sabato, giugno 13, 2009

PECHE' CALCIOPOLI? <( 1 )

1)-PER FARSI UN'IDEA DI COSA POTREBBE ESSERE SUCCESSO NELL'ESTATE 2006 - IL GROVIGLIO> "Secondo la versione ufficiale, l’indagine sulla corruzione nel mondo del calcio italiano è partita da una lunghissima serie d’intercettazioni telefoniche ordinate dalla Procura di Napoli. I telefonini sui quali i magistrati hanno focalizzato l’attenzione sono quelli di dirigenti di società, designatori arbitrali, arbitri, giocatori e membri della Federazione Italiana del Gioco Calcio. La Procura analizza un fascicolo di trascrizioni (e non le registrazioni audio originali), tali trascrizioni hanno due fonti di origine: - una parte sono emerse in seguito agli sviluppi di un’altra inchiesta, quella sulle intercettazioni non autorizzate operate da parte dei responsabili della sicurezza del gruppo Telecom. Si tratta un’inchiesta che va ben oltre il mondo del calcio: prende origine dalle indagini sulle elezioni politiche della regione Lazio, passa attraverso il caso del rapimento dell’iman Abu Amar, e coinvolge anche uomini di polizia, finanza e carabinieri
- una parte delle intercettazioni è stata invece trascritta da alcuni membri del Sisde che si sono occupati in prima persona delle indagini sui dirigenti di alcune società di calcio . ---------- . Cominciamo col parlare di quest’ultimo ramo d’origine, quello legato al Sisde. Nel farlo ci ritroveremo sorprendentemente catapultati in un caso che appare molto lontano da “calciopoli”, sia in termini di tempo che di contesto: l’omicidio del giudice Paolo Borsellino avvenuto nel luglio del 1992...... Nelle ore successive alla strage di Via D’Amelio, la Rai e il Tg5 mandarono in onda ripetutamente le immagini girate sul posto pochi minuti dopo l’esplosione. Si notava un uomo in borghese che si allontanava dai resti dell’auto con in mano la borsa in pelle del giudice Borsellino, borsa che fu ritrovata successivamente al suo posto, cioè sul sedile posteriore dell’auto. All’interno era sparita l’agenda personale di Borsellino, un’agenda rossa nella quale il magistrato era solito scrivere i suoi appunti sulle indagini e dalla quale, a detta di molti suoi collaboratori, non si separava mai. Un’agenda che probabilmente conteneva particolari scottanti sui rapporti mafia-istituzioni, e in particolare sull’omicidio Falcone. L’uomo nelle immagini è il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, comandante del Nucleo Operativo Sisde di Roma. Nei giorni successivi i famigliari e i collaboratori di Borsellino, notando le immagini, chiesero alla Procura di indagare sul fatto e di interrogare il col. Arcangioli. La Procura ha ignorato le loro richieste per ben 13 anni, fino a quando improvvisamente ad inizio 2006 i magistrati di Caltanisetta acquisirono le immagini video girate poco dopo l’esplosione, e iscrissero il col. Arcangioli nel registro degli indagati. L’accusa ufficiale era “false dichiarazioni in ambito di indagini anti-mafia”. Il colonnello ammesse di aver prelevato la borsa dall’auto, ma dichiarò di averla aperta subito alla presenza dell’ex-magistrato Giuseppe Ayala, e di non aver notato nessuna agenda al suo interno. Nei primi giorni del febbraio 2006 i magistrati della Procura antimafia ordinarono un confronto tra Arcangioli e Ayala, quest’ultimo smentì con fermezza le affermazioni di Arcangioli. Altri testimoni smentirono il colonnello del Sisde.

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2)-La notizia riguardante il confronto è stata riportata in brevi articoli in pagine secondarie da vari quotidiani. Un paio di esempi: PALERMO - Sarà interrogato dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, fotografato il 19 luglio 1992 in via D'Amelio con in mano la borsa di Paolo Borsellino che conteneva l'agenda del magistrato mai più trovata. Non è stata resa nota la data dell'interrogatorio né se l'ufficiale sarà sentito alla presenza dell'avvocato difensore. Arcangioli, già stato sentito nei mesi scorsi, ha fornito una versione dei fatti che contrasta con quella di altri testimoni. Ma l'acquisizione di filmati registrati da troupe della Rai e di Mediaset ha fornito ai pm la possibilità di ricostruire le ore successive all'attentato, compresi i movimenti dell'allora capitano Arcangioli. --- Corriere della sera, 8 febbraio 06 --- L'inchiesta sul mistero della borsa Agenda Borsellino, Ayala e Arcangioli confronto a Roma: ROMA - Il confronto tra il deputato dei Ds ed ex magistrato Giuseppe Ayala ed il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, non ha chiarito il mistero sullŽagenda rossa del giudice Paolo Borsellino, morto con i cinque uomini della scorta nella strage del 1992 in via DŽAmelio a Palermo. UnŽagenda scomparsa e mai ritrovata. Il faccia a faccia tra i due è stato disposto dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Francesco Messineo e dal suo aggiunto, Renato Di Natale e si è svolto ieri pomeriggio a Roma nellŽambito dellŽinchiesta sui «mandanti esterni» delle stragi Falcone e Borsellino. Tre giorni fa i magistrati e gli investigatori della Dia di Caltanissetta a quattordici anni dalla strage, hanno riesumato una fotografia ed alcuni filmati televisivi girati subito dopo lŽattentato dellŽestate del 1992 a Palermo nei quali si vede lŽallora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, adesso comandante del nucleo operativo di Roma, allontanarsi con una borsa di pelle in mano. Quella borsa era del giudice Paolo Borsellino ed era stata prelevata dallŽautomobile blindata distrutta dallŽesplosione. La borsa fu fatta vedere a Giuseppe Ayala che era presente sul luogo e fu ritrovata qualche ora dopo sul sedile posteriore dellŽautomobile del magistrato. Ed è proprio in quella borsa, secondo quanto dichiarato e confermato dai familiari del magistrato ucciso nellŽattentato, Borsellino aveva lŽagenda rossa dove annotava tutte le cose più segrete relative alle indagini anche sulla strage del collega Falcone, ucciso dalla mafia a Capaci, insieme alla sua scorta. --- La Repubblica, 09/02/2006 --- Vi starete chiedendo che c’entra tutto questo con “calciopoli”. Ecco la risposta: nel 2005 la Procura di Napoli fa partire un’inchiesta su alcune società di calcio, in primis Juventus, Fiorentina e Lazio, e ordina intercettazioni telefoniche sui cellulari dei dirigenti di queste società. Una volta appresa la notizia, i vertici del Sisde, nella persona del generale Mario Mori, dichiarano alla Procura di farsi carico delle intercettazioni telefoniche.Ci sarebbe ora da analizzare nei dettagli chi sia il generale Mori, quale il suo ruolo nell’Antimafia, e soprattutto perché dal 2005 sia inquisito dalla stessa Procura di Palermo "per aver favorito la mafia", ma dovremmo addentrarvi in argomenti che eludono dal contesto che stiamo trattando.Genericamente possiamo dire che si tratta di un’Antimafia che processa se stessa, o meglio alcuni suoi membri.
Il generale Mori assegna la direzione delle indagini e delle intercettazioni a due suoi uomini di assoluta fiducia: uno è proprio Arcangioli, l’altro è il commissario Aurelio Auricchio.Auricchio è un altro membro del Sisde che anni fa fu inquisito per aver falsificato prove e intercettazioni telefoniche in processi antimafia. Lui querelò per diffamazione i suoi accusatori ma i tribunali gli diedero torto anche in appello. Pur essendo loro stessi oggetto d’indagine, nessuna di queste persone fu sollevata dal proprio ruolo durante l’inchiesta sul calcio.Anche volendo evitare come la peste ogni forma di dietrologia o teoria preconcetta, non si può evitare di sottolineare per dovere di cronaca, che il generale Mori sia amico personale di Silvio Belusconi e fratello del capo della sicurezza di Mediaset. Nel periodo del confronto Arcangioli-Ajala l’inchiesta su calciopoli (in corso da quasi un anno) non era stata ancora resa pubblica. I giornali non potevano sottolineare il legame tra Arcangioli, Auricchio, Mori e le indagini sul calcio, ma avrebbero dovuto farlo successivamente nell’estate 2006. Il fatto invece passò del tutto in ombra durante la “bagarre” mediatica che occupò i palinsesti televisivi tra giugno e agosto.

