mercoledì, ottobre 31, 2007

ASSEMBLEA AZIONISTI JUVE, SI SAREBBE DOVUTO PARLARE DELL'ARTICOLO APPARSO SUL BLOG - www.ShoTrading.com - L'ALTA FINANZA E LE MANIPOLAZIONI MEDIATICHE: "IL CASO CALCIOPOLI".

L'alta finanza e le manipolazioni mediatiche: il caso "calciopoli". 
 LIBERA INFORMAZIONE
31 - 8 - 2007

Nelle pagine indicate con la dicitura "Libera Informazione" vengono pubblicati articoli non necessariamente inerenti ad argomenti strettamente legati al trading sui mercati azionari. L'intento è quello di divulgare notizie e trattare argomenti che non arrivano al grande pubblico a causa dei meccanismi di censura e servilismo dei grandi media.

Le vicende relative all’inchiesta sul mondo del calcio operata nel 2006 dalla Procura di Napoli, sono state un’autentica “deflagrazione mediatica” che ha occupato la maggioranza degli spazi dell’informazione italiana. Il motivo è facilmente intuibile: noi italiani abbiamo la capacità di passare con relativa indifferenza attraverso vicende di gravità straordinaria, purchè queste non riguardino “panem et circenses” , elementi che nessuno ci deve toccare. I calciatori sono i nostri “circenses”, e il “dio pallone” è l’unico motivo per cui valga davvero la pena discutere con coinvolgimento e animosità. Soprattutto è l’unico motivo per il quale valga la pena leggere qualche giornale, e più in generale…leggere (infatti in Italia abbiamo ben tre quotidiani sportivi, in particolare la Gazzetta dello Sport è sempre in vetta alle classifiche delle vendite).
E’ ovvio che tali affermazioni siano una volontaria provocatoria generalizzazione, ma dati alla mano (cioè le vendite dei giornali) si capisce che tale generalizzazione è basata su fatti reali. Churchill soleva dire: “gli italiani vanno alla guerra come si va ad una partita di calcio, e ad una partita di calcio come si va alla guerra”. Vorrei poter dire che Churchill era preda di snobismo pregiudiziale nei confronti del nostro paese, purtroppo mi tocca pensare che nelle sue parole ci fosse una dose di verità.

L’intera vicenda di “calciopoli” è un autentico scrigno ricolmo di tesori per chi è interessato ad esplorare territori quali gli intrecci dell’alta finanza italiana, le manipolazioni mediatiche, la psicologia di massa. Uno scrigno che dovrebbe destare l’attenzione di chiunque voglia capire meglio il paese nel quale viviamo, a prescindere totalmente da quale sia il proprio interesse nei confronti del calcio inteso puramente come sport. Uno scrigno che offre molto materiale d’analisi e numerosi spunti di riflessione. Quando l’interesse della “pancia del paese” si sarà spento sotto le ceneri del tempo, la vicenda diverrà a mio parere emblematica nello studio dei rapporti tra mass-media e società. Perché quando si vuole analizzare la storia di un paese non si possono ignorare i meccanismi che guidano i media. La qualità dell’informazione è una delle basi fondamentali della moderna democrazia, ed è affidabile metro di valutazione del grado di civiltà....

“Calciopoli” è un’opportunità unica: per la prima volta dai tempi di “tangentopoli” (“panem”) i media italiani hanno per la mani una vicenda che interessa la “pancia del Bel Paese” in maniera viscerale (scusate il poco felice gioco di parole). E’ proprio quel coinvolgimento, quel morboso interesse degli italiani nei confronti del calcio, che ha gettato le basi per costruire quella che, in termini di azione sull’emotività di massa, è stata forse la più clamorosa manipolazione mediatica avvenuta in Italia dal dopoguerra ad oggi. Nelle pagine che seguono dimostrerò tale affermazione analizzando molti dati, notizie e avvenimenti che sono stati censurati e manomessi, grazie ad una vasta azione di “taglia e cuci” operata dai media italiani sulle notizie che trapelavano dall’inchiesta. Si va dalle intercettazioni telefoniche (moltissime quelle tagliate, cancellate o diffuse in maniera parziale), alla clamorosa totale censura sull’identità di chi ha materialmente diretto le operazioni d’indagine. Dal parziale insabbiamento dello scandalo Telecom/Sismi, alla linea contraddittoria e sfuggente seguita daIla famiglia Elkann, dall’IFIL e dalla nuova dirigenza juventina durante l’inchiesta. Fino ai legami strettissimi tra Inter, Telecom e giudici che scrissero le sentenze sportive.

