venerdì, giugno 18, 2010

Pierluigi Battista:- Nostra Signora dell’orgoglio - "C'è bisogno di una rivoluzione" Il Destino della Juventus non potrà mai essere banale.

JUVENTINOVERO.com
PIERLUIGI BATTISTA-PASSIONE CALCISTICA - BIANCONERO

E' stata di poco tempo fa la scoperta di un altro amico rancoroso tra le penne del Corriere della Sera, ad affiancare, tra i "gobbi" della redazione di Via Solferino, dove la sezione sportiva è a forti tinte nerazzurre, l'ex direttore Ostellino.

Un bellissimo editoriale, pubblicato lo scorso novembre, dal titolo "Nostra Signora dell' Orgoglio", a firma Pierluigi Battista, il celebre giornalista romano del CorSera, ci raccontava uno stato d'animo, in cui tutti noi, senza distinzioni, ci siamo riconosciuti. L'eccezionalismo della Juve, orgoglio di sempre, contrapposto alla mediocrità del presente e a un'amara quanto necessaria riflessione: il vero tifoso non riesce a parlare di Juve, oggi, senza parlare di Calciopoli, di una ferita impossibile da rimarginare.

Da una lettera scritta per ringraziarlo e fargli i complimenti per un pezzo bellissimo, è nata una chiacchierata tra Ju29ro e Pierluigi Battista, intorno, naturale, al nostro argomento preferito: "la Juventus. "Significa emozione, orgoglio, voglia di combattere, identificazione con una storia. La Juve si sceglie, non è la squadra del gonfalone, del municipio, della città. E’ un innamoramento che dura nel tempo."
Come si diventa juventini? "A Roma i miei amici erano quasi tutti giallorossi, qualcuno biancoceleste. Io scoprii Omar Sivori, la sua tecnica beffarda, i suoi calzettoni tirati giù, la sua cattiveria geniale. Diventai juventino."

Gli chiediamo cosa sia la juventinità, dove si nasconda lo stile Juve, come lo si riconosca, ma questa volta sbotta: "Senta, posso confessarLe che mi sento in imbarazzo con queste domande? Fino a pochi mesi fa Le avrei risposto in modo più tranquillo. Oggi non si può più. Siamo in mezzo a un evento catastrofico. La Juve è stata distrutta. Stiamo toccando forse il punto più basso della nostra storia.

Mi sento offeso, umiliato, preso in giro. Viviamo in un vortice che sembra un incubo. Come posso darLe risposte elegiache, scontate, sentimentali?" Continua amareggiato: "E' il momento più triste. Senza una testa, con il cuore a pezzi. Siamo una squadretta e ogni volta la squadra avversaria, giocando con noi, sembra il Brasile di Pelé. Come si fa a non essere tristi, sconcertati, sgomenti? Come si fa a parlare serenamente della Juve se non si cerca di uscire dal disastro?"

Addirittura più triste di Calciopoli? "Il momento più triste non è stata la scientifica demolizione della Juve, ma questo. Le voglio dire una cosa su cui immagino non sarà d’accordo. E’ vero: è stata una gigantesca campagna contro di noi. E’ vero: hanno crocifisso Moggi come fosse il Male. E’ vero: la giustizia sportiva si è comportata in modo violento, prepotente, senza dare il diritto di difendersi chi era accusato.

Roba da tribunale del popolo, altro che giustizia. Però, guardi, se la Juve fosse stata sanzionata, secondo un illecito sportivo che è altra cosa da un reato, in forme equilibrate, proporzionate, misurate, io avrei accettato un verdetto che avesse la revoca dello scudetto vinto nel campionato contestato (non il ventinovesimo, fuori dall’inchiesta e meritato sul campo), una ragionevole penalizzazione nella serie A. Come per il Milan e la Fiorentina. Invece hanno voluto massacrare la Juventus, schiacciarla, mortificarla, ucciderla con una pena grottesca, assurdamente sproporzionata.

Beh, ci sono riusciti. Ma non per il campionato della B, che abbiamo giocato con fierezza. Ma perché il nuovo assetto della Juve, dei suoi vertici, del suo personale tecnico, di quello atletico, di quello medico, infine della sua squadra risulta totalmente inadeguato, mediocre, incompetente. Nessuno, ripeto: nessuno, che oggi abbia responsabilità nella Juve sembra minimamente in grado di gestire i colori, la storia, la tradizione della Juventus. Lo dico con infinita amarezza. Ma è così."