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Telecom e conflitti d'interessi ---- Negli anni ' 70 il Corriere della Sera era nelle mani della P2. ------- .Abbiamo visto chi si è occupato di trascrivere e consegnare alla Procura di Napoli una parte delle intercettazioni, ma ci fu un altro filone d’origine delle trascrizioni, filone che nasce in un contesto estraneo alle vicende del Sisde e dell’Antimafia: si tratta del caso sulle intercettazioni illegali operate dai vertici della sicurezza di Telecom. Una vicenda piuttosto complessa e dai risvolti inquietanti, risvolti che farebbero tremare i polsi a qualsiasi moderna democrazia degna di essere definita tale. Ma come al solito in Italia questa vicenda è stata proposta dai mass-media con scarso rilievo rispetto alla gravità dei contenuti, con scarsa attenzione ai particolari e ai protagonisti. E’ un caso che coinvolge i dirigenti di quello che è uno dei gruppi finanziari più potenti nel nostro paese, il gruppo Pirelli-Telecom. Una struttura finanziaria estremamente estesa ed articolata, una struttura che oltre ad avere un controllo praticamente totale sulla rete telefonica italiana, estende il suo potere ben oltre: su editori, canali d’informazione sia multimediali che televisivi, si articola all’interno delle alte sfere del mondo finanziario, occupa grandi fette di mercati anche al di fuori del contesto delle telecomunicazioni. Inoltre è il principale sponsor del campionato di calcio italiano, gestisce la trasmissione di gare di campionato (mediante internet con Rosso Alice, mediante digitale terrestre con Carta+ e La7). Telecom-Pirelli partecipa attivamente anche al finanziamento della società di calcio milanese F.C.Internazionale (la società che ha tratto i maggiori vantaggi dall’inchiesta su “calciopoli”), società della quale Marco Tronchetti-Provera, “patron” Telecom-Pirelli, è membro del consiglio di amministrazione e finanziatore

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Negli anni ' 70 il Corriere della Sera era nelle mani della P2. Angelo Rizzoli, il proprietario, aveva la tessera 532, Tassan Din, il direttore generale, la tessera 534 e Franco Di Bella, direttore del giornale, la tessera 655. Oggi, anno 2009, chi controlla il Corriere della Sera? Chi suggerisce gli editoriali di Panebianco e di Battista? Chi ha ordinato a Mieli di togliere le inchieste giornalistiche di Why Not a Carlo Vulpio senza alcuna ragione apparente? Chi è la P3 che governa il Corriere della Sera? Dov'è la nuova lista di Castiglion Fibocchi? -------- C’è un altro nome che riveste un ruolo importante nelle vicende che uniscono Telecom all’inchiesta sul calcio, e in molte altre che hanno attraversato l’alta finanza italiana degli ultimi anni. Uno di quei nomi sui quali i riflettori mediatici non si accendono mai, come si conviene ai veri uomini di potere. Questo nome è Carlo Buora. Chi è Carlo Buora ? In un paese che ha fatto dei conflitti d’interessi una consuetudine, Buora è uno degli esponenti più importanti dell’arte di tenere il piede in molteplici scarpe. Per spiegare nel dettaglio quante poltrone occupi Buora nei vertici dell’imprenditoria italiana, sarebbe necessario un intero capitolo. Mi limiterò qui a schematizzare l’incredibile molteplicità dei poteri di Buora. Queste le cariche rivestite dal manager milanese nato nel 1946 - Consigliere Ras dal 10 settembre 2002 - ex-Amministratore Delegato di Pirelli & C. S.p.A. e attualmente Vicepresidente di Telecom Italia S.p.A. - Presidente del Consiglio di Amministrazione di Tim S.p.A. (sponsor del campionato di calcio italiano) - Amministratore di Olimpia S.p.A. Questa è una società finanziaria totalmente priva di dipendenti, che detiene la maggioranza relativa del pacchetto azionario di Telecom Italia. In pratica l’azienda privata che gestisce la rete italiana delle telecomunicazioni è in mano a un gruppetto ristrettissimo di persone riunitesi sotto un marchio costruito ad “hoc”. Fino al 2005 Olimpia era controllata, oltre che da Pirelli e dalla famiglia Benetton, anche da Hopa, l’holding bresciana fondata da Emilio Gnutti. Hopa fu al centro dello scandalo di “Bancopoli”, l’inchiesta che portò alle dimissioni del Presidente di Banca d’Italia Antonio Fazio (altra vicenda clamorosa abilmente insabbiata dai media italiani) - amministratore di Real Estate - amministratore di Rcs Mediagroup S.p.A. (uno dei più potenti gruppi editoriali italiani, editrice tra l’altro della Gazzetta dello sport, il principale giornale sportivo italiano che ha svolto un ruolo mediatico fondamentale nell’inchiesta su calciopoli) - amministratore di Mediobanca S.p.A. (del consiglio di amministrazione Mediobanca è membro anche Gianluigi Gabetti, Presidente dell’IFIL, la società finanziaria Agnelli che controlla la società calcio Juventus. Ma di questo parleremo più avanti)......

