocatori fortissimi (Combi, Rosetta, Caligaris, Monti, Bertolini, Ferrari, Borel II e Orsi, trionfatori assoluti dei mondiali del 1934) ma perché rubava, proprio come faceva la Fiat con i suoi operai.

3) L’AFFERMAZIONE DEL SENTIMENTO POPOLARE ANTI-JUVENTINO
Il sentimento popolare anti-juventino si afferma però come una realtà inscindibile dal calcio italiano durante la presidenza di Giovanni Agnelli (1946-1954) e, successivamente, del fratello Umberto (1955-1962). Infatti, l’Avvocato e il Dottore hanno guidato la squadra in un periodo molto difficile per l’Italia che, uscita distrutta dalla seconda guerra mondiale, ha dovuto affrontare la ricostruzione economica in un’atmosfera fortemente condizionata da lotte di classe e rivendicazioni sociali legittime e non. In un simile contesto, la Fiat è stata presa di mira come il simbolo dell’opprimente potere padronale in stretto connubio con quello governativo, per cui anche la Juve ha subito simil sorte e ha iniziato a essere odiata da tutti coloro che non tifavano bianconero. La data che segna l’inizio dell’affermarsi del sentimento popolare anti-juventino vero è proprio può essere considerata quella del 3 giugno 1961, quando la CAF ha deciso di far ripetere l’incontro Juventus - Inter sospeso il precedente 13 aprile al 31° del primo tempo (0-0) per la presenza di pacifici spettatori sulla pista del Comunale, dopo che, in un primo tempo era stato assegnato lo 0-2 a tavolino alla squadra nerazzurra.

Di fronte a questa situazione, Angelo Moratti ha rivolto dure parole di accusa alla Federcalcio, sostenendo che la CAF aveva subito pressioni da Umberto Agnelli (che in quel periodo era contemporaneamente presidente Juve e Figc) per prendere quell’ingiusta decisione di parte, che in pratica sanciva il furto del titolo da parte dei bianconeri ai danni dell’Inter. In realtà, poiché il campionato si era concluso con la seguente classifica: Juve 47 e Inter 44, se anche fosse stato confermato lo 0-2 a tavolino lo scudetto sarebbe andato lo stesso a Sivori e compagni, per cui la clamorosa forma di protesta adottata dal presidente nerazzurro (far scendere in campo la “primavera” del giovanissimo Sandro Mazzola nel suddetto recupero) è servita solo ad aizzare il sentimento popolare anti-juventino con sospetti cupolistici (ma guarda, qualis pater talis filius) per giustificare una sconfitta in campionato causata da un evidentissimo calo fisico nella parte finale del torneo (troppe pillole date da Herrera ai giocatori, come ha denunciato Ferruccio Mazzola?). E così nel prosieguo degli anni 60, mentre Angelo Moratti la faceva da padrone comprando arbitri in Italia e all’estero grazie al duo Allodi-Solti, è stata la Juve ad essere accusata di “rubare” anche se nel decennio considerato ha vinto il titolo (il 13°) soltanto nel 1966-67.

4) LA CONSACRAZIONE DEL SENTIMENTO POPOLARE ANTI-JUVENTINO
Nel 1970 nasce "90° minuto", un programma tv che mostra le immagini delle partite di Serie A ad appena 45' minuti dalla loro conclusione. La televisione scavalca così la stampa nella cronaca dell'evento sportivo perché l'offerta televisiva "sazia" l'appassionato nello stesso giorno in cui si svolgono le partite. Quello che l’appassionato ora vuol sapere dalla carta stampata non sono più i “come” dato che li ha visti, ma i “perché” e gli eventuali retroscena dei fatti.

La risposta che dà la Gazzetta dello Sport a questa nuova esigenza del lettore rappresenta un nuovo capitolo nella storia del giornalismo sportivo italiano. Infatti, la RCS - dopo aver acquistato la rosea nel 1976 dalla Nuove Edizioni Sportive (per ironia della sorte, società appartenente al Gruppo Fiat) - conferisce l’incarico di direttore del quotidiano a Gino Palumbo, che rivoluziona completamente lo stile del giornale
(sino ad allora intellettualmente onesto e imparziale nei suoi giudizi sportivi) trasformando i suoi reporter in una sorta di segugi aizzati alla ricerca di polemiche, sospetti e accuse che si agiatano al di fuori dei terreni di gioco; polemiche, sospetti e accuse possibilmente anti-juventine, dato che negli anni 70 la Juve di Zoff, Anastasi, Bettega…ecc era tornata a vincere e a minacciare l’egemonia meneghina rosso-nero-azzurra.

Dopo l’episodio del gol annullato a Turone (16 maggio 1981) in fuorigioco per le immagini del Telebeam ma non per i romanisti e la Rai giallorossa, Gazzetta, Corriere dello Sport e CorSera sanciscono una sorta di “santa alleanza” contro la Juventus, attaccandola ogni qualvolta se ne presenta una minima occasione e festeggiando con gioia tutte le sue sconfitte (vedi ad esempio la cerimonia di premiazione di Felix Magath - autore del goal partita nella finale di coppa campioni persa dai bianconeri ad Atene nel 1983 - organizzata dall’accoppiata Corsera & Gazzetta e trasmessa in televisione dall’associata combriccola anti-juventina della Rai).