Proviamo ancora a insistere con Calciopoli, ma è un fiume in piena contro questa Juve: "Ripeto: non me la sento di parlare della Juve in astratto, viste le condizioni disperate in cui versiamo. Dobbiamo capire che siamo risaliti dall’abisso della B grazie ad alcuni eroi della vecchia guardia di cui sono orgoglioso di fare i nomi: Buffon, Camoranesi, Nedved, Trezeguet, naturalmente capitan Del Piero. E poi Chiellini e Marchisio (purtroppo non Giovinco) della nuova generazione. Con questa anima, e con Ranieri, siamo arrivati due volti in un più che decente secondo posto e ci siamo onorevolmente battuti nella ritrovata Champions.

Dopo di che: nessuno è stato capace di andare per il mondo alla ricerca di talenti che non costassero cifre astronomiche (ricordiamo che Moggi, che nella vulgata oggi passa come il grande corruttore degli arbitri, portò in Italia un certo Ibrahimovic a una cifra più che accettabile: lui lo conosceva, nessun altro in Italia lo conosceva). Abbiamo sbagliato tutte, diconsi tutte le campagne acquisti. L’elenco è da incubo, un branco di mediocri: Grygera, Andrade, Almiron, Tiago, Boumsong, Poulsen, Brazzo, Grosso, Cannavaro, Felipe Melo, Diego. Abbiamo lasciato andar via risorse promettenti o confermate: Nocerino, Zanetti, Marchionni, Criscito. Possiamo dire che gli unici acquisti azzeccati in tre anni sono stati solo tre: Sissoko, Amauri e Iaquinta. Basta. Abbiamo speso un sacco di quattrini inutilmente.

Abbiamo fatto gli spilorci per Xabi Alonso e ci siamo ritrovati Poulsen (e non Stankovic, per colpa, devo dirlo, di una tifoseria miope) mentre l’anno dopo sono fioccati i milioni di euro per Melo. Abbiamo cacciato Ranieri per trovarci con Ciro Ferrara, grande bandiera della Juve, ma senza nessun curriculum affidabile. Poi Zaccheroni. E ora? Abbiamo sbagliato preparatori atletici, con tutta evidenza. Abbiamo scoperto solo ora che forse il campo di Vinovo ha un terreno assassino. Mi limito ad un ultimo, eclatante episodio. Mentre nel mercato di gennaio l’Inter ha preso Pandev e la Roma Toni, noi abbiamo preso la punta dell’ultima squadra in classifica, ma non quella che segnava (Maccarone), no: l’altra. Ma vi pare possibile? Vi pare che con tutto questo non dovevamo arrivare alla catastrofe?"