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Carlo Buora è anche il vicepresidente esecutivo della società calcio FC Internazionale. Nel sito ufficiale dell’Inter, nella pagina che espone l’organigramma societario, il nome di Buora è sempre stato indicato con la carica di vicepresidente, ma da gennaio 2007 (subito dopo la sua rinomina a vicepresidente Telecom) viene indicato tra i membri del consiglio di amministrazione, in una posizione che salta agli occhi meno di prima. In ogni caso, “vicepresidente esecutivo” o “membro del consiglio di amministrazione” che sia, il clamoroso conflitto di interessi di Buora è uno degli innumerevoli casi passati sotto totale silenzio da parte dei mass-media. Per capire come il gruppo Telecom Italia sia giunto ad essere uno dei protagonisti principali nella distribuzione dei diritti televisivi dobbiamo fare un passo indietro a fine anni ’90, quando si operò la trasformazione delle società calcistiche in Società per Azioni. Le prime a quotarsi in borsa furono le due società romane, Roma e Lazio. In questo modo trovarono una via di uscita da situazioni di bilancio prossime al fallimento. In questa via risiedeva anche la vendita dei diritti televisivi. Successivamente infatti vennero scritte le normative che consentivano la vendita soggettiva dei diritti di trasmissione delle partite. Si lasciò che il mercato stesso facesse i prezzi in base all’entità dei vari bacini di utenza. In pratica le squadre che hanno un bacino ampio (cioè potenziali abbonati televisivi) hanno possibilità di guadagno di gran lunga superiori rispetto a quelle società seguite da un pubblico più legato al proprio territorio. A questo punto occorreva un acquirente che si facesse carico di acquistare dalle società di calcio i diritti televisivi pagandoli con somme molto ingenti, ingenti a tal punto da far risultare l’operazione molto redditizia per le società di calcio e non profittevole (anzi in perdita) per l’acquirente. Tale acquirente fu creato ad hoc con Stream, il secondo polo satellitare. Stream nacque grazie alla privatizzazione del gruppo Telecom-Italia. Quella privatizzazione che la stampa estera definì una “rapina” (in particolare il Financial Times la definì testualmente “una rapina con destrezza”). E mentre all’estero la stampa si indignava per quello che era, come vedremo nelle prossime pagine, un autentico furto ai cittadini italiani, qui in Italia la vicenda finiva insabbiata grazie ad un divulgazione di notizie molto sommaria, superficiale, spesso confusionaria, da parte mass-media. Stream pagò puntualmente a peso d’oro i diritti televisivi di alcune società di calcio consorziate a loro volta in una società creata "ad hoc", la SDS (Società Diritti Sportivi). La SDS era presieduta da Franco Sensi, il proprietario dell'A.S. Roma, ed aveva come membri Cragnotti (Lazio), Tanzi (Parma) e Cecchi Gori (Fiorentina). L’obiettivo del consorzio era contrastare nel mercato dei diritti televisivi il terzetto composto da Milan, Inter e Juventus. Dal 2001-02 in poi tutti questi quattro imprenditori furono inquisiti per falso in bilancio. Per Sensi e Cragnotti cadde a fagiolo la riforma del reato in oggetto e il conseguente “decreto spalmadebiti” del 2003 (i pm furono costretti all'archiviazione per prescrizione). Cecchi-Gori e Tanzi finirono invece agli arresti per bancarotta fraudolenta. Tanzi in particolare fu protagonista del più clamoroso fallimento della storia dell’imprenditoria italiana, il crack Parmalat. [...] "20 Febbraio 2009 22:48
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Scandalo Inter, indagato il comandante dei Ros di Milano Mario Mettifogo 
09 Gennaio 2009 La procura: svelò le intercettazioni 
MILANO


Rivelazione di segreti d’ufficio. Secondo la procura fu l’ex comandante dei Ros di Milano Mario Mettifogo a diffondere la notizia che nel maggio scorso fece scalpore: una serie di intercettazioni riguardanti un trafficante di droga e alcuni esponenti dell’Inter, vicenda marginale di un’inchiesta ben più complessa sul controllo della cocaina in città finita sulle prime pagine dei giornali subito dopo la vittoria di campionato dei neroazzurri. Per questo motivo, prima di Natale, il pm Luigi Civardi ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ufficiale dei carabinieri, considerato per altro uno dei più brillanti investigatori in forza alla stessa Procura, accusandolo di un reato pesante e infamante per un ufficiale sempre in prima linea come Mettifogo.