E che ha fatto la Juve per difendersi da queste mirate e vergognose aggressioni mediatiche? Poco o nulla, proprio come accade ancora oggi, in rispetto di uno “stile Juventus” voluto dagli Agnelli e sancito da Boniperti, che prevedeva dichiarazioni pacate e perlopù limitate al solo fatto sportivo in sè, nessuna polemica al di sopra delle righe e scarse o nulle partecipazioni alla DS o alle trasmissioni radiofoniche della Rai (che in quel periodo deteneva il monopolio del broadcasting), lasciando ai risultati del campo la sola risposta all’antijuventinismo.E così, mentre i media avversari hanno inveito contro la Juve per tutti gli anni 80 sancendo la definitva consacrazione del sentimento popolare anti-juventino, la dirigenza bianconera ha replicato quasi sempre solo con le batttute spiritose dell’Avvocato e quelle di Boniperti che lasciava lo stadio al termin del primo tempo, finendo col confermare le accuse degli avversari in una sorta di “chi tace acconsente”.

5) IL TRIONFO DEL SENTIMENTO POPOLARE ANTI-JUVENTINO
Ciò che è accaduto a partire dall’inizio della gestione Giraudo-Moggi (1994) sino ai nostri giorni è storia talmente conosciuta che mi limito solo a ricordare i principali eventi:

* 6 aprile 1988: il presunto fallo di Iuliano su Ronaldo scatena una vera e propria “intifada” antibianconera da parte di Moratti e di tutti i non juventini, culminata nell’inizio di farsopoli che io faccio risalire alle indagini mirate ed esclusive di Guariniello che, prendendo spunto dai deliri di Zeman sui farmaci usati dalla Juve (luglio-agosto 1988), tendono a denigrare il più possibile le vittorie dei bianconeri di fronte all’opinone pubblica

* 7 maggio 2000: il gol di Cannavaro annullato da De Santis in Juve - Parma trasforma la Juventus in una congrega di mafiosi capaci di condizionare i campionati, facendo passare in secondo piano passaporti truccati e vergognosi aiuti arbitrali alla Lazio, culminati nella vergogna della piscina di Perugia

* 27 maggio 2004: dopo la morte di Umberto Agnelli, inizia una scandalosa campagna mediatica contro la Juve di Moggi e Giraudo cui collabora anche la Stampa di Torino per ordine di John Elkann & Montezemolo, che strizzano l’occhio a Moratti per confermargli il loro assenso a farsopoli

* primavera - estate 2006: le dichiarzioni di John Elkann che - di fronte ai primi ragli rosei – confermano la vicinanza della proprietà solo ai giocatori e all’allenatore e, soprattutto, la richiesta dell’avvocato Zaccone della serie B nel processo sportivo segnano il trionfo assoluto del sentimento popolare anti-juventino, che trova conferme definitive alle proprie “teorie da bar” proprio nel fatto che gli stessi accusati ammettono la loro colpevolezza

* processo di Napoli: un trionfo che risulta ancor più evidente nella non–reazione della società di fronte a quanto emerso nelle udienze partenopee di calciopoli, che testimoniano l’assoluta inconsistenza dei teoremi sanciti dall’invenzione dell’illecito strutturato e dall’operato di Narducci, ultimamete teso soprattutto a evitare che si arrivi a sentenza. Infatti, sui media si parla ancora di sequestro Paparesta, sorteggi truccati, doping e quant’altro senza che la dirigenza della Juve prenda una posizione forte e decisa contro queste infamie, limitandosi a fare esposti a chi di esposti non se ne cura oppure a prendersela con Tuttosport, dimostrando così una sucettibilità degna del peggior Moratti.

Per cui, come accennato all’inizio, se il passato illumina il presente e fa intravedere il futuro, il nostro futuro in merito al sentimento popolare anti-juventino è tutt’altro che roseo, a meno che con “roseo” non s’intenda la resa incondizionata dei dirigenti bianconeri ai soprusi mediatici compiuti da chi è pagato per “promuovere” il marchio Inter e dei loro alleati.

Un caro saluto a tutti da BeppeBio

giulemanidallajuve.com
Articolo di BeppeBio del 15/03/2011 13.58.30
http://www.giulemanidallajuve.com/newsite/tifoso_dettaglio.asp?id=1394

Roberto Calabrone

mercoledì, marzo 16, 2011

NIENTE DI PENALE - LA TELA DEL RAGNO

"Il fatto che l’Inter abbia vinto dopo Calciopoli dimostra quanto questa sia stata una vera truffa per il calcio italiano, una prova in più di quanto stava accadendo. Era frustrante quando dicevano che spendevo e non vincevo. Calciopoli è stata una cosa veramente volgare oltre ad una fregatura economica".
IL CORRUTTORE & IL CORROTTO

Queste parole del Presidente dell’Inter, Massimo Moratti, hanno aperto i lavori del seminario “Il calcio e chi lo racconta”, organizzato dall’Unione Stampa Sportiva Italiana e dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio.