Ma per giungere a capire in quale terreno affondino le radici di tale manipolazione mediatica, bisognerà fare un passo in dietro fino alla fine degli anni ’90 ed analizzare le modalità con le quali si arrivò a privatizzare il gruppo Telecom-Italia.

Nel diffondere le notizie sulla vicenda i media italiani si sono sempre mossi partendo da un presupposto di tipo etico e morale, ben sapendo che “etica” e “morale” sono strumenti che grazie alla retorica si possono utilizzare come grimaldelli e passpartout nelle coscienze delle masse. Quelle medesime masse che accedono a fonti d’informazione filtrate e indirette, e che quindi non sono in grado di acquisire i mezzi necessari per rapportarsi ai media con consapevolezza e senso critico. Grazie alla questione morale si fornisce sempre un fertile terreno emotivo sulla quale far presa: l’inchiesta su “calciopoli” è stata proposta come una lotta dicotomica tra concetti quali “moralità” e “immoralità”, “onestà” e “disonestà”, facendo largo uso di termini quali ”giustizia”, “pulizia” e “rinnovo”. Aggiungiamoci poi che tali dualismi sono applicati ad un contesto già per sua natura basato sull’emotività (cioè il tifo calcistico) e capiremo come una vicenda del genere non poteva che assumere dimensioni mediatiche abnormi (dato per fatto acquisito che il calcio sia lo sport più seguito in Europa, ma più in generale anche nel mondo).

Per avere un’idea di come i fatti siano avvenuti, o perlomeno per poter costruire un’ipotesi razionale e attendibile, dobbiamo a mio parere scomporre l’intera vicenda di “calciopoli” in tre aree di analisi: - l’origine autentica delle intercettazioni telefoniche sulle quali si è sviluppata l’indagine della Procura di Napoli, e il modo con il quale tali intercettazioni sono state trascritte per i media - le modalità giuridiche con le quali l’inchiesta è stata portata a termine con la scrittura della sentenza, analizzando la Commissione della CAF e i principali membri che la componevano, e raffrontando poi tali analisi con quelle relative alla linea di difesa adottata durante il processo dai legali della società Juventus (squadra oggetto principale dell’indagine) - gli interessi dell’alta finanza italiana nella vicenda (e più in generale nel mondo del calcio), focalizzando l’attenzione su quelle società finanziarie che hanno occupato in primis le caselle della scacchiera sulla quale si è giocata l’inchiesta.

Non ho timore di dichiarare in anticipo che, una volta analizzato questo triplice contesto, avremo innanzi un orizzonte molto difforme rispetto a quello dipinto dai media italiani (o perlomeno dalla maggioranza di essi, soprattutto quelli che operano in ambito televisivo). Sul nuovo orizzonte non si staglieranno più le sagome di arbitri, dirigenti sportivi e giocatori, ma quelle di importanti società finanziarie che sono ai vertici del sistema economico italiano. Le prime sono il nostro dito, le seconde la Luna. E mentre i mass media hanno indirizzato l’attenzione del pubblico verso la punta del dito, sulla Luna si giocava la partita autentica, in quel “dark side of the moon” che gli obiettivi televisivi evitano sempre d’inquadrare. Come sempre, ogni volta che ci rapportiamo con i media, dobbiamo munirci di telescopio e concentrarci su ciò che è ben più distante del nostro dito.

Le verità nascoste sulle intercettazioni: il ramo Sisde.