E’ forse la prima volta che un’inchiesta, aperta per fuga di notizie, approda a un finale così clamoroso, coinvolgendo nientemeno che il vertice del reparto operativo dei carabinieri del capoluogo lombardo. L’udienza preliminare è stata fissata per febbraio davanti al gip Giuseppe Gennari, che deciderà se rinviare a giudizio l’imputato. «Sono certo di poter dimostrare l’innocenza del mio assistito», dice Davide Steccanella, legale dell’ufficiale inquisito. Per il comandante Mettifogo, ora a Moncalieri, è un po’ come aggiungere al danno la beffa. Fu lui a tirare le fila delle indagini coordinate dal pm della Dda Fabio Musso su un traffico di cocaina che partiva delle storiche famiglie della ‘ndrangheta e si concludeva tra le piazze milanesi e quelle della Brianza. L’inchiesta, durata quasi due anni, approdò con un deposito degli atti in procura il 9 maggio.

Nella relazione dei carabinieri del Ros al pm, anche la raccomandazione di stralciare, perchè considerate penalmente irrilevanti, proprio le intercettazioni che sei giorni dopo, il 15 maggio, finirono sui giornali e che riguardavano alcuni dirigenti come Rocco Di Stasi e «Spillo» Altobelli, giocatori come Materazzi e Zanetti e 
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Tutti amici o conoscenti di tale Domenico Brescia, uomo dalla doppia vita: frequentatore abituale della Pinetina, tifosissimo neroazzurro, titolare di un negozio di abbigliamento a Rovello Porro da cui si rifornivano alcuni atleti, considerato una sorta di tuttofare per la squadra del cuore, Brescia, 53 anni, sposato con 4 figli, aveva in realtà un passato da rapinatore e un presente, secondo i carabinieri, di 
 piccolo trafficante di droga in Brianza.

Legato alle famiglie dei Crisafulli, tra le più pericolose tra quelle calabresi, da cui, si dice, ricevette uno di quei «piaceri» che non si dimenticano: un piccolo pregiudicato che voleva estorcergli dei soldi 
finì sotto un metro di terra con la faccia spappolata da tre colpi di lupara. Episodio per il quale Brescia venne condannato per concorso colposo in omicidio. Brescia, accusato in questo caso di aver acquistato nel 2006 due chili di coca da un certo Francesco Castriotta, ha sempre negato ogni addebito. «Il mio debito con la giustizia l’ho già pagato», dichiarò ai giornali prima di tornare nel carcere dal quale era uscito tempo prima in semilibertà. Semilibertà che gli aveva pregiudicato le sue apparizioni ad Appiano Gentile, dove gli uomini della security avevano ricevuto ordine di non farlo più entrare.

I rapporti con alcuni calciatori e con l’allenatore Mancini, mai negati dagli interessati, non si erano però interrotti: in lui i neroazzurri vedevano il tifoso sfegatato, ma anche l’amico cui rivolgersi per piccoli piaceri, dall’auto di lusso al brillante da regalare all’amica, al vestito da aggiustare. Tutte chiacchiere finite nei registratori dei carabinieri e verbalizzate. Chi le passò ai giornali? La Procura è convinta che fu il comandante dei Ros Mettifogo, visto che dai registri della caserma di via Lamarmora nei giorni precedenti la pubblicazione risultano gli ingressi di due giornalisti giudiziari. Il pm Musso ha negato che la notizia possa essere uscita dai suoi uffici: «Saran stati i tifosi dell’Inter», avrebbe detto al procuratore aggiunto Pomarici. Ma per l’avvocato Steccanella «risulta già evidente dagli atti che Mettifogo non era 
certo l’unico a sapere di quelle intercettazioni prima che uscissero gli articoli». Vedremo che cosa deciderà il gip.
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LUNEDÌ 26 MAGGIO 2008
Il boss, le intercettazioni e i giocatori nerazzurri

TELEFONATE CON MANCINI, ZANETTI, MATERAZZI E ALTOBELLI

MILANO — Intercettati al telefono col boss. A un passo dalla giornata decisiva per l’assegnazione dello scudetto, l’allenatore dell’Inter e alcuni giocatori nerazzurri scoprono di essere finiti nelle trascrizioni di intercettazioni che fanno parte di una vasta inchiesta per traffico di droga. Tutta colpa delle chiacchiere in libertà con Domenico Brescia, il loro sarto. Un signore di mezza età con precedenti per omicidio, associazione mafiosa, rapina e droga. Un pregiudicato inseguito dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano perché accusato di fare parte di un giro di spacciatori di cocaina legati alla ’ndrangheta, eppure con un posto d’onore alla Pinetina e un altro in tribuna vip a San Siro. Un conoscente di mister Mancini e del suo vice Mihajlovic, titolare di un negozio di sartoria a Rovello Porro, nel Comasco, l’uomo che con ago e filo ripara le giacche e le braghe attillate di Mancini e di altri nerazzurri. Almeno così faceva fino a un mese fa, quando la società lo ha allontanato.

L’uomo dei clan
È indagando su di lui, Domenico Brescia, 55 anni, natali a Castell’Arquato e mani in pasta con il clan dei boss mafiosi Biagio e Alessandro Crisafulli, che i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale di Milano sono inciampati sulla compagine nerazzurra. È intercettando Domenico Brescia e il suo socio Daniele Bizzozzero, latitante a Montecarlo poi arrestato a Parigi, che sono finiti nel brogliaccio delle intercettazioni Roberto Mancini e Sinisa Mihajlovic, il capitano Javier Zanetti, ma anche Rocco Di Stasi, impiegato dell’Inter, Alessandro Altobelli, il mitico «Spillo», Fausto Sala, direttore responsabile del centro coordinamento tifosi dell’Internazionale, Fausto Salsano, allenatore in seconda e assistente tecnico, Marco Materazzi, un non meglio identificato giornalista sportivo che si chiama Bruno e Alfredo Granconato, della ditta «Granconato Impianti srl».

Le duemila telefonate
Da un paio di giorni quasi duemila conversazioni intercorse tra Brescia e Bizzozzero con Mancini e soci, qualcosa come una quindicina di volumi, sono arrivate in Procura a Milano e toccherà ora al sostituto procuratore antimafia Marcello Musso decidere che farne. Per i carabinieri del Ros, che all’inchiesta—fiumi di cocaina e ottanta indagati — lavorano in silenzio da un paio d’anni, le telefonate intercettate sulle utenze dei due pregiudicati non hanno evidenziato alcuna responsabilità penale riferibile agli interlocutori, ma sarà proprio il magistrato a dover stabilire se stralciare le intercettazioni dal fascicolo originario oppure proseguire con altri accertamenti.

