mercoledì, gennaio 24, 2007

L’EDITORIALE di GIANCARLO PADOVAN

L’EDITORIALE
INTER, TOTTI, ODDO CALCIOPOLI CONTINUA
GIANCARLO PADOVAN
Siamo in piena Calciopoli, ma c’è chi finge di non saperlo. Forse aspetta i tabulati e/o i te­sti di qualche intercettazione telefonica, magari i riscontri di indaffaratissime Procure. Forse qualcuno spera di non ritrovarseli mai tra le ma­ni altrimenti sarebbe costretto a occuparsene. Fatto sta che nel frattempo si sono completa­mente defilati i giornalisti duri e puri che im­pazzavano nella calda primavera del 2006. Quei Torquemada che sezionavano le partite incrimi­nate della Juve (stagione 2004-2005, lo dico per chi ancora ritiene legittimo il furto dello scudet­to 2005-2006), ravvisando compromettenti pres­sioni su arbitri, dirigenti, giudici sportivi. Cosa dire allora di questi giorni normalizzati dalla maggioranza silenziosa in cui pochissimi, a par­te
Tuttosport naturalmente, annotano il manca­to ricorso alla prova televisiva per l’intervento di Ibrahimovic su Donadel e la squalifica soltanto per un turno di Francesco Totti per una reazio­ne completa e totale che ne avrebbe richiesti au­tomaticamente due? Siamo in piena Calciopoli, lo dicono i fatti, cui non seguono gli atti. Né quelli del procuratore fe­derale Palazzi, il magistrato che nella torrida estate scorsa avrebbe voluto fare a pezzi la Juve, e però smentì Borrelli sul Milan, favorendo l’im­mondo pastrocchio delle sentenze differenziate. Borrelli, tanto per chiarire, avrebbe voluto in se­rie B anche i rossoneri, oltre a Fiorentina e Lazio, ma poi abbiamo visto chi ha pagato, quanto e per quali motivi. Nel giro di una settimana, Palazzi dovrebbe far sapere al mondo del calcio la rispo­sta alla relazione (di Borrelli) che giace sul suo ta­volo dall’agosto scorso a proposito del doping amministrativo con annesso, pesantissimo, coin­volgimento dell’Inter. E’ stato proprio Borrelli a svelare il ritardo, ma a nessuno è venuto in men­te di chiedere a Palazzi il perché di quel ritardo. Peccato che meno di un anno fa si sparasse a pal­le incatenate perché il dossier archiviato dalla Procura torinese sulle telefonate era rimasto set­te mesi nei cassetti della Federcalcio senza che nessuno se ne curasse. Dove sarebbe, di grazia, la differenza rispetto ad ora?
La differenza, ovviamente, c’è. E, molto sempli­cemente, riconduce alla storia millenaria del po­tere e delle sue rappresentazioni: ad un nucleo di controllo se ne è sostituito un altro con le stesse modalità di percezione, di protezione, di vantag­gio, di opposizione, solo con direzioni differenti e nuovi beneficiari. Le polemiche di questi giorni tra Inter e Fiorentina ne sono la diretta testimo­nianza perché uguali sono le accuse, uguale il mo­do di respingerle, uguale perfino il lessico e le mo­tivazioni.
Siamo in piena Calciopoli e, purtroppo, non ba­sta nemmeno indicarlo con tanto di particolari e coincidenze. Lunedì mattina, per esempio, il
Corriere dello Sport - Stadio è stato illuminante e coraggioso nel denunciare lo scempio di La­zio- Milan, scontro che avrebbe dovuto indica­re la pretendente al quarto posto per la Cham­pions, finito invece con un imbarazzante pa­reggio suggellato da una cena per definire il passaggio di Oddo in rossonero. Eventualità co­micamente negata, nel tiepido dopopartita, dal­l’amministratore delegato Galliani e puntual­mente realizzatasi ieri. Il problema è che, Cal­ciopoli o no, nessuno riesce più a scandalizzar­si. Aparte gli juventini che, dal giorno della ca­tarsi, guardano al resto del calcio per vedere cosa sia e come agisca quello strano machiavel­lo chiamato giustizia sportiva.

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