Chi, come noi, sta seguendo accuratamente tutte le fasi del processo di Napoli, di fronte a queste aberranti dichiarazioni, così poco rispettose delle verità che stanno scaturendo in sede giudiziaria, è rimasto totalmente basito. Ovviamente, il giorno dopo, i principali media italiani hanno dato ampio risalto alle parole del petroliere italiano con la passione per il calcio, ma nessun giornalista ha rimarcato che l’attuale Presidente dell’Inter continua ad accusare gli altri di truffa per azioni commesse anche dalla società nerazzurra.

Nel mese di luglio 1999 Massimo Moratti è uno dei sei dirigenti di società che si reca a casa di Franco Carraro per dar vita alla ormai famosa cena delle “sette sorelle”, ove alle squadre allora più ricche veniva data la possibilità di scegliersi i designatori loro graditi, a discapito delle altre 13 squadre partecipanti alla serie A (Moratti votò per Paolo Bergamo).

Massimo Moratti parlava con i designatori, così come Giacinto Facchetti, il quale, oltre a telefonare ad arbitri in attività, ne incontrava uno in gran segreto adoperandosi per trovargli una sistemazione lavorativa in cambio di informazioni sul settore arbitrale. In una telefonata è possibile ascoltare da Facchetti che Moratti ha un regalo per Paolo Bergamo, il quale viene invitato a passare dalla sede per ritirarlo,
https://www.youtube.com/watch?v=tmOjdvNplMM

in un'altra l’arbitro Bertini racconta a Bergamo dell'imbarazzante visita di Facchetti nello spogliatoio (quella dello score 4-4-4, ndr) prima della semifinale di Coppa Italia a Cagliari.
https://www.youtube.com/watch?v=X5x6JYWiNj4

Celeberrime ormai le telefonate in vista del sorteggio per Inter-Juventus, ove lo scomparso Presidente dei nerazzurri chiede a Mazzei, e successivamente a Bergamo, di aggirare il sorteggio inserendo nella griglia 'a tre' Collina più due arbitri preclusi,
https://www.youtube.com/watch?v=-BQx3Opwgw8
https://www.youtube.com/watch?v=ezJCMEaXR1Y

al fine di ottenere Collina (arbitro molto gradito alle squadre di Milano e non solo per questioni di bravura, considerate le numerose telefonate con Meani, dirigente del Milan, avversario della Juventus per la lotta scudetto, ove si organizzavano anche incontri con Galliani).

L’Inter, oltre a commissionare spionaggi sul settore arbitrale e su società avversarie (vedi processo Telecom e le dichiarazioni di Tavaroli), ha usufruito dell’antisportiva legge spalmadebiti ed è stata una delle prime ad usare lo stratagemma di vendere il proprio marchio per ripianare i passivi di bilancio. Oltre alle plusvalenze e ai passaporti falsi, vi è stato anche l’enorme conflitto di interessi della sponsorizzazione del campionato di Serie A da parte della Tim, allora controllata dal secondo azionista di maggioranza dell’Inter, Marco Tronchetti Provera.

Davanti a cotanta evidenza di fatti, non possiamo non parlare di una precisa strategia di manipolazione delle notizie, che sembra tratta da “Le élite del potere” del sociologo americano Charles Wright Mills, che già negli anni ’50 analizzava la struttura del potere “reale” nelle democrazie occidentali.

Per Wright Mills la gerarchia del potere “reale” è così strutturata: alla base vi è la massa dei cittadini comuni, la cosiddetta classe media, che, privata di valori di riferimento, si connota per un individualismo conformista ed un’intrinseca incapacità di porre azioni politiche organizzate; la base ha un limitato potere di influenza e di azione, confinato alle relazioni del mondo della vita quotidiana.

Poi vi è il livello intermedio, che è una struttura visibile, composta da politici di professione, amministratori locali, dirigenti ed amministratori di organizzazioni pubbliche e sindacali, operatori culturali e dei mass media (giornalisti): una pluralità differenziata ed equilibrata di poteri subalterni che asseconda il “vertice” pur di mantenere lo “status quo” acquisito.

Ed infine abbiamo il “vertice” che detiene l’effettivo potere di indirizzo della società ed è gestito in modo occulto dall’élite di potere; si tratta di una minoranza organizzata, composta da pochi soggetti: “l’appartenenza al vertice del potere deriva da posizioni istituzionali che vengono occupate, con una continua osmosi fra gerarchie, da un gruppo ristretto per il quale esse diventano una sorta di bene ereditario”.

Sulla scorta della gerarchia del potere reale, Wright Mills identifica le tre forme principali di esercizio del potere: l’autorità (è il potere dotato di legittimità consapevolmente riconosciuto e ubbidito; nelle società democratiche nasce dal mandato popolare ed è esercitato da rappresentanti liberamente eletti), la coercizione (è il tipo di potere caratteristico dei regimi autoritari è detenuto da chi controlla le istituzioni come una proprietà privata e non esita a far ricorso apertamente alla forza per affermare il proprio dominio) e la manipolazione (è l'esercizio segreto del potere, sconosciuto a chi ne subisce l'influenza. Viene esercitata per via indiretta dall’élite del potere attraverso l'apparato culturale che comprende le istituzioni educative, religiose, culturali e i mass media; esso costituisce parte integrante del livello intermedio del potere).