Con gli interisti, Brescia e Bizzozzero parlerebbero di un po’ di tutto. Di donne, di auto, di costosissimi orologi, di biglietti per lo stadio, di telefonini, di calciomercato, di formazione e di scudetto. Siamo nell’ottobre del 2006, l’11, il 18 e il 26, quando mister Mancini viene intercettato al telefono con il latitante Daniele Bizzozzero.

«Quando torni?», gli chiede il Mancio. E quello: «Sto aspettando la Cassazione, magari ce la faccio per Natale...». Poi i due parlano di Brescia, al quale, il giorno dopo, il nocchiero dei nerazzurri domanda un aiuto rapido per fare aggiustare la macchina della moglie. Così come gli chiederà due «stampelle» con urgenza. Roba per gli abiti, perché oltre a spacciare cocaina e a concludere affari strani Brescia si occupa davvero di abbigliamento.

Il mister al telefono
Tra Brescia e mister Mancini i carabinieri registrano la prima telefonata il 15 giugno del 2006, l’ultima è del 19 aprile 2007. In una di queste l’allenatore chiederebbe a Brescia che fine avrebbe mai fatto proprio Bizzozzero. «L’hanno arrestato », gli comunica Brescia, il «Dome, come lo chiamano tutti alla Pinetina. «E come mai? Sempre per quella cosa? Era a Montecarlo poi è andato a Parigi... gielo avevo detto di stare lì ad aspettare l’indulto...». Allora Brescia interrompe Mancini e taglia corto: «Quello è uno stupido». E il Mancio: «Con me si era sempre comportato bene... ma quanto deve scontare? ». Cinque o sei anni, risponde il «Dome». Ma agli atti della Procura è finito anche un mms spedito al mister dei nerazzurri dal solito Brescia. È la foto di una bella donna, amica di Brescia, col seno al vento.

Ma il «Dome» si sente spesso con Rocco Di Stasi, il dipendente dell’Inter che si lamenta perché dovrebbe, dato il ruolo, guadagnare molto di più. In una circostanza Brescia e Di Stasi discutono di un sacco che l’interista avrebbe sistemato nell’auto del pregiudicato. «Quella roba lì, guardalo bene, che c’è i brillanti di... lì c’è scritto tremila e cinquanta... duemila e cinque dobbiamo prenderli eh, perché quella non è roba... quella è roba regolare, a posto eh...». E Domenico Brescia, il sarto servizievole indagato per cocaina, risponde: «Sì sì. Tranquillo. Ci penso io».

Biagio Marsiglia Corriere della Sera
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I DOSSIERANTI DELLA CUPOLA MAFIOSA DI VIA BIGLI

                                                         TANTO TUONO' CHE PIOVVE
         IL CASO NUCINI: SVARIATE VERSIONI PER UNA "MACCHINA SPROPOSITATA"!

Il 9 febbraio u.s. a Napoli è cominciato, nell’ambito del Processo Calciopoli, il rito abbreviato richiesto da Duccio Baglioni, Stefano Cassarà, Paolo Dondarini, Giuseppe Foschetti, Marco Gabriele, Antonio Giraudo, Alessandro Griselli, Tullio Lanese, Domenico Messina, Tiziano Pieri e Gianluca Rocchi.

Nella requisitoria di apertura, i PM Beatrice e Narducci hanno parlato del leggendario (e presunto) incontro tra Nucini e l'entourage di Moggi, fornendo nuovi particolari che, confrontati con quanto detto sull’argomento in passato dai diretti “protagonisti”, offrono nuovi spunti di riflessione e nuove perplessità sui fatti narrati, ammesso ovviamente che siano veramente accaduti.

Cominciamo da quello che dice Tuttosport, facendo la cronaca del primo giorno di udienza del rito abbreviato: "Chiusura su Nucini: avvicinato da Fabiani e da Moggi, poi gettatosi tra le braccia e nella sede del com­paesano Facchetti perché «si sentiva - dice Bea­trice - a disagio nel sistema arbitrale vigente», anche se incontra Fabiani e prende una sim ita­liana (quelle svizzere arrivarono più tardi) ma dice di «non averla mai usata e di averla conse­gnata a Facchetti perché componesse un dos­sier sul campionato falsato», una relazione, dice il pm, «che resta dormiente». Senza denunce al­la Figc da parte di Nucini e dell’Inter sul siste­ma di cui ormai si conoscevano i contorni."

Poche righe, su cui si potrebbe discutere a lungo.

Ci limiteremo a fare semplicemente le nostre osservazioni. Partiamo da quello che aveva detto Nucini.

La storia di Nucini con Facchetti e, di riflesso, con l’Inter inizia nei primi mesi del 2001. Lo rivela, in un'intervista concessa a Mensurati (Repubblica del 11 maggio 2006), lo stesso Nucini:
"Ho aperto gli occhi il 14 gennaio 2001. Arbitravo Juventus-Bologna, a nove minuti dalla fine ho dato un rigore contro la Juventus. Mi hanno squalificato per quattro domeniche".
[...]
Perché raccontò quelle cose a Facchetti? E cosa gli disse esattamente?
"Io credo che non sia corretto riferire i contenuti dei molti incontri che ebbi con Facchetti. Dico solo che non è stato un incontro casuale. Con Facchetti siamo stati in confidenza, se non amici, per anni".
Come era nato il contatto?
"Bisogna tornare alla squalifica che seguì il rigore dato al Bologna. [...] Dopo la squalifica venni spedito in serie B, mi spiegarono che se volevo tornare ad arbitrare in A dovevo andare a chiedere scusa a Pairetto. Io mi rassegnai e chiesi scusa. Mi mandarono ad arbitrare Inter-Udinese. Inter all'arrembaggio, io cerco di lasciare giocare, ma a un certo punto Di Biagio fa un'entrata pericolosa e devo fischiare per forza. Lui si arrabbia, fa per togliersi la maglia, io gli dico "Gigi guarda che se te la togli ti devo ammonire", e lui lascia stare. Negli spogliatoi arriva il commissario e mi fa una scenata perché non ho ammonito Di Biagio, dice che in tribuna c'era Pairetto che era del suo stesso avviso. Invece poi arriva Facchetti e mi ringrazia per il mio equilibrio. Il rapporto è nato da lì".