Secondo la versione ufficiale, l’indagine sulla corruzione nel mondo del calcio italiano è partita da una lunghissima serie d’intercettazioni telefoniche ordinate dalla Procura di Napoli. I telefonini sui quali i magistrati hanno focalizzato l’attenzione sono quelli di dirigenti di società, designatori arbitrali, arbitri, giocatori e membri della Federazione Italiana del Gioco Calcio. La Procura analizza un fascicolo di trascrizioni (e non le registrazioni audio originali), tali trascrizioni hanno due fonti di origine:

una parte sono emerse in seguito agli sviluppi di un’altra inchiesta, quella sulle intercettazioni non autorizzate operate da parte dei responsabili della sicurezza del gruppo Telecom. Si tratta un’inchiesta che va ben oltre il mondo del calcio: prende origine dalle indagini sulle elezioni politiche della regione Lazio, passa attraverso il caso del rapimento dell’iman Abu Amar, e coinvolge anche uomini di polizia, finanza e carabinieri - una parte delle intercettazioni è stata invece trascritta da alcuni membri del Sisde che si sono occupati in prima persona delle indagini sui dirigenti di alcune società di calcio.

Cominciamo col parlare di quest’ultimo ramo d’origine, quello legato al Sisde. Nel farlo ci ritroveremo sorprendentemente catapultati in un caso che appare molto lontano da “calciopoli”, sia in termini di tempo che di contesto: l’omicidio del giudice Paolo Borsellino avvenuto nel luglio del 1992.

Nelle ore successive alla strage di Via D’Amelio, la Rai e il Tg5 mandarono in onda ripetutamente le immagini girate sul posto pochi minuti dopo l’esplosione. Si notava un uomo in borghese che si allontanava dai resti dell’auto con in mano la borsa in pelle del giudice Borsellino, borsa che fu ritrovata successivamente al suo posto, cioè sul sedile posteriore dell’auto. All’interno era sparita l’agenda personale di Borsellino, un’agenda rossa nella quale il magistrato era solito scrivere i suoi appunti sulle indagini e dalla quale, a detta di molti suoi collaboratori, non si separava mai. Un’agenda che probabilmente conteneva particolari scottanti sui rapporti mafia-istituzioni, e in particolare sull’omicidio Falcone. L’uomo nelle immagini è il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, comandante del Nucleo Operativo Sisde di Roma. Nei giorni successivi i famigliari e i collaboratori di Borsellino, notando le immagini, chiesero alla Procura di indagare sul fatto e di interrogare il col. Arcangioli. La Procura ha ignorato le loro richieste per ben 13 anni, fino a quando improvvisamente ad inizio 2006 i magistrati di Caltanisetta acquisirono le immagini video girate poco dopo l’esplosione, e iscrissero il col. Arcangioli nel registro degli indagati. L’accusa ufficiale era “false dichiarazioni in ambito di indagini anti-mafia”. Il colonnello ammesse di aver prelevato la borsa dall’auto, ma dichiarò di averla aperta subito alla presenza dell’ex-magistrato Giuseppe Ayala, e di non aver notato nessuna agenda al suo interno. Nei primi giorni del febbraio 2006 i magistrati della Procura antimafia ordinarono un confronto tra Arcangioli e Ayala, quest’ultimo smentì con fermezza le affermazioni di Arcangioli. Altri testimoni smentirono il colonnello del Sisde.

La notizia riguardante il confronto è stata riportata in brevi articoli in pagine secondarie da vari quotidiani. Un paio di esempi:

PALERMO - Sarà interrogato dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, fotografato il 19 luglio 1992 in via D'Amelio con in mano la borsa di Paolo Borsellino che conteneva l'agenda del magistrato mai più trovata. Non è stata resa nota la data dell'interrogatorio né se l'ufficiale sarà sentito alla presenza dell'avvocato difensore. Arcangioli, già stato sentito nei mesi scorsi, ha fornito una versione dei fatti che contrasta con quella di altri testimoni. Ma l'acquisizione di filmati registrati da troupe della Rai e di Mediaset ha fornito ai pm la possibilità di ricostruire le ore successive all'attentato, compresi i movimenti dell'allora capitano Arcangioli. --- Corriere della sera, 8 febbraio 06.