Attraverso i mass media diventa possibile formare le opinioni, sollevare o neutralizzare i problemi, canalizzare i bisogni e le aspirazioni, orientare gli atteggiamenti, senza che appaia mai direttamente il collegamento con le élite dominanti, ma anche giustificare atti di coercizione utilizzando la mistificazione. I gruppi di potere così strutturati si suddividono per sfere di interessi il controllo dell’apparato statale; requisiti fondamentali per la tenuta del gruppo (o delle ‘cricche’) sono una forte coesione interna, meglio se spalmata su base familiare, dettata dalla comune estrazione sociale e da un sistema di idee condivise; le élites, per loro stessa natura, tendono a riprodursi, attraverso una rete di relazioni personali, volte alla conservazione del potere acquisito, sulle basi privilegiate proprie del sistema oligarchico. Godono delle rendite di posizione, ma di proprio rischiano pochissimo.

Antonello Caporale, giornalista di Repubblica, nel suo libro “Mediocri” scrive: “L’Italia è tutta un club. Un immenso Rotary. Il vero potere è nella corporazione. Nella rete. Per avere successo, o semplicemente garantirti un futuro certo, devi iscriverti.(…) L’immobilismo è la chiave che permette alle lobby di beneficiare in eterno delle loro prerogative indiscusse. Così l’imperativo diventa: non cambiare, ancorarsi al passato e trasmetterlo alle nuove generazioni di eletti.(…) La mediocrità si organizza in reti per due ragioni essenziali. In primo luogo da solo nessuno è mediocre: la mediocrità emerge se è possibile un confronto e se c’è competizione. Almeno in potenza. In secondo luogo le reti rafforzano e si nutrono della mediocrità rendendola ‘absoluta’, sciolta da tutto quello che non rientra nel suo mondo di riferimento, avulsa da chi non ne condivide le regole.(…) Quando le reti lavorano per modificare la società, lo fanno soprattutto per adattarla alle proprie esigenze.”

In Italia un fiorente corporativismo si sviluppa nei Rotary, nei salotti “buoni” della Roma bene e nei circoli sportivi capitolini; celeberrimo il Circolo Canottieri Aniene, a numero chiuso (1016 iscritti, rigorosamente di sesso maschile) e con una quota d’iscrizione ammontante a 25 mila euro cui si aggiunge la quota annuale.

-Presidente Giovanni Malagò e annovera tra i suoi iscritti:
-Luca Cordero di Montezemolo (Presidente della Ferrari e componente di numerosi altri Consigli d’Amministrazione, oltre ad ex Presidente della --Confindustria),
-Gianni Letta (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio),
-Luigi Abete (Presidente di BNL, oltre a numerosi svariati incarichi),
-Gianni Petrucci (Presidente del C.O.N.I.),
-Franco Carraro (ex Presidente della F.I.G.C., Membro della Giunta del C.O.N.I. ),
-Pasquale De Lise (ex Presidente del TAR Lazio e componente della Corte di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.),
-Mario Pescante (ex Presidente del CONI),
-Alberto Tripi (il signore dei call-center e socio di Marco Tronchetti Provera),
-Elio Catania (Presidente dell’ATM Milano su nomina del sindaco Letizia Moratti),
-Vittorio Silvestri (revisore della Corte dei Conti),
-Massimo Sarmi (Amministratore delegato delle Poste),
-Alessandro Benetton (Consigliere d’Amministrazione di Edizione srl, la holding del gruppo Benetton ed Autogrill, che detiene oltre il 5% di RCS Mediagroup),
-Famiglia Toti (costruttori),
-Nerio Alessandri (Presidente di Technogym e dal 2004 nel Direttivo di Confindustria, presieduto dal Luca Cordero di Montezemolo),
-Francesco Gaetano Caltagirone (potente costruttore romano, editore del Messaggero, nonché suocero di Pierferdinando Casini),
-Giulio Andreotti (il Senatore a vita),
-Cesare Romiti (Presidente onorario del gruppo RCS Media Group),
-Francesco De Simone (padrone della Uliveto, che da anni sponsorizza la Nazionale Azzurra),
-Carlo Toto (Azionista della nuova Alitalia-CAI),
-Andrea Ronchi (esponente di punta del movimento finiano Futuro e Libertà) e tanti altri esponenti di punta del mondo imprenditoriale, politico, giudiziario, giornalistico, degli apparati dello Stato, compresi personaggi in vista dello spettacolo e dello sport.

In tal modo, con i crediti giusti, pochi uomini di “talento”, che rispondano ai requisiti della “Triple C”, sono in grado di muovere, con perizia, i singoli pezzi del livello intermedio e possono gestire a piacimento il “gioco”.