Fissiamo il primo punto, la prima data: il rapporto Nucini-Facchetti nasce nei primi mesi del 2001 (a seguito di un "favore" concesso in campo da Nucini). Successivamente si ha traccia di Nucini quando, scoppiata Calciopoli, si recò a deporre da Borrelli, fresco di nomina a Capo dell’Ufficio Indagini. Ecco uno stralcio della sua deposizione:

"Era il 25 marzo del 2003. Fabiani (Mariano, braccio destro di Moggi, ndr) mi telefona e mi fissa un appuntamento, a Bergamo, di fianco all'hotel Cristallo Palace [...]". L'incontro si risolve con poche parole ("mi dice che se mi dimostro loro amico arbitrerò in serie A") e con la promessa di rivedersi. Cosa che accade di lì a poco.
Il 25 settembre alle 17.30, Fabiani lo chiama e fissa un secondo appuntamento. [...] Quando Moggi lascia la stanza, Fabiani mi consegna una scheda telefonica e mi invita a comunicare con lui solamente tramite quella". A questo punto, Nucini fa una lunga pausa. Perché di qui in avanti si parla dell'Inter e della parte meno comprensibile di tutta questa storia. "Sono ripartito da solo per tornare a casa. Ho preavvertito Facchetti che dovevo assolutamente vederlo perché ero arrivato al cuore del problema. Subito dopo aver parlato con Facchetti buttai la scheda anche se della stessa ho annotato il numero". Tra lui e l'ex presidente dell'Inter, aveva spiegato Nucini a Borrelli e D'Andrea, c'era un rapporto ormai consolidato. "Con Facchetti mi vidi nei primi giorni di ottobre, a casa sua, a Cassano D'Adda. E a Facchetti raccontai tutto. [...] Mi disse che tutto andava denunciato. Su questo concordammo anche se le nostre opinioni divergevano sulle modalità della denuncia". Nucini pensava che uscendo allo scoperto da solo il suo racconto non sarebbe stato credibile. "Facchetti non intendeva scoprirsi, e questo non per mancanza di coraggio personale ma solo perché un suo coinvolgimento avrebbe coinvolto l'Inter in un ginepraio di polemiche che avrebbero finito per danneggiare la società [...]". Così non se ne fece niente. "Discutemmo
a lungo [...] poi le nostre frequentazioni si diradarono fino ad interrompersi".

Tralasciamo per ora le considerazioni sulla liceità del rapporto di un arbitro in attività con un dirigente dell'Inter, sul fatto che ne frequenti la casa e tralasciamo anche l'incomprensibile scelta di gettare una "pistola fumante" come la scheda sim dopo averne, per di più, parlato con Facchetti. Fissiamo, invece, la data: Nucini afferma che era il 25 settembre 2003 quando ricevette la prima, unica scheda, che gettò.

Ma non basta. A deporre al cospetto di Francesco Saverio Borrelli fu chiamato anche Massimo Moratti, il quale fu ben felice di raccontare la sua versione dei fatti: "Temevo che fosse una trappola. Ricordo che Facchetti mi disse che Nucini gli aveva raccontato di essere stato una volta accompagnato al cospetto di Moggi a Torino dove quest'ultimo gli aveva offerto la disponibilità di un'utenza telefonica cellulare riservata".

"Ritenni opportuno fare delle verifiche in merito e a tal fine mi rivolsi al Tavaroli (Giuliano ex carabiniere, dirigente della Telecom già indagato nelle inchieste Telecom dalla procura di Milano, ndr) che conoscevo quale persona capace che curava la sicurezza per la Pirelli. Intendo precisare che il coinvolgimento di Tavaroli fu da me ritenuto utile per tutelare Facchetti affinché questi non compisse passi falsi nel rapporto con Nucini [...]. Non ho mai dato alcun mandato a Tavaroli per redigere un dossier sull'arbitro De Santis né ho mai visto alcun documento in merito. Ho appreso solo dalla lettura dei giornali dell'esistenza del dossier Ladroni e mi sento di escludere che un simile mandato possa essere stato dato da Facchetti". Insomma: a Tavaroli Moratti chiese una consulenza generica sulla vicenda Nucini. In ordine alla quale Tavaroli disse "che non c'era nulla di rilevante".

Lette queste dichiarazioni evidenziamo: Moratti dice di aver saputo che a Nucini era stata consegnata un’utenza telefonica da Moggi, teme chissà quale trappola (quale?) e si rivolge a Tavaroli.
Siccome Nucini ha affermato di aver ricevuto la scheda il 25 settembre 2003, il “reclutamento” di Tavaroli raccontato da Moratti dovrebbe essere avvenuto solo dopo questa data, quindi, alla fine del 2003.

Questa circostanza appare palesemente in contrasto con quanto dichiarato da Tavaroli e riportato in un articolo di Marco Liguori in esclusiva per http://www.indiscreto.it. secondo il quale lo stesso Tavaroli avrebbe confessato di essere stato “assunto, consultato”, per le motivazioni dichiarate da Moratti (che racconta della sim data a Nucini), ben un anno prima che il FATTO avvenisse: alla fine del 2002!