Come se ne esce? "Penso che chi ama la Juve non meriti più un trattamento così. E che per risorgere, dopo aver toccato il fondo, bisogna fare grandi rivoluzioni: nella dirigenza tecnica e amministrativa, nella panchina, nella squadra. Solo così si può tentare di sperare nuovamente di tener testa e fede a una storia gloriosa. Riprendersi la Juve: è un imperativo che non si può eludere. Tornare a essere quel che eravamo. Poi, se volete, parliamo di cose elegiache. Ma solo poi: prima tornare a essere la Juventus." Giovedì 01 Aprile 2010
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Il destino della Juventus non potrà mai essere banale
Pierluigi Battista - 211 novembre 2009
Prima della catastrofe, avrei scritto in tutt’altro modo questo omaggio grato e accorato alla nostra Signora. Prima della catastrofe avrei accennato alla gloria bianconera, al solito elogio dello «stile Juve», alla grinta del Trap, alle finali di Coppa perdute per un soffio dopo averle dominate, alla maestria scanzonata di Platini, alle punizioni di Del Piero. Prima della catastrofe avrei raccontato di come un ragazzino di Roma dei primi anni Sessanta, stanco della pressione ambientale di lupacchiotti sdentati e aquilotti spennati, si fosse innamorato della Juventus, simboleggiata dai calzettoni tirati giù di Omar Sivori, concentrato dinamitardo di classe finissima e geniale irriverenza. Prima della catastrofe, però. Dopo la catastrofe, la storia degli juventini è diventata la storia della sofferenza, dell’orgoglio ferito, dell’umiliazione ingiusta e bruciante. Dopo l’abisso della B comminata da un tribunale (sportivo) che non ha nemmeno voluto ascoltare le ragioni della difesa, ogni juventino ha scoperto che, toccato il fondo, occorreva risorgere, e in fretta.
Abbiamo sudato con il Crotone e l’Albinoleffe (con rispetto parlando, per carità) mentre qualcuno usurpava titoli mai conquistati sul campo. Abbiamo frequentato stadi minuscoli, con la gente sui balconi che si godeva la partita gratis, vista la mole non proprio imponente delle tribune. Abbiamo subito la ferocia giustizialista e trucemente revisionista di chi voleva riscrivere una storia meravigliosa come una vicenda para-criminale. Abbiamo conosciuto l’altrui smania dell’annientamento bianconero, lo sprofondamento nella vergogna, la disarticolazione di una formazione fantastica. Abbiamo ricominciato da zero. Ma mai come da allora riconoscersi l’un l’altro la comune passione bianconera ha creato il senso di una comunità, colpita da un destino avverso, ha temprato un mondo che non ha ceduto alla tentazione dell’abbandono e della desolazione. Anzi. Anzi, l’abisso, l’ingiustizia somma, l’inferno della degradazione hanno rafforzato i legami di un’appartenenza sbiadita, hanno rinfocolato l’orgoglio. Gli juventini sono molto apprensivi con la loro creatura. Combattono sempre, fino all’ultimo. Non fanno gli spavaldi. Soffrono fino all’ultimo secondo. Non sono gradassi (come tanti altri, che non si vergognano di fregiarsi di titoli immeritati).
La Juve è la squadra con minor radicamento territoriale. Essere juventini è una scelta: inconsapevole, ma pur sempre una scelta. Gli avversari prigionieri del luogo comune sostengono che è facile scegliere chi vince. È falso, sono più le volte che la Juve ha perso: ventinove scudetti vinti sul campo contro decine e decine non conquistati. Perché la Juve è fatta così: quando perde, è il primato che svanisce. Quando perde, è una promessa non mantenuta. Il destino degli juventini non è mai banale, mediocre. Un vantaggio arbitrale viene accompagnato dalla fanfara di chi vede complotti, macchinazioni, trame occulte e non sa riconoscere mai il merito. Uno svantaggio arbitrale viene accompagnato dal silenzi o assoluto. È sempre stato così. Sarà sempre così. Quando ci hanno retrocesso d’imperio amministrativo (senza garanzie e senza contraddittorio) ci hanno voluto scaraventare nell’abisso. Come se per noi fosse impossibile ogni senso della misura. Un vivacchiare nel mezzo. No, agli juventini («i juventini», secondo Checco Zalone) tocca sempre un destino estremo. Tra le stelle o nella polvere. Vincitori o vinti. Bianco o nero. Bianconero: non potevano esserci colori più significativi.           
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19 APILE 2010 - ANDREA AGNELLI IL PRIMO GIORNO DA PRESIDENTE.
"Ho accettato questo incarico poiché ritengo di poter dare un contributo importante alla società, sappiamo che contano i risultati e cercheremo di ottenerli. Sarà un percorso complicato, la situazione è sotto gli occhi di tutti. Bisognerà rafforzare la struttura a tutti i livelli, sia in Corso Galileo Ferraris sia nella parte pratica a Vinovo. La storia della mia famiglia è profondamente legata alla Juventus. Io non voglio confronti con periodi storici passati, penso solo al domani. Sono orgoglioso di dare il mio contributo con massima passione e impegno. Si chiude un cerchio che ha sempre visto la mia famiglia alla guida di questa società. La storia della mia famiglia è legata alla storia di questa squadra e parte ottantaquattro anni fa. Mio padre è stato presidente quasi cinquant’anni fa, ma la vicinanza alla Juventus è sempre stata totale. Non voglio fare paragoni con allora, pensiamo al domani".
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LA JUVENTUS AGLI AGNELLI
I TRE CAVALIERI DELLA SIGNORA JUVENTUS
FINO ALLA FINE!


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