Nella tela di Calciopoli, ormai da oltre quattro anni, sono rimasti intrappolati numerosi dirigenti sportivi, arbitri ed assistenti, giornalisti ed anche un’impiegata della F.I.G.C.: tutti esposti alla gogna mediatica con accuse che vanno dall’associazione a delinquere (accostandoli ai mafiosi o ai massonici) alle frodi sportive; famiglie e persone distrutte da infamie pesantissime, oltre a “violente” intrusioni nelle loro vite private. Alcune persone rimaste impigliate nella ragnatela, non essendo i “bersagli reali” della farsa, sono stati anche “invitate” ad ammettere le presunte responsabilità, in cambio della recisione dei fili e della sottrazione alla gogna pubblica (per fortuna ben pochi hanno accettato); altri che avrebbero dovuto svolgere il ruolo di testimoni dell’accusa, rifiutandosi di prestarsi al perverso gioco della mistificazione, continuano ad essere “calpestati” ed “umiliati”, incuranti se queste azioni, abilmente coperte dal livello intermedio, abbiano creato danni irreversibili (significativo come un trasferimento controvoglia di un calciatore miliardario vada a connotare il reato di violenza privata, mentre volgari azioni con usurpazione di diritti inviolabili, comprendenti umiliazioni e diffamazioni, nei confronti di una persona con disabilità vengono trasformate in fisiologici alterchi in ambito lavorativo di natura mobbizzante, vicenda di cui a breve ne daremo il giusto resoconto con ampia documentazione).

Chi sta seguendo il processo di Napoli o ha ascoltato le numerose intercettazioni telefoniche ha un quadro totalmente differente rispetto a quanto da anni i principali organi di informazione continuano a “tessere”. Questa vicenda e tante altre, fondate su intercettazioni telefoniche, hanno contraddistinto la storia italiana in quest’ultimo decennio ed il messaggio che ne scaturisce è chiaro: nessuno si può permettere di alterare l’immobilismo che garantisce il potere dell’elite; gli unici cambiamenti ammessi son quelli che consentono di modificare la società per adattarla alle esigenze della rete.

Wright Mills fondò la sua teoria sull’elite del potere prendendo come esempio la società americana e qualcuno potrà giustamente contestare il fatto che l’Italia ha altre radici ed un’altra storia. E’ in parte vero, ma entrambi i Paesi hanno un comune denominatore: l’essere stati per gran parte della loro storia prede di colonizzatori e, come spiegava egregiamente Paolo Sylos Labini, nel suo libro/testamento “Ahi Serva Italia” questo comporta che la maggior parte dei cittadini ha ormai nei propri geni il servilismo.

Non è un caso che un giornalista (Enzo Biagi), libero da logiche di potere, tanto da pagarne il fio con la “cacciata” dalla Rai abbia scritto sullo scandalo Calciopoli:
“Una sentenza pazzesca, e non perché il calcio sia un ambiente pulito. Una sentenza pazzesca perché costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome. Una sentenza pazzesca perché punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo ambiente, il tutto condito da un processo che era una riedizione della Santa Inquisizione in chiave moderna. E mi chiedo: cui prodest? A chi giova il tutto? Perché tutto è uscito fuori in un determinato momento? Proprio quando, tra Laziogate di Storace, la lista nera di Telecom, poi Calciopoli, poi l’ex Re d’Italia ed ora, ultimo ma non ultimo, la compagnia telefonica Vodafone che ha denunciato Telecom per aver messo sotto controllo i suoi clienti. Vuoi vedere che per coprire uno scandalo di dimensioni ciclopiche hanno individuato in Luciano Moggi il cattivo da dare in pasto al popolino?”.

Persino Cesare Lanza, accanito sostenitore del Genoa, si è così pronunciato in merito a Calciopoli:
“Innanzitutto, non esiste a mio parere un caso Moggi, ma un caso calcio. Perché il mondo del calcio ha consentito, fin da prima di Moggi, che elementari regole di equità sportiva fossero, troppo spesso, stravolte. E così il calcio è diventato a poco a poco un maleodorante bordello in cui tutto si vede e si intuisce, tranne che – quanto meno, succede assai raramente – assistere a sfide, partite, esibizioni di puro godimento tecnico e spettacolare, senza sospetti di influenze corruttive da parte di lobby e potentati di varia caratura e risma….Non c’è giustizia se la legge non è uguale per tutti e se i processi non consentono garanzie per chi è accusato…Non si tratta di infierire su Moggi, né di considerarlo il responsabile (come succede a volte in Italia) di qualsiasi malefatta:un polverone non servirebbe a nulla”. “Ahi Serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di province ma bordello!”