L´inchiesta sul mistero della borsa Agenda Borsellino, Ayala e Arcangioli confronto a Roma.

ROMA - Il confronto tra il deputato dei Ds ed ex magistrato Giuseppe Ayala ed il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, non ha chiarito il mistero sull´agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, morto con i cinque uomini della scorta nella strage del 1992 in via D´Amelio a Palermo. Un´agenda scomparsa e mai ritrovata. Il faccia a faccia tra i due è stato disposto dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Francesco Messineo e dal suo aggiunto, Renato Di Natale e si è svolto ieri pomeriggio a Roma nell´ambito dell´inchiesta sui «mandanti esterni» delle stragi Falcone e Borsellino.

Tre giorni fa i magistrati e gli investigatori della Dia di Caltanissetta a quattordici anni dalla strage, hanno riesumato una fotografia ed alcuni filmati televisivi girati subito dopo l´attentato dell´estate del 1992 a Palermo nei quali si vede l´allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, adesso comandante del nucleo operativo di Roma, allontanarsi con una borsa di pelle in mano. Quella borsa era del giudice Paolo Borsellino ed era stata prelevata dall´automobile blindata distrutta dall´esplosione. La borsa fu fatta vedere a Giuseppe Ayala che era presente sul luogo e fu ritrovata qualche ora dopo sul sedile posteriore dell´automobile del magistrato. Ed è proprio in quella borsa, secondo quanto dichiarato e confermato dai familiari del magistrato ucciso nell´attentato, Borsellino aveva l´agenda rossa dove annotava tutte le cose più segrete relative alle indagini anche sulla strage del collega Falcone, ucciso dalla mafia a Capaci, insieme alla sua scorta. La Repubblica, 09/02/2006.

Vi starete chiedendo che c’entra tutto questo con “calciopoli”. Ecco la risposta: nel 2005 la Procura di Napoli fa partire un’inchiesta su alcune società di calcio, in primis Juventus, Fiorentina e Lazio, e ordina intercettazioni telefoniche sui cellulari dei dirigenti di queste società. Una volta appresa la notizia, i vertici del Sisde, nella persona del generale Mario Mori, dichiarano alla Procura di farsi carico delle intercettazioni telefoniche. Ci sarebbe ora da analizzare nei dettagli chi sia il generale Mori, quale il suo ruolo nell’Antimafia, e soprattutto perché dal 2005 sia inquisito dalla stessa Procura di Palermo "per aver favorito la mafia", ma dovremmo addentrarvi in argomenti che eludono dal contesto che stiamo trattando. Genericamente possiamo dire che si tratta di un’Antimafia che processa se stessa, o meglio alcuni suoi membri.

Il generale Mori assegna la direzione delle indagini e delle intercettazioni a due suoi uomini di assoluta fiducia: uno è proprio Arcangioli, l’altro è il commissario Aurelio Auricchio...... Auricchio è un altro membro del Sisde che anni fa fu inquisito per aver falsificato prove e intercettazioni telefoniche in processi antimafia. Lui querelò per diffamazione i suoi accusatori ma i tribunali gli diedero torto anche in appello. Pur essendo loro stessi oggetto d’indagine, nessuna di queste persone fu sollevata dal proprio ruolo durante l’inchiesta sul calcio. Anche volendo evitare come la peste ogni forma di dietrologia o teoria preconcetta, non si può evitare di sottolineare per dovere di cronaca, che il generale Mori sia amico personale di Silvio Belusconi e fratello del capo della sicurezza di Mediaset.

Nel periodo del confronto Arcangioli-Ajala l’inchiesta su calciopoli (in corso da quasi un anno) non era stata ancora resa pubblica. I giornali non potevano sottolineare il legame tra Arcangioli, Auricchio, Mori e le indagini sul calcio, ma avrebbero dovuto farlo successivamente nell’estate 2006. Il fatto invece passò del tutto in ombra durante la “bagarre” mediatica che occupò i palinsesti televisivi tra giugno e agosto.