Leggiamo uno stralcio dell’articolo:

Giuliano Tavaroli ha vuotato il sacco sul sistema Moggi. L’11 ottobre scorso l’ex responsabile della security del gruppo Telecom Italia ha dichiarato a verbale, davanti ai Pubblici ministeri di Milano che indagano sui dossier illegali, nuove circostanze che fanno comprendere come già quattro anni fa i vertici dell’Inter fossero perfettamente a conoscenza della "rete" di rapporti di potere dell’ex direttore generale della Juventus. "Alla fine del 2002 dopo essere stato contattato dalla segreteria di Massimo Moratti – ha raccontato Tavaroli nella sua deposizione davanti ai Pm – incontrai Moratti e Facchetti presso la sede della Saras. Facchetti rappresentò a me e a Moratti di essere stato avvicinato da un arbitro della delegazione di Bergamo che in più incontri aveva rappresentato un sistema di condizionamento delle partite di calcio facente capo a Moggi ed avente come perno l’arbitro Massimo De Santis". Tavaroli ha subito precisato che "Facchetti non fece il nome dell’arbitro che lo aveva avvicinato anche se successivamente emerse che si trattava di Nucini". L’ex capo della sicurezza Telecom ha riferito nei verbali altre dichiarazioni del defunto presidente dell’Inter. Quest’ultimo ha raccontato a Tavaroli che il "misterioso" arbitro, cioè Danilo Nucini, era stato avvicinato da De Santis nel corso del raduno di Sportilia. In quella occasione De Santis gli aveva fatto presente che vi era un modo per avanzare nella graduatoria degli arbitri e che chi aveva contatti con Facchetti arbitrava prevalentemente in serie B. Tavaroli ha proseguito nella sua esposizione davanti ai magistrati, riferendo altri dettagli che sarebbero stati dichiarati da Nucini a Facchetti. De Santis avrebbe spiegato allo stesso Nucini che se avesse voluto dirigere incontri in serie A, che comportavano rimborsi più consistenti, doveva seguire i suoi suggerimenti. "De Sanctis gli aveva altresì raccontato – ha sottolineato Tavaroli – di aver migliorato la sua posizione economica e di aver acquistato una bella casa a Roma e un’auto di lusso". Stando sempre alle parole dell’ex capo della security Telecom, l’arbitro bergamasco aveva confidato a Facchetti di aver accettato il consiglio di De Sanctis. E qui il racconto di Tavaroli si arricchisce di un episodio degno di una spy-story di John Le Carrè. Infatti, dopo alcuni giorni Nucini fu prelevato da un’automobile dopo aver lasciato il cellulare nella sua vettura. "Dopo un lungo giro in città fatto per disorientarlo – ha proseguito Tavaroli nel suo racconto – arrivò in un albergo di Torino dove incontrò Luciano Moggi che gli chiese la disponibilità a favorire la Juventus penalizzando le squadre avversarie nelle partite giocate prima di affrontare la Juve. L’arbitro accettò e ricevette da Moggi un cellulare sicuro e diversi numeri dove poteva essere chiamato". Tavaroli ha aggiunto altri particolari alla sua ricostruzione e riferisce che "Facchetti mi disse che l’arbitro gli aveva raccontato i fatti in cambio di un favore da parte dell’Inter, un posto nella società nerazzurra, aggiungendo che era disposto a denunciare". L’ex presidente nerazzurro si mise d’accordo con Nucini per un nuovo incontro. E qui l’ex dirigente del colosso della telefonia arricchisce la sua versione dei fatti con altri dettagli da romanzo giallo. "Facchetti mi disse di aver registrato su un cd – ha sottolineato Tavaroli – i suoi colloqui con l’arbitro Nucini e mi chiese di fare delle verifiche su De Santis. Concordammo di dare l’incarico a Cipriani (anch’egli arrestato per la vicenda delle intercettazioni). Chiesi ad Adamo Bove (ex funzionario di polizia passato a Telecom e morto a suicida a Napoli) di verificare i numeri dati da Moggi all’arbitro per vedere se fossero riconducibili a personaggi del mondo del calcio. Bove confermò. Cipriani redasse un report: "Operazione ladroni"". Tavaroli ha poi raccontato di aver dato un consiglio all’ex numero uno dell’Inter. "Io proposi a Facchetti due opzioni: presentarsi in Procura o collaborare come confidente delle forze dell’ordine senza esporsi subito. Facchetti preferì la seconda opzione. Ne parlai con il maggiore Chittaro comandante del nucleo informativo dei Carabinieri di Milano. Di fatto Facchetti non diede seguito a tale sua disponibilità". Tavaroli ha concluso la sua deposizione davanti ai Pm spiegando che Facchetti presentò un esposto in Procura il cui contenuto non fu poi confermato da Nucini. Questi fatti sono ormai diventati cronaca da tempo. I magistrati hanno chiesto a Tavaroli come mai il report su "Operazione ladroni" fu pagato con 50mila euro a Cipriani. Tavaroli ha risposto che "non so se il report che mi esibite è quello con tutta l’attività".

La versione di Tavaroli, per quanto riguarda le date, sembra confermata anche da questo articolo di Gian Marco Chiocci per Il Giornale del 12 maggio 2006:

Si chiama «Op ladroni» il voluminoso rapporto riservato sulla giacchetta nera Massimo De Santis, elaborato nel 2003 da un investigatore privato finito sott’inchiesta in un procedimento penale tuttora pendente a Milano (pm Napoleone) che nulla, però, ha a che vedere col mondo del calcio.
[...]
Sotto il titolo «premessa/obiettivo» il documento si apre con un preambolo che spiega molte cose. Testuale: «Con il presente report Prima Parte siamo a riportare quanto emerso dall’attività di intelligence attualmente in corso (siamo nel febbraio 2003, ndr) a carico del De Santis Massimo e della di lui coniuge [...] sviluppata, giuste le motivazioni di incarico, al fine di individuare eventuali “incongruità” in particolare dal punto di vista finanziario/patrimoniale a carico del soggetto di interesse, oltre a collegamenti con Fabiani Mariano e Pavarese Luigi», quest’ultimo amico di vecchia data di «Lucianone».