P.S. Il presidente USSI Luigi Ferrajolo e il Direttore della Federcalcio Antonello Valentini [il signor “bisogna mettere della gente funzionale al progetto, al sistema… non è che tu poi lo chiami (parla dell’allora Procuratore Federale, Frascione, e rende perfettamente l’idea su quanto possa essere indipendente la giustizia sportiva, ndr) e gli dici fai così… lui è uno di noi, funzionale al sistema….è una giustizia sui generis la nostra, se ci mettiamo in mano all’opinione pubblica, ci buttiamo la merda in faccia da soli…(ndr peccato che l’opinione pubblica, alias i cittadini, versino annualmente nelle casse della F.I.G.C. oltre 80 milioni di euro di denaro pubblico, oltre a finanziare il calcio tramite scommesse e concorsi a pronostici, abbonamenti allo stadio e pay tv ed acquistando giornali di settore, e pertanto la trasparenza hanno tutto il diritto di pretenderla!!)”] hanno consegnato una targa a Massimo Moratti in apertura di Seminario. - ju29ro.com - (27 Gennaio 2011)

                          http://www.ju29ro.com/contro-informazione/2798-la-tela-del-ragno.html
I CORRUTTORI: TRONKY e IL MINUS HABBENS MASSIMO & L'INFAME TOPO DI FOGNA CATANESE



giovedì, marzo 10, 2011

L’Inter, ovvero il piacere dell’onestà: Onestà patteggiata per disonestà prescritta, uguale etica interista.

 L’Inter, ovvero il piacere dell’onestà
 Farsopoli di G. FIORITO del 14/03/2011
Onestà patteggiata per disonestà prescritta, uguale etica interista 

Palazzi ha finalmente deciso di convocare per il 31 marzo Massimo Moratti, che indispettito ha dichiarato: “… è ridicolo che l'Inter, nella mia persona, debba presentarsi a questa cosa” . Curiosamente la Gazzetta dello Sport, ricordando un poco il duo Chiari/Campanini nel celebre sketch da avanspettacolo nel quale il fratello intelligente esortava quello scemo ad entrare in scena con un eloquente “Vieni avanti cretino”, ha invece ritenuto doverosa la convocazione del superprocuratore, in quanto “è un'istruttoria che nasce dall’esposto della Juve sull’assegnazione dello scudetto 2006”. Basato come tutti ricorderete su criteri di probità sportiva. Ma quali sono i connotati che contraddistinguono l’etica del presidente dell’Inter?

Anzitutto il caffè. Come quello della Peppina non si beve né col latte né col tè, ma se qualcuno osa metterne in dubbio quel tanto di onestà, finisce nelle grinfie degli avvocati. Così è accaduto per il libro che la casa editrice Bradipolibri ha pubblicato nel 2004 a cura di Fabrizio Calzi, dal titolo “Il terzo incomodo” . Le pesanti verità di Ferruccio Mazzola, nel quale il fratello di Sandro sosteneva che negli anni ‘60 nell’Inter si facesse un "uso disinvolto del doping per potenziare al massimo le prestazioni della squadra ". Giacinto Facchetti citò per diffamazione la Bradipolibri, richiedendo per la società milanese un risarcimento di un milione e mezzo di euro per danni morali, ma la causa fu persa.
Così si è verificato anche all’uscita del documentario “Oil”del regista Massimiliano Mazzotta e del libro “Nel paese dei Moratti” di Giorgio Meletti, che si sono visti al centro di iniziative legali finalizzate ad impedirne la visione e la lettura per aver portato a conoscenza lo scempio ambientale e umano derivato dalla gestione della SARAS, la raffineria di Sarroch, in Sardegna, che i fratelli Gianmarco e Massimo Moratti hanno ereditato dal padre.
Tra i vari ed eventuali indizi di onestà spicca l’auto-attribuzione di trofei a tavolino, primo fra tutti lo scudetto 2005/2006. Vero fiore all’occhiello dell’Inter di Moratti. Revocato alla Juventus da un processo sommario, Massimo fece il diavolo a quattro per spiegare urbi et orbi che andava assegnato, altrimenti il calcio italiano, che si apprestava a vincere i mondiali con la partecipazione di 17 elementi in odore di bianconero, avrebbe fatto la figura di essere corrotto agli occhi del mondo. I tre saggi furono chiari e stabilirono che lo scudetto di cartone poteva essere assegnato solo in presenza di requisiti di assoluta probità sportiva e il commissario Guido Rossi fu lesto a riconoscerli alla sua squadra del cuore. Fu visto infatti con sciarpa nerazzurra al collo, sia prima che dopo l’estate del 2006, tifare l’Inter allo stadio, compresa la finale di Champions League vinta con esubero di sviste arbitrali a favore, leit motiv dell’Inter triplettara. Che cosa lo convinse al gesto magnanimo? La sua fede calcistica, il patteggiamento di reati penali in data 25 maggio 2006, quali l’uso di passaporti falsi e la ricettazione di una patente rubata da parte del giocatore Recoba e del dirigente dell’Inter Oriali o l’essere negli anni a ridosso di calciopoli un pendolare tra il cda dell’Inter, la FIGC e la presidenza della Telecom? Dell’epilogo della sua carriera taccio in questo contesto.
Nella stessa estate di calciopoli, a cavallo tra il tentato suicidio di Pessotto e quello presunto di Adamo Bove, due settimane prima che la Juventus fosse retrocessa, il cda dell’Inter approvava il bilancio annuale. E si predisponeva a fare finanza creativa per cercare di rientrare nei parametri COVISOC per l’iscrizione ai campionati. Dal momento che non è nemmeno sicuro che avrebbe potuto iscriversi a quello per il quale fu scudettata a tavolino. Come ebbe a dire il PM Nocerino, che condusse le indagini e fu attivo al processo per i falsi in bilancio celebrato contro Inter, Milan, Sampdoria, Genoa, Udinese e Reggina. Bisogna ricordare invero che di un processo per doping amministrativo sarebbe stata omaggiata anche la Juventus, anche se la Triade ne sarebbe uscita fuori, nel novembre 2009, pulita perché “il fatto non sussiste”. Nata da alcune dichiarazioni di Gazzoni Frascara, il presidente del Bologna poi finito negli stessi guai, bilanciopoli è comunque tutta un’altra storia rispetto a calciopoli.