Telecom e conflitti d'interessi.

Abbiamo visto chi si è occupato di trascrivere e consegnare alla Procura di Napoli una parte delle intercettazioni, ma ci fu un altro filone d’origine delle trascrizioni, filone che nasce in un contesto estraneo alle vicende del Sisde e dell’Antimafia: si tratta del caso sulle intercettazioni illegali operate dai vertici della sicurezza di Telecom. Una vicenda piuttosto complessa e dai risvolti inquietanti, risvolti che farebbero tremare i polsi a qualsiasi moderna democrazia degna di essere definita tale. Ma come al solito in Italia questa vicenda è stata proposta dai mass-media con scarso rilievo rispetto alla gravità dei contenuti, con scarsa attenzione ai particolari e ai protagonisti. E’ un caso che coinvolge i dirigenti di quello che è uno dei gruppi finanziari più potenti nel nostro paese, il gruppo Pirelli-Telecom. Una struttura finanziaria estremamente estesa ed articolata, una struttura che oltre ad avere un controllo praticamente totale sulla rete telefonica italiana, estende il suo potere ben oltre: su editori, canali d’informazione sia multimediali che televisivi, si articola all’interno delle alte sfere del mondo finanziario, occupa grandi fette di mercati anche al di fuori del contesto delle telecomunicazioni. Inoltre è il principale sponsor del campionato di calcio italiano, gestisce la trasmissione di gare di campionato (mediante internet con Rosso Alice, mediante digitale terrestre con Carta+ e La7). Telecom-Pirelli partecipa attivamente anche al finanziamento della società di calcio milanese F.C.Internazionale (la società che ha tratto i maggiori vantaggi dall’inchiesta su “calciopoli”), società della quale Marco Tronchetti-Provera, “patron” Telecom-Pirelli, è membro del consiglio di amministrazione e finanziatore.

C’è un altro nome che riveste un ruolo importante nelle vicende che uniscono Telecom all’inchiesta sul calcio, e in molte altre che hanno attraversato l’alta finanza italiana degli ultimi anni. Uno di quei nomi sui quali i riflettori mediatici non si accendono mai, come si conviene ai veri uomini di potere. Questo nome è Carlo Buora. Chi è Carlo Buora ? In un paese che ha fatto dei conflitti d’interessi una consuetudine, Buora è uno degli esponenti più importanti dell’arte di tenere il piede in molteplici scarpe. Per spiegare nel dettaglio quante poltrone occupi Buora nei vertici dell’imprenditoria italiana, sarebbe necessario un intero capitolo. Mi limiterò qui a schematizzare l’incredibile molteplicità dei poteri di Buora. Queste le cariche rivestite dal manager milanese nato nel 1946:

- Consigliere Ras dal 10 settembre 2002
- ex-Amministratore Delegato di Pirelli & C. S.p.A. e attualmente Vicepresidente di Telecom Italia S.p.A.
- Presidente del Consiglio di Amministrazione di Tim S.p.A. (sponsor del campionato di calcio italiano)
- Amministratore di Olimpia S.p.A. Questa è una società finanziaria totalmente priva di dipendenti, che detiene la maggioranza relativa del pacchetto azionario di Telecom Italia. In pratica l’azienda privata che gestisce la rete italiana delle telecomunicazioni è in mano a un gruppetto ristrettissimo di persone riunitesi sotto un marchio costruito ad “hoc”. Fino al 2005 Olimpia era controllata, oltre che da Pirelli e dalla famiglia Benetton, anche da Hopa, l’holding bresciana fondata da Emilio Gnutti. Hopa fu al centro dello scandalo di “Bancopoli”, l’inchiesta che portò alle dimissioni del Presidente di Banca d’Italia Antonio Fazio (altra vicenda clamorosa abilmente insabbiata dai media italiani)
- amministratore di Real Estate  - amministratore di Rcs Mediagroup S.p.A.  (uno dei più potenti gruppi editoriali italiani, editrice tra l’altro della Gazzetta dello sport, il principale giornale sportivo italiano che ha svolto un ruolo mediatico fondamentale nell’inchiesta su calciopoli
- amministratore di Mediobanca S.p.A. (del consiglio di amministrazione Mediobanca è membro anche Gianluigi Gabetti, Presidente dell’IFIL, la società finanziaria Agnelli che controlla la società calcio Juventus. Ma di questo parleremo più avanti).