Ricapitoliamo i capisaldi di quanto riportato fino ad ora:

1) Nucini dal 2001 ad almeno ottobre 2003 (quando andò a trovarlo a casa) intrattenne rapporti stretti con Facchetti;

2) Nucini dichiara a Borrelli di aver ricevuto la scheda telefonica il 25 settembre 2003;

3) Moratti dichiara a Borrelli che, in conseguenza di questo fatto raccontato da Nucini a Facchetti, si rivolse a Tavaroli per una consulenza “generica” (di che genere? ndr);

4) Tavaroli, però, dichiara di essere stato coinvolto alla fine del 2002, ovvero un anno prima della data che dichiara, di fatto, Moratti;

5) Nucini afferma di aver ricevuto da Fabiani una sim card che getta mentre Tavaroli riferisce che gli era stato raccontato di un “cellulare sicuro” dato da Moggi;

6) Moratti lascia intendere un rapporto breve con Tavaroli però, per quanto dice Tavaroli al pm, o la storia della sim a Nucini l’hanno raccontata nell’incontro della fine 2002, un anno prima che avvenisse (frutto di una consultazione della Maga Clara?), oppure i rapporti Tavaroli/Inter sono durati per almeno un lungo anno e l’episodio della sim Tavaroli lo ha appreso a settembre 2003, data indicata dal Nucini;

7) Beatrice parla di un Nucini a disagio nel sistema arbitrale vigente. Atteso che è universalmente noto che era un arbitro mediocre, ai PM non passa neanche per la testa di immaginare il rancore di un uomo verso un ambiente che lo sottoutilizzava a causa della sua pochezza tecnica?

8) Lo stesso incontro tra Nucini e Fabiani/Moggi è al momento solo frutto della deposizione di Nucini; L'unico particolare che potrebbe "provare" la circostanza è la SIM che secondo l'arbitro gli fu consegnata da Moggi. Invece, casualmente, questa SIM non esiste, se non nel fantasioso racconto di Nucini, che abbiamo fedelmente riportato;

9) Nucini quindi dichiara di aver buttato la scheda. Beatrice invece dice che "Nucini l'ha consegnata a Facchetti perchè componesse un dossier";

10) Nucini dice di averla buttata, ma di aver annotato il numero della scheda estera. Beatrice invece dice che la scheda è italiana;

11) L’inchiesta della Figc invece dice ancora che questa fantomatica scheda è estera; infatti, leggendo la sentenza del procedimento sulle ipotetiche schede SIM date agli arbitri.. pag 7:
”...emerge che lo stesso abbia costituito con il contributo del Fabiani un sistema di comunicazioni telefoniche riservate intrattenute con gli associati AIA di cui al presente procedimento. Invero a tale conclusione convergono i seguenti indizi gravi, precisi e concordanti:
- le dichiarazioni rese da TDC, da MC e da TG relativamente all’acquisto delle schede estere nell’interesse del Moggi;
- le dichiarazioni del Nucini in data 12.10.2006 il quale riferisce dell’incontro avvenuto in un albergo di Torino nel corso del quale il Moggi alla presenza del Fabiani gli consegnò una scheda delle sopracitate schede estere, allo scopo di renderlo partecipe del predetto sistema di comunicazione riservato.”

12) Al punto 11 c’è un'altra clamorosa incogruenza; si citano infatti i signori TDC, MC, TG i quali effettivamente dichiarano di aver venduto SIM estere a collaboratori di Moggi, ma di averlo fatto PER LA PRIMA VOLTA nel giugno del 2004!! Questa circostanza contrasta con la deposizione di Nucini, il quale dichiara di aver avuto la SIM da Moggi e da Fabiani nel corso del settembre 2003.

Considerazioni finali.
Nucini dichiara che il rapporto con Facchetti inizia prima dei fatti in oggetto; che lui già all’inizio del 2001 "capisce", ma solo in seguito, durante un raduno a Sportilia (presumibilmente estate 2001), viene “avvicinato” da De Santis. Nonostante ciò, il “sistema Moggi” non richiede subito le sue “prestazioni” e lo tiene a “bagnomaria” per ben 2 anni.

Lo ricontatta a marzo 2003 e poi ben 6 mesi dopo, settembre 2003, per dargli, secondo le dichiarazioni del bergamasco, una sim (italiana o estera?) che Nucini getta subito anziché consegnarla a Facchetti o alla giustizia. Che leggerezza vero?

Cercavano una prova da almeno due anni, potevano contare sulla consulenza di “persone capaci” e non hanno istruito Nucini sull’uso che doveva fare di una prova così importante come una sim segreta: consegnata alle forze di polizia, quella sim avrebbe potuto rivelare anche le impronte di chi l’aveva data, giusto?

Cosa dichiara, invece, Moratti a Borrelli? Fornisce una motivazione e dei tempi in contrasto con quelle che vengono riportate come le “confessioni” di Tavaroli ai pm. Se sono vere le dichiarazioni che vengono attribuite a Tavaroli, Moratti avrebbe solennemente preso in giro Borrelli.

Perché Moratti fa credere a Borrelli che convoca Tavaroli solo dopo la consegna della scheda sim a Nucini, quindi, a fine 2003?

Perché nessuno (Borrelli, Mensurati, giornalisti "attenti" della Gazzetta) nota che essendo i dossier di Cipriani dei primi del 2003 il “coinvolgimento” di Tavaroli, ammesso da Moratti, non poteva che essere precedente (nel 2002 come sostiene Tavaroli)?

Che interesse avrebbe Tavaroli a dire di essere stato convocato alla Saras nel 2002 e non nel 2003?

Che interesse aveva Cipriani a “confezionare” un dossier con i primi “report” nel 2003 se, come Moratti vuol far credere (a chi ci vuol credere), si è rivolto al Tavaroli solo dopo settembre 2003?

Ma soprattutto, prima di ogni altra evidenza, perché chiunque parli di questa vicenda fornisce puntualmente una versione diversa?

Tra le tante, non dimentichiamo quella fornita il 27 giugno scorso da Marco Tronchetti Provera ai PM Napoleone e Piacente, nell'ambito della chiusura a Milano dell'inchiesta sullo spionaggio Telecom (pag 81 del pdf pubblicato sul sito di Repubblica):

"E' chiaro, è come la questione di mio cognato e tutte le indagini su cose in cui il signor Tavaroli non doveva assolutamente coinvolgersi: ha un input da Moratti sui calciatori, poi magari Facchetti lo chiama per dirgli "ho questo problema del giovane arbitro", e lui attiva tutta una macchina spropositata che si muove in maniere non assolutamente nell'interesse dell'azienda o richiesta dall'azienda, cioè lo fa con l'Inter come lo fa... perché rientrano nella sfera in cui lui lo fa."

http://WWW.JU29RO.COM febbraio 2009