Nel giugno 2008 le sei squadre menzionate furono passate al vaglio della giustizia sportiva per aver falsificato i bilanci. Le esigenze del campionato più bello del mondo spingevano da anni molti dirigenti a risanare solo apparentemente i conti delle loro società attraverso una pratica che se non inventata da Cragnotti, passa per essere stata da lui eretta a sistema: lo scambio di giocatori non di prestigio, come ad esempio dei primavera, per cifre esorbitanti che venivano messe subito in attivo in caso di vendita, ma che in caso di acquisto finivano dilazionate per tutta la durata del contratto dei giocatori. In questo modo, nel giro di qualche anno, molte delle squadre del campionato italiano avevano raggiunto un tetto di indebitamento da sentirsi l’esigenza di tornare a un livello accettabile di fair play finanziario. Come fare? Corre voce che fosse consuetudine di Milan e Inter, a campionato finito, realizzare una serie di questi affari e di certo non è del tutto casuale che il 19 agosto 2003 sbocciasse un decreto legge noto come salvacalcio. Che ha permesso alle squadre in questione di spalmare i debiti in dieci anni e solo per l’intervento europeo, che male ha sopportato una tale decisione, sono stati ridotti a cinque. Inter e Milan ne hanno beneficiato. La Juventus no, perché non ne ha avuto bisogno. Esattamente come è accaduto per il brand, che consiste nella cessione dei diritti del proprio marchio a società il più delle volte satellite, per ottenerne immediatamente degli utili. Che per Inter e Milan hanno superato abbondantemente i cento milioni di euro. Vi è ricorsa anche la Roma e persino la Reggina. Fiumi di inchiostro sono stati versati negli ultimi venti anni per raccontarci di un calcio milanese da mecenati. Lo stesso Matarrese si preoccupò al tempo dei processi per i falsi in bilancio per Berlusconi e Moratti, che investivano tanto nel calcio. E se potevano investire tanto perché barare? Si tratta di illecito amministrativo e l’avvocato Grassani lo ha definito “un reato secondo, nella giustizia sportiva, solo a quello sportivo. Dopo la corruzione di un arbitro, nella scala di gravità c'è un bilancio falso per iscriversi al campionato al quale non si ha diritto”.

Ma Carraro si preoccupava molto che la gente dei bar non capisse di questioni di finanza e per fortuna gli Europei 2008 potevano prendere nei titoli di giornali e telegiornali il posto di queste argomentazioni ostiche. Il decreto salvacalcio appare come un’altra delle tante leggi ad personam inventate e approvate in questi anni. Palazzi, solerte nel 2006, pensò bene di non essere d’intralcio alla giustizia ordinaria e ne attese gli esiti. Giancarlo Padovan, nel giugno 2007, chiedeva invece che gli onesti venissero smascherati e con loro tutto il sistema che con Guido Rossi aveva decretato l’Inter meritevole di uno scudetto vinto dalla Juve sul campo, vicenda che “appartiene alla tragedia di uno sport appaltato alle lobby e dilaniato dalle lotte tra sistemi di potere” . Il processo della giustizia ordinaria ha dichiarato il non luogo a procedere per le imputazioni relative al bilancio 30 giugno 2003 perché l’azione penale non poteva essere esercitata per essere il reato presupposto anteriormente prescritto. Adriano Galliani (vicepresidente del Milan), Rinaldo Ghelfi (vicepresidente dell’Inter), Mauro Gambaro (dirigente inter) sono stati prosciolti perché il fatto non costituiva reato, prevedendo la nuova legge tempestivamente approvata il 19 agosto 2003 sul falso in bilancio il dolo specifico non riscontrato. Il decreto salvacalcio ha salvato l’inter per 319 milioni, il Milan per 242 milioni, la Roma per una cifra stimata di 234 milioni, la Lazio per 213 milioni, il Parma per 180 milioni.
Giorno 1 luglio 2007 venivano apportate le modifiche al Codice di Giustizia Sportiva, con l’introduzione degli articoli 23 e 24, che prevedevano il patteggiamento e la possibilità di dichiararsi pentiti, in caso di ammissione di responsabilità e di collaborazione, per ridurre le sanzioni previste. Palazzi deferiva Inter, Milan e Sampdoria, Genoa, Reggina e Udinese per la contabilizzazione nel bilancio delle plusvalenze fittizie riguardante il periodo dal 2003 al 2005. Inter, Milan e Sampdoria venivano giudicate per le violazioni dell’art. 8 comma 1, che “costituiscono illecito amministrativo...” . Per il Genoa, la Reggina e Udinese interveniva l’aggravante “plusvalenze fittizie finalizzate a far apparire perdite inferiori a quelle reali per ottenere l’iscrizione al campionato” . Sanzione minima prevista: 1 o più punti di penalizzazione in classifica. Con buona pace del PM Nocerino, che aveva ipotizzato per l’Inter la stessa aggravante. Alla fine, tutte avrebbero pagato solo una multa irrisoria. Nonostante le prime tre avessero fatto ricorso all’art. 23 e le seconde tre anche al 24, ottenendo un raddoppio di sconto di pena.