internazionale fc: .Carlo Buora è anche il vicepresidente esecutivo della società calcio FC Internazionale. Nel sito ufficiale dell’Inter, nella pagina che espone l’organigramma societario, il nome di Buora è sempre stato indicato con la carica di vicepresidente, ma da gennaio 2007 (subito dopo la sua rinomina a vicepresidente Telecom) viene indicato tra i membri del consiglio di amministrazione, in una posizione che salta agli occhi meno di prima. In ogni caso, “vicepresidente esecutivo” o “membro del consiglio di amministrazione” che sia, il clamoroso conflitto di interessi di Buora è uno degli innumerevoli casi passati sotto totale silenzio da parte dei mass-media.

Per capire come il gruppo Telecom Italia sia giunto ad essere uno dei protagonisti principali nella distribuzione dei diritti televisivi dobbiamo fare un passo indietro a fine anni ’90, quando si operò la trasformazione delle società calcistiche in Società per Azioni. Le prime a quotarsi in borsa furono le due società romane, Roma e Lazio. In questo modo trovarono una via di uscita da situazioni di bilancio prossime al fallimento. In questa via risiedeva anche la vendita dei diritti televisivi.

Successivamente infatti vennero scritte le normative che consentivano la vendita soggettiva dei diritti di trasmissione delle partite. Si lasciò che il mercato stesso facesse i prezzi in base all’entità dei vari bacini di utenza. In pratica le squadre che hanno un bacino ampio (cioè potenziali abbonati televisivi) hanno possibilità di guadagno di gran lunga superiori rispetto a quelle società seguite da un pubblico più legato al proprio territorio. A questo punto occorreva un acquirente che si facesse carico di acquistare dalle società di calcio i diritti televisivi pagandoli con somme molto ingenti, ingenti a tal punto da far risultare l’operazione molto redditizia per le società di calcio e non profittevole (anzi in perdita) per l’acquirente.

Tale acquirente fu creato ad hoc con Stream, il secondo polo satellitare. Stream nacque grazie alla privatizzazione del gruppo Telecom-Italia. Quella privatizzazione che la stampa estera definì una “rapina” (in particolare il Financial Times la definì testualmente “una rapina con destrezza”). E mentre all’estero la stampa si indignava per quello che era, come vedremo nelle prossime pagine, un autentico furto ai cittadini italiani, qui in Italia la vicenda finiva insabbiata grazie ad un divulgazione di notizie molto sommaria, superficiale, spesso confusionaria, da parte mass-media.

Stream pagò puntualmente a peso d’oro i diritti televisivi di alcune società di calcio consorziate a loro volta in una società creata "ad hoc", la SDS (Società Diritti Sportivi). La SDS era presieduta da Franco Sensi, il proprietario dell'A.S. Roma, ed aveva come membri Cragnotti (Lazio), Tanzi (Parma) e Cecchi Gori (Fiorentina). L’obiettivo del consorzio era contrastare nel mercato dei diritti televisivi il terzetto composto da Milan, Inter e Juventus. Dal 2001-02 in poi tutti questi quattro imprenditori furono inquisiti per falso in bilancio. Per Sensi e Cragnotti cadde a fagiolo la riforma del reato in oggetto e il conseguente “decreto spalmadebiti” del 2003 (i pm furono costretti all'archiviazione per prescrizione). Cecchi-Gori e Tanzi finirono invece agli arresti per bancarotta fraudolenta. Tanzi in particolare fu protagonista del più clamoroso fallimento della storia dell’imprenditoria italiana, il crack Parmalat. [...] - 31/08/2007 -
SEGUE... (prossimamente la continuazione)
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