Onestà patteggiata per disonestà prescritta, uguale etica interista.
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Mentre la LEGGE dice che: compito del pm è di accertare la verità e far emergere anche le prove in favore degli imputati. Qui invece (ma non è un'eccezione, nella "famigerata-procura di Napoli, molto spesso è la regola!!!) s'è fatto di tutto per nascondere la verità e distorcere gli indizi secondo i propri fini.  E' quando appare chiaro che ci si sarebbe avviati all'assoluzione spunta il jolly, la seconda ricusazione della Presidente Casoria...con la speranza di andare in prescrizione! La procura della Republica a Napoli, si conferma il verminaio di ipocriti, corrotti, infami, vili bastardi delinquenti, e a distanza di quasi 30 anni dallo scandalo che ha rovinato l'esistenza di Enzo Tortora e della sua famiglia... , sta confezionando un'altra perla: la rovina di 24 persone e delle loro famiglie! A QUESTI MALEDETTI SCIACALLI: Lepore, Narducci, Beatrice, Capuano e quanti altri contribuiscono a rovinare degli essere umani e ad infangare il nome dell'Italia, li colpisse la maledizione terrena!

Scrive Oliviero Beha:
I due pubblici ministeri, Narducci e Capuano, hanno infatti ricusato per la seconda volta la Casoria. Tradotto in termini cronologici, si andrebbe certamente alla prescrizione di tutti, da Moggi alla caterva di imputati, arbitri, dirigenti ecc.

Sarebbe una vera sciagura perché la prescrizione nei confronti degli imputati verrebbe comunque "spacciata dalla stampa" e percepita e ricevuta dall’opinione pubblica come una “mancata condanna”. E siccome la giustizia sportiva nel 2006 ha già fatto strame del diritto calcistico con quelle sentenze poi apparse alla luce degli sviluppi delle “favole mirate”, è evidente il tipo di messaggio che ne scaturirebbe.

Condannati dagli organi interni (su cui invece bisognerebbe investigare fino in fondo per capire e spiegare come e quanto dipendano da quello stesso potere calcistico e sportivo implicato nello scandalo, un’autentica palude nella più generale Palude Italia), prescritti dalla giustizia ordinaria: si chiuda dunque e finalmente questo “brutto capitolo del calcio italiano” con dei colpevoli perfetti e dimostrati anche se solo parzialmente (mentre la questione arbitrale si ripropone puntuale ogni domenica).

Quindi un disastro: verrebbe fatto un torto alla verità o alla ricerca della verità, che siano colpevoli o innocenti gli imputati, e che ve ne siano altri in ballo non ancora imputati ma che potrebbero diventarlo.

Le intercettazioni telefoniche dell’ex maggiore Auricchio scelte ad hoc (da chi? da lui? da altri?) prima del processo di Napoli e “buone” strumentalmente per il processo sportivo, si sono allargate infatti a dismisura chiamando in causa il potere calcistico nelle sue varie forme: sentire quelle telefonate, rende l’idea da un lato di che cosa sia il pallone oggi, dall’altro di come con Moggi si sia cercato e trovato truffaldinamente un unico capro espiatorio comprensivo di un’associazione a delinquere con designatori ed arbitri a Napoli ancora lontanissima dall’essere dimostrata.

Quindi vorrei dei bei confronti tra la versione di Moggi e quella di Moratti, per esempio, lasciando quella di Barney alla letteratura e al cinema… e non la prescrizione che tutto avvolge nella nebbia.

Cari Narducci e Capuano, pubblici ministeri che stimo fino a prova contraria e dai quali sono stimato (ricordo una loro intervista- di Narducci con Beatrice - a “L’Espresso”), devo immaginare che non vogliate tutto questo e che se il processo dovesse dimostrare la fragilità dell’impianto accusatorio, come scrivono quelli che hanno studiato, come magistrati potreste e dovreste battervi in appello per dimostrare la bontà delle accuse.

La prescrizione così raffazzonata invece è una ferita per tutti, non un vantaggio per Moggi. E’ tanto difficile da capire? E’ civiltà giuridica tutto ciò? Secondo me, non difendendo nessuno se non la ricerca della verità, sarebbe proprio l’esatto